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Nelle sterminate possibilità dell’era digitale, come cambia il mestiere del reporter e come cambiano i lettori anche in questo paese

Dimenticatevi i reporter dal taccuino facile e la matita sempre appoggiata sull’orecchio; dimenticatevi i gilet a otto tasche colmi di note, fotografie, rullini e registratori; dimenticatevi, una volta per tutte, i giornalisti investigativi eleganza ed avventura à la Dustin Hoffman e Robert Redford in “Tutti gli uomini del presidente”. Gli squali della redazione, oggi, hanno il viso nascosto da uno smartphone.

È il giornalismo 2.0, l’aggiornamento della professione nell’era digitale. Non siamo qui a parlar di sorprese, ormai da diversi anni la rivoluzione tecnologica ha cambiato nel profondo molte professioni; tuttavia, questo settore, nello specifico, è cresciuto ultimamente in maniera decisiva.

Ma cosa succede in Repubblica Ceca? La Scuola di Scienze Sociali dell’Università Carlo di Praga ha contribuito di recente alla realizzazione del Digital News Report 2016, il rapporto annuale stilato dal Reuters Institute di Oxford che fotografa lo stato dell’industria dell’informazione digitale nel mondo.

Lo studio, come prevedibile, ha confermato la rapida ascesa dell’informazione digitale anche in Cechia. Il primo indizio è commerciale: in questo paese, negli ultimi mesi, il settore “online” ha raggiunto la carta stampata in quanto a mercato pubblicitario, circa il 20% del totale – mentre le pubblicità televisive hanno ancora lo share maggiore, con Česká Televize e TV Nova a farla da padrone.

Come da previsioni, se il web è in crescita, la stampa è in crisi. Si riduce la pubblicità e si riduce la percentuale di persone che leggono giornali o settimanali (percentuale già critica, dal 38% al 34%), mentre sale di dieci punti in un anno quella di chi usa i social media per informarsi: al 51%, il passaggio di boa verso la maggioranza della popolazione. In totale il 91% dei cechi usa internet per informarsi (contro, ad esempio, l’83% degli italiani). Gli unici dati in cui la Cechia è più “indietro” rispetto ad altri paesi è nell’uso dello smartphone per leggere le notizie, al 40% (i vicini polacchi al 58%), e nella fiducia verso l’informazione digitale al 34%. Da sottolineare che solo 13 cechi su 100 si dichiarano d’accordo con l’affermazione “I media sono liberi da pressioni dal mondo del business”. Incide con ogni evidenza il noto accentramento dei media nazionali nelle mani di pochi miliardari, primo fra tutti il vicepremier Andrej Babiš, proprietario dal 2013 di due dei principali giornali quotidiani e della principale radio commerciale.

L’avanzata del “data journalism”

Ricerche del genere sono focalizzate sul consumo di informazioni, e a monte la produzione si deve ottimizzare ai nuovi costumi. Ridurre il giornalismo digitale ai social network, comunque, sarebbe un errore; la rivoluzione tecnologica ha infatti fornito una nuova base alla creazione delle notizie, oltre che alla distribuzione. Il settore del “data journalism” è frutto dell’unione tra giornalismo tradizionale e cibernetica, statistica e ingegneria web. In poche parole, quando l’analisi di dati complessi può portare ad una storia da raccontare. Se ne è parlato proprio a Praga lo scorso 14 ottobre, quando la capitale ha ospitato una conferenza internazionale sul tema, dal titolo News Impact Summit – Digital journalism practice: social media, data and best way to tell stories (ovvero, Pratiche di giornalismo digitale: social media, informazioni e miglior modo di raccontare storie). Organizzata dallo European Journalism Centre e da Google News, ha attirato in città mestieranti e curiosi dell’informazione da mezza Europa e oltre, con diversi speaker atterrati appositamente dagli States. Si è discusso di storytelling e nuovi media, sicurezza e privacy, accuratezza e visualizzazioni. Al susseguirsi dei relatori, la platea prendeva silenziosamente appunti. Dimenticate carta e penna, un centinaio di persone con le dita su piccoli touchscreen, e solo alcuni, demodé, ricorrevano al tambureggiante ritmo della tastiera di un computer portatile.

La Repubblica Ceca è stato un ospite sicuramente interessato al tema. Il paese ha dimostrato, negli ultimi anni, di sapere il fatto suo in questo settore, con un certo pragmatismo, ancora lontano dai giri di capitale dei colossi della Silicon Valley. Forse anche per lo scetticismo dei cechi nei riguardi di un’informazione al soldo dei magnati di turno, l’affidabilità dei numeri e della scienza ha un’aura confortevole. Ci sono esempi più divertenti, o leggeri, come farsi un giro con un Gps su un’auto e registrare le sconnessioni del terreno, o altri più complicati, come gestire archivi da dieci milioni di file.

Due giovani giornalisti, Jan Cibulka e Marcel Šulek, hanno provato ad esempio come la passione per l’elettronica possa creare le basi per il “sensor journalism”, basato, appunto, sulla raccolta elettronica di informazioni. Un’idea raccontata tramite i megafoni di Český Rozhlas è arrivata da un fastidio quotidiano: le terribili condizioni dell’autostrada D1 tra Praga e Brno. Con un kit da 15 euro costituito da un sensore Gps acquistato online, del nastro isolante e uno smartphone, sono riusciti a costruire un piccolo acceleratore che potesse “sentire” le vibrazioni della strada. Una gita domenicale, andata e ritorno, è bastata per raccogliere dati necessari e creare una mappa dettagliatissima (dieci rilevazioni al secondo) del tratto autostradale. Risultati? Da una parte è interessante sapere che al chilometro 127 in direzione Brno, tra Velký Beranov and Měřín, c’è la vibrazione più pesante, una sconnessione sul terreno che a 100km/h, per 0,2 secondi, scarica una pressione di 16G (sedici volte l’atmosfera terrestre) sulle ruote posteriori (insomma, da andarci piano!). Dall’altra la conoscenza così dettagliata delle condizioni di trasporto, resa pubblica, diventa uno strumento di pressione e valutazione “democratica” sullo stato dei lavori, dei rinvii, delle concessioni e dei ritardi. In poche parole, un argomento semplice e popolare trattato con buon giornalismo – tutt’oggi reperibile cliccando sull’articolo “How bumpy is the Czech D1 Highway?” sul sito della radio.

Panama papers e Czech connection

Un’eccellenza ceca di data journalism ha come portavoce Pavla Holcová, del Centro ceco per il giornalismo investigativo (České centrum pro investigativní žurnalistiku), l’unico nel paese a far parte del consorzio internazionale a cui sono stati affidati i faldoni cibernetici dei “Panama papers”, il più grande scandalo finanziario degli ultimi anni. Più di undici milioni di documenti della società Mossack Fonseca, 2.6 terabyte di files connessi a più di duecento mila società offshore, un enorme fascicolo digitalizzato che tiene occupati, da mesi, giornalisti di mezzo mondo. La Holcová e il suo team si sono presi il compito di cercare informazioni inerenti società e uomini d’affare cechi. Un centro di appassionati al servizio della verità, che ha individuato ad oggi poco meno di 300 clienti cechi della società panamense, collegati al paese tramite la locale eBanka, oggi chiusa. Una Czech connection di evasori, lobbisti e trafficanti di diamanti, come Radovan Krejčíř, probabilmente il “criminale più famoso del paese”, dal 2013 agli arresti in Sud Africa. Un primo reportage è stato pubblicato dal centro già la scorsa primavera, in inglese sul sito dell’Occrp, Organized crime and corruption reporting project.

Nelle sterminate possibilità dell’era digitale, il giornalismo 2.0, tanto ceco quanto internazionale, ha davanti a sé l’equilibrio imposto tra business e qualità; tra marketing e informazione. Se i lettori internazionali sono scettici sui nuovi media, i lettori cechi portano questo scetticismo a livelli spropositati. La soluzione sembra essere questa: giornalismo affidabile e di qualità. Possibilmente, con dati concreti.

di Giuseppe Picheca