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Alla scoperta a Praga di un edificio poco noto e da tempo abbandonato, che merita di essere salvaguardato. Un raro caso di stazione in stile secessionista in Repubblica Ceca

Ora come ora, non è che la stazione Praha-Vyšehrad sia un edificio che balza all’occhio più di tanto. È in mezzo a caseggiati piuttosto anonimi sulla riva sinistra del Botič, il piccolo ruscello che si è scavato una profonda valle tra la rupe di Vyšehrad e l’altura di Vinohrady. Passarci davanti però è relativamente facile. Basta prendere un tram numero 7 a Výtoň e andare verso Nusle. Ci si passa quasi a fianco con uno a caso tra 14, 18 e 24 appena superato Albertov. Eppure, se non sai che la stazione è lì, non te ne accorgi.

I motivi sono semplici. In primo luogo, Praha-Vyšehrad è un edificio piccolino e male in arnese. Dovrebbe essere bianca ma ormai è puntellata di macchie scure, alcune sono dovute all’umidità, in altri punti l’intonaco è già venuto via. Gli interni sono semi demoliti o sono crollati di loro, basta guardare dai vetri rotti delle finestre: i pavimenti sono coperti di cocci. Gli unici che se la passano bene sono i lucchetti e le inferriate che impediscono l’accesso al luogo.

In secondo luogo, il lato più noto di questa stazione, quello che finisce nelle foto che corredano gli articoli in cui si parla di lei, non è quello dell’ingresso dei passeggeri ma quello dei binari. Ed è anche ovvio: è una stazione dei treni, mettendo la foto coi binari il collegamento è immediato. Non che sia particolarmente difficile raggiungere la stazione nemmeno da quest’altro lato. In cima al terrapieno su cui passano le rotaie, la protezione è costituita da una lunga (e misera) rete di fil di ferro, in molti luoghi già abbattuta da qualcuno che va tra i binari a fare del trainspotting (almeno a giudicare dal numero di siringhe in terra).

Non di meno, andare tra quei binari di giorno non è particolarmente consigliabile: la stazione è in pieno centro, i treni viaggiano molto lentamente e quindi anche molto silenziosamente. Chi non ha un orecchio allenato potrebbe avere brutte sorprese.

Perché anche se è chiusa, da Praha-Vyšehrad i treni passano, anzi, ne passano parecchi. La stazione si trova tra quella di Smíchov e Hlavní Nádraží, vale a dire sulla linea Praga-Plzeň-Monaco e i suoi binari, essendo tre, hanno un ruolo importante nella cosiddetta gestione delle precedenze. Vale a dire che un treno con poca importanza (ad esempio un locale per Rakovník) si ferma lì per farsi sorpassare da un convoglio più importante (come un intercity Ostrava-Plzeň) che deve recuperare un ritardo.

Ovviamente un punto di gestione delle precedenze non ha bisogno di una stazione per funzionare, bastano i segnali luminosi, che adesso vengono pure controllati a distanza. Praha-Vyšehrad infatti è stata chiusa già nel 1960 e il motivo anche qui è intuitivo. Il fatto che si trovi nella gola del Botič rende impossibile qualsivoglia ampliamento. Per di più la stazioncina è in curva e ciò in passato ha causato diversi incidenti ferroviari, alcuni mortali.

Quindi, ci si chiederà, qual è il motivo per cui ogni tanto ne sentiamo parlare e della necessità di salvarla? È un edificio piccolino, fatiscente, non ha avuto una storia gloriosa né è stato all’avanguardia per quanto concerne la tecnica. Non si sa con certezza nemmeno chi l’abbia progettata in quel lontano 1872 (anche se molto probabilmente fu uno tra Antonín Balšánek, architetto del Museo nazionale, e Jan Vejrych). La risposta del perché se ne parli è molto semplice e basta vedere oltre lo strato di degrado che la ricopre per rendersene conto.

Semplicemente, Praha-Vyšehrad è bella. Ed è un raro caso, qui nella Repubblica Ceca, di stazione in stile secessionista. Non lo stile opulento, tutto acciaio e vetrate colorate che caratterizza edifici più famosi come la Gare d’Orsay a Parigi o la Hlavní Nádraží. È più sobrio, leggermente misto allo stile neorinascimentale che qui è assai famoso grazie a – per far due nomi – Teatro e Museo nazionale.

Anche in questo caso ci troviamo dunque innanzi ad un edificio per vari aspetti – meramente estetici – singolare. È stato dichiarato monumento nazionale nel 2001. Non che al tempo il suo stato di salute fosse ottimale. Negli anni ‘80 i comunisti avevano provato a rimetterla a nuovo. Non perché pianificassero di riaprire la stazione ai passeggeri ma perché al tempo ci lavoravano ancora gli operatori che gestivano i segnali di cui abbiamo parlato prima. Furono rifatti i tetti e restaurate alcune decorazioni, perché evidentemente nemmeno i comunisti erano immuni al fascino di quell’architettura borghese. L’operazione purtroppo portò praticamente solo danni, prime fra tutte infiltrazioni d’acqua che minarono parzialmente la solidità della struttura. A quel punto la soluzione più congegnale fu spostare gli operatori altrove e gestire scambi e segnali a distanza.

Con l’avvento del capitalismo la situazione, finalmente… continuò a peggiorare.

Fino al 2001 di Praha-Vyšehrad praticamente non si seppe nulla, dopo la decisione del ministero di farne un monumento qualcosa però si smosse, ma non in bene. Diversi privati mostrarono interesse ad acquistare l’edificio, ovviamente proprietà del vettore ferroviario nazionale České Dráhy. Nel 2007 la spuntò l’azienda Real TIP Estate che, senza perdere tempo, demolì la pensilina tra il secondo e il terzo binario, ovviamente senza discutere la mossa né con l’autorità ferroviaria né con la protezione beni culturali. Furono decretate sanzioni e a metà 2008 il nuovo proprietario presentò un progetto mirato di ristrutturazione, che fu tuttavia respinto. Il risultato fu che nei dieci anni successivi non furono fatti ulteriori interventi, se non quelli imposti dalla protezione beni culturali, che tuttavia non sono sufficienti. Il tetto è stato coperto per contenere le infiltrazioni, il problema è che quelle già presenti sono bastate a far marcire il legno e a far crollare una parte del soffitto.

Dopo questi dieci anni, a manifestare interesse per la stazione è stato il Comune di Praga che ora tratta l’acquisto – fissato al prezzo di 117 milioni, decisamente alto in ragione delle condizioni della struttura e dei conseguenti lavori di messa a nuovo.

L’idea al momento è quella di far prendere alla Praha-Vyšehrad la stessa linea della Gare d’Orsay nominata in precedenza, ovvero trasformarla in un museo e, nello specifico, installarvi l’Epopea slava, il celebre ciclo di Alfons Mucha che, in 20 tele di ragguardevoli dimensioni, ripercorre tutta la storia delle popolazioni slave. Avrebbe perfettamente senso almeno dal punto di vista stilistico: un edificio liberty che ospita Mucha, pittore simbolo del liberty in Boemia. È anche vicino al Botič, citato nell’inno ceco nel verso “voda šumí po hlučinách”. Ma non è una soluzione certa. In primis perché la stazione è piccola e l’Epopea grande, non quindi è chiaro al momento se l’intera serie di 20 quadri ci stia. Ci sarebbe da dire che i dipinti dell’epopea per essere apprezzati andrebbero guardati da una certa distanza. Ciò di fatto escluderebbe la stazioncina dai luoghi adatti ad ospitare quest’opera monumentale, ma meglio lì che negli scantinati della Galleria nazionale. In ultimo va ricordato che i quadri dell’epopea sono assai fragili, quindi i lavori di ristrutturazione, già di per sé imponenti, dovrebbero richiedere una serie di misure aggiuntive specifiche solo per questo, con possibili allungamenti dei tempi di restauro.

Ad ogni modo, la decisione andrebbe presa in fretta, perché il peggioramento delle condizioni ormai si nota di anno in anno. E finché il comune non l’avrà acquistata, il destino più probabile è che la stazione venga giù da sé.

di Tiziano Marasco