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Dopo i successi primaverili, la Repubblica Ceca in autunno si è fatta sorprendere dalla seconda ondata del coronavirus

Il ritorno di fiamma alla fine dell’estate della pandemia ha avuto un impatto decisamente brusco sulla Repubblica Ceca, che si è mostrata, almeno inizialmente, del tutto impreparata a questa seconda ondata. Il coronavirus sta avendo riflessi anche sul piano della politica internazionale, visto che il governo di Praga, dopo essersi lodato come uno dei più capaci nel mondo nell’affrontare l’emergenza sanitaria, si è addirittura trovato nella situazione di dover accettare la mano d’aiuto tesagli dagli altri Paesi.

Tra bollettini di contagi e numeri in costante ascesa di ricoverati e vittime, non mancano in quest’autunno altri temi di una certa rilevanza per la politica estera ceca. Per esempio, quello che riguarda il nuovo attrito tra capo dello Stato e governo sul capo dei servizi di controspionaggio, un dissidio dietro al quale sembra emergere una visione diametralmente opposta fra Castello ed esecutivo su quali devono essere le priorità sul piano dei rapporti internazionali. Interessante anche l’attivismo di Praga in Mali e più in generale nel Sahel africano. Il tutto con un occhio ovviamente rivolto oltreoceano e agli sviluppi delle presidenziali negli Stati Uniti.

Coronavirus e aiuti

Come si è detto, la Repubblica Ceca è passata in poco tempo da esempio di ottima risposta alla prima ondata della pandemia, a Cenerentola d’Europa. Ha raggiunto infatti uno dei più elevati tassi di contagio, diventando per qualche giorno persino maglia nera a livello mondiale per indice di mortalità fra i pazienti contagiati.

I tre ministri della Salute alternatisi in meno di tre mesi hanno reso evidente, non solo alla opinione pubblica ceca, ma agli occhi di tutto il mondo, quante pecche ci fossero a Praga e dintorni nel sistema predisposto contro il coronavirus. Tutto questo dopo un’intera estate trascorsa a sentire il premier Andrej Babiš decantare l’abilità della Repubblica Ceca nel tenere a bada il virus, per non parlare della cena organizzata all’inizio di luglio sul Ponte Carlo con migliaia di persone a celebrare “la fine della pandemia”.

Dopo la detronizzazione dell’inesperto Adam Vojtěch e la prematura fine ingloriosa del colonnello Roman Prymula, costretto a lasciare per la violazione delle stesse norme anti-Covid da lui imposte, è arrivato l’attuale ministro della Salute, Jan Blatný, il quale è stato chiamato in fretta e furia a contrastare questa nuova e più potente ondata.

E intanto a Praga, quando ci si è resi conto che la situazione era ben diversa da marzo-aprile, è scattata l’operazione diplomazia. La diplomazia della mano tesa, rivolta ai Paesi amici, una serie dei quali ha accolto la richiesta di aiuto inviando ventilatori polmonari, equipe mediche e dispositivi di protezione.

A inizio novembre la Camera ceca ha ratificato la richiesta del governo di consentire l’arrivo nel Paese di 28 medici della Guardia nazionale inviati dagli Usa e, più in generale, delle equipe sanitarie straniere, con l’esplicita condizione che provenissero da paesi della Unione Europea e della Alleanza atlantica. La decisione è stata tra l’altro teatro di scontro con i comunisti del Ksčm che chiedevano di poter ampliare la platea anche a medici di altri paesi, membri dell’Onu, come Cuba e Russia. Proposta che la Camera ceca non ha accolto.

Nelle scorse settimane sono così arrivati dall’Italia 60 ventilatori polmonari (messi a disposizione dalla Alleanza atlantica), 150 ventilatori dall’Ungheria, 45 dall’Austria, 30 dalla Ue.

Fra i primi a muoversi in aiuto di Praga la Germania. Berlino già a metà ottobre ha fatto sapere che, nel caso nella Repubblica Ceca si dovesse giungere a una carenza di posti in terapia intensiva, gli ospedali tedeschi sarebbero stati pronti ad accogliere pazienti cechi. Proposta rilanciata ai primi di novembre anche dal governatore della Baviera, Markus Söder, il quale parlando con il premier Babiš, gli ha detto: “nel caso dovessero servire, abbiamo 100 posti pronti nei nostri ospedali per i vostri malati più gravi”.

Poi è giunta la mano d’aiuto della Unione Europea. “La Repubblica Ceca sta affrontando una delle situazioni più difficili in Europa e noi non lasciamo i nostri amici da soli in questi momenti difficili”, ha detto la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.

A manifestare la propria disponibilità è stata anche l’Organizzazione mondiale della Sanità, alla quale Praga si è rivolta quando l’incremento dei contagi fra il personale sanitario ha assunto un ritmo allarmante. Da sottolineare che l’Oms appena poche settimane prima – in occasione della Assemblea generale delle Nazioni Unite, svoltasi quest’anno online – era stata bersagliata dal premier ceco Babiš con l’accusa di non aver saputo dare indicazioni certe contro la pandemia.

Nell’emergenza sanitaria ceca c’è poi un curioso capitolo che ha riguardato i rapporti con la Russia. Un imprenditore russo con base a Praga, un certo Andreji Konstantinov, è finito sui giornali cechi con la sua offerta di Covid tour, in pratica un pacchetto completo, con viaggio a Mosca dalla Repubblica Ceca e vaccino Sputnik V incluso, il tutto per la ragionevole cifra di 1.200 euro. Una iniziativa che ha costretto il ministro della Salute russo a intervenire e a precisare che si tratta solo di una truffa.

Resta il fatto che, se i russi saranno i primi ad avere tutte le autorizzazioni per commercializzare il loro vaccino (anche se i concorrenti stanno recuperando terreno), questo potrebbe senza dubbio influenzare la politica internazionale. Mosca avrebbe lo strumento per mettere fine, o quantomeno allentare, la crisi sanitaria e anche economica.

Tra l’altro, lo stesso ex ministro ceco della Sanità, il colonello Prymula – sempre portato in palma di mano dal presidente Miloš Zeman, il quale in ottobre gli ha conferito l’Ordine del Leone bianco, la massima onorificenza ceca – pochi giorni prima di ricevere l’incarico si era espresso in termini positivi sulla probabile efficacia del vaccino russo.

Giochi di spie all’ombra del Castello

Oltre al coronavirus non mancano altri temi di rilievo riguardanti gli orientamenti in politica estera della Repubblica Ceca e la sua non sempre univoca strategia, suddivisa tra i vari poteri dello Stato.

Uno degli esempi più calzanti è quello che vede al centro Michal Koudelka, il responsabile del Bis, l’agenzia di controspionaggio della Repubblica Ceca. A fine ottobre il presidente Miloš Zeman ha respinto per il quinto anno consecutivo la proposta del governo di promuoverlo generale e ha ribadito che nella sua opinione il capo del Bis dovrebbe essere rimosso invece che elevato di grado.

I rapporti di Zeman con Koudelka non sono ottimali da tempo. Da una parte il numero uno dell’agenzia di controspionaggio ceco, il quale anche di recente ha ricevuto il plauso del Parlamento e del Governo per la solerzia con la quale segnala le attività spionistiche russe e cinesi in Repubblica Ceca.

Dall’altra il capo dello Stato, il quale da anni ostenta l’amicizia con Mosca e Pechino, attacca sistematicamente Koudelka, invitandolo a “dedicarsi al vero crimine economico invece di organizzare cacce fittizie a spie russe e cinesi”.

In ottobre, nel respingere per l’ennesima volta la proposta di promuovere Koudelka, Zeman ha annunciato: “Consegnerò al governo un fascicolo sul capo del Bis. Credo che ogni decisione debba essere spiegata e questo dossier costituirà la mia spiegazione”. Il Presidente ha persino aggiunto di aver raccolto questo materiale grazie all’ausilio di Jiří Rom, un ex capo analista al Bis, acerrimo nemico di Koudelka, che di recente è approdato alla corte di Zeman, essendo stato assunto dal Castello.

Nello scontro il premier Babiš si è schierato ancora una volta con il capo del Bis. Il primo ministro ha spiegato di aver parlato con Zeman del problema: “Ho una posizione diversa su questo e non vedo ragioni di cambiarla”, ha sottolineato ribadendo il sostegno a Koudelka. Il primo ministro ha anche confermato che il governo riproverà a proporre la promozione anche in futuro.

Lo scorso anno, tra l’altro, in occasione della visita del premier ceco a Washington, Koudelka era stato insignito dalla Cia della medaglia al merito George Tenet, la massima onorificenza per la collaborazione di servizi stranieri con quelli americani. Questo basta probabilmente a spiegare il perché a dare addosso a Koudelka ci abbia pensato anche la stampa russa che lo ha accusato di isteria anti-russa e di essere al servizio delle potenze occidentali (con riferimento ovviamente alla Cia statunitense).

Mali e Sahel

Passando dall’Europa e dalla Russia all’Africa, assume uno spazio decisamente crescente nella politica estera ceca, l’impegno in Mali e nel Sahel. L’obiettivo dichiarato del governo ceco è quello di avviare una strategia di prevenzione dell’immigrazione illegale dai Paesi dell’area e del Nord Africa, in particolare dal Mali, dal Marocco e dall’Etiopia. Non è un mistero, infatti, che Praga si oppone alla richiesta di redistribuzione dei migranti in Europa e fermarli prima della partenza può essere un metodo per evitare polemiche europee.

La Camera dei deputati ceca in ottobre ha approvato, su proposta del governo, l’invio in Mali, Niger e Ciad di 60 soldati delle forze speciali e mezzi per partecipare a operazioni di combattimento antiterrorismo al fianco delle truppe francesi. Una partecipazione che si inserirà nella missione antiterrorismo Barkhane che la Francia conduce nella regione africana del Sahel dal 2014. Questi 60 soldati si aggiungeranno ai 120 militari cechi già presenti nella missione Ue di addestramento e che sono rimasti nella zona anche dopo il colpo di stato in Mali. Proprio di recente la Repubblica Ceca ha assunto per la prima volta il comando in Mali dell’Eutm (European Union Training Mission), con il generale di brigata František Ridzák.

Elezioni Usa e attesa di novità

Interessante per la Repubblica Ceca sarà capire come cambieranno gli equilibri mondiali in seguito all’elezione del democratico Joe Biden alla Casa Bianca. Dopo quattro anni di pungente retorica trumpiana via Twitter, la curiosità mondiale è grande e ovviamente lo è anche a Praga. Sia il premier Babiš che il presidente Zeman, come primo passo, si sono subito congratulati con il candidato Dem. Adesso Biden, superati riconteggi e accuse di brogli dovrà mettere mano alla politica estera americana. A interessare Praga saranno in particolare i dazi sull’export e la presenza americana nella regione centro-orientale dell’Europa, in funzione anti-Russa.

di Daniela Mogavero