Alla scoperta della zona di Praga 7 che si estende sull’ansa della Moldava
Il ponte di Líbeň e il viadotto di Negrelli. Il complesso residenziale Marina e il mercato Holešovická tržnice. Il Cross e il Sasazu. Il porto fluviale. Le piccanti luci rosse dello Showpark. Holešovice, a dispetto di come appare, anche grazie alla sua atmosfera di “borgo marinaro” di Praga, è un rione che nasconde in sé numerosi contrasti. Contrasti venutisi a creare, per la maggiore, soprattutto dopo l’alluvione del 2002, durante il quale quest’area sull’ansa della Vltava è stata ampiamente sommersa, danneggiata, ricostruita. Ma non in maniera quasi completa come il quartiere che gli sta di fronte (Karlín). E questo forse è un bene, perché la ricostruzione di Karlín ha comportato anche l’alienazione della sua atmosfera originale (“ha un sapore particolare, l’aria è come mercurio, ha un profumo bellissimo”, cantava Ivan Hlas nel 1993).
Prima di parlare della ricostruzione di Holešovice, però, è bene ricordare dove si trova esattamente. O almeno provarci perché, qui come altrove, l’agrimensura praghese è un’opinione. In effetti per lungo tempo questa pezza di città è stata accorpata con l’adiacente Bubeneč. I due quartieri entrarono a far parte della metropoli ceca nel 1884, a braccetto, come Bubny-Holešovice. E ancora oggi queste due zone costituiscono Praga 7. Sicché c’è gente convinta che la stessa Letná faccia parte di Holešovice. Si tratta però di due aree distinte e la linea di demarcazione, che va da Strossmayerovo náměstí al Výstaviště corrisponde a via Dukelských Hrdinů. Ecco, quello che sta ad est e raggiunge l’ansa della Vltava, è Holešovice. Quello che sta ad ovest è Bubeneč. Poi, se voi guardate le mappe, Holešovice in effetti arriva fino al parco di Letná (ma non lo ingloba).
Se però camminate tra la stessa Letná e Štrossmayerovo náměstí noterete che su alcune targhe coi nomi delle strade ci sta scritto Bubeneč. E a tutti gli effetti, una volta passata la fermata di Vltavská o di Vystaviště Holešovice, la differenza tra un’area e l’altra è evidente. Al netto di gentrificazioni e delle divisioni del catasto, se partendo da quella linea andate verso Letná vi trovate innanzi una zona residenziale da mid-class. Dall’altro lato è tutto prettamente working, con palazzi squadrati, anonimi e anche un po’ sporchi.
Torniamo ora al 1884, anno dell’inurbazione. Al tempo la zona era in fermento da ormai più di 30 anni, dato che nel 1850 da quelle parti erano stati costruiti un porto (Holešovice) e una stazione (Bubny). Questo fece dell’area uno tanti dei gangli industriali e di scambio intorno alla città.
Di lì, per qualche tempo, fu tutto un fiorire di fabbriche, anche perché il porto – e non poteva essere altrimenti – era all’avanguardia. Non fu un caso dunque se il Vystaviště, il centro che ospitò l’esposizione universale del 1891, fu costruito lì. Il quartiere mantenne la sua popolarità anche sotto il regime comunista, come testimoniano i nomi che le vie ancora oggi conservano. E rimase zona industriale, tanto che una canzone di Petr Skoumal dedicata a Holešovice recita “ma se ci pianti un alberello diranno che sei scemo”.
È anche vero che il lungofiume di Holešovice non ha mai conosciuto un vero e proprio declino visibile, piuttosto è stato lento e graduale. Man mano che il porto perdeva importanza (e la stazione veniva chiusa in favore della più piccola Nádraží Holešovice), il quartiere si è progressivamente immiserito, divenendo zona residenziale a basso costo e male in arnese. Infine, l’alluvione del 2002 sembrò essere un colpo di grazia.
In realtà fu una possibilità di ripartenza: arrivarono i progetti di rinnovamento e iniziò la seconda giovinezza per tutta l’area del lungofiume. Nel 2009 viene completato il complesso di condomini con appartamenti e uffici Marina, ricavato pressoché integralmente dal porto ormai dismesso. Classica collezione di paneláky del XXI secolo, che però – nel panorama del porto, tra ruggine, gru, strutture lasciate intatte e carcasse di navi lasciate lì come decorazione – ci stanno anche abbastanza bene. Certo, il contrasto tra le cose nuove e pulite e quelle vecchie e rugginose rimane un po’ stridente, ma l’atmosfera industriale non è stata compromessa. La parte di porto non trasformata in zona hipsterina è poi ancora in funzione come spazio di stoccaggio e, camminandoci attraverso, la sensazione di disagio è ancora potente. Non bastasse questo, buona parte degli edifici industriali è stata riconvertita in caffè e spazi artistici (Jakta 79, Vnitroblok, Dox e così via).
Dunque, la gentrificazione ha vinto e siamo tutti contenti? Non proprio, anzi ci sono varie zone ancora da recuperare. Ortenovo náměstí è ancora calata in una coltre di malessere. Se in via Komunardů comparissero delle zastavárny (o banchi di pegno che dir si voglia) ci starebbero pure bene. Sul lato ovest di via Argentinská non c’è nulla. In queste aree, in via Dělnická, alla discoteca Cross, al mercato rionale (la Pražská tržnice) e giù di lì si respira ancora l’atmosfera originale del quartiere. Questo non significa che alcune cose possano essere lasciate così come sono. Ve ne sono due in particolare: il ponte che porta a Líbeň e la stessa Pražská tržnice.
Il ponte, come evidenziato da diverse analisi tecniche, presenta delle problematiche strutturali così sintetizzabili: è difficile resti in piedi a lungo, più facile che caschi. Nel 2018 si era parlato di chiuderlo per due anni, abbatterlo e costruirne uno nuovo. Soluzione di difficile realizzabilità, dato che si tratta di un cavalcavia su cui passano non pochi tram e conduce al trafficatissimo snodo di Palmovka. Dopodiché si è notato che i tram possono anche passarci sopra, a patto che viaggino entro un certo limite di velocità, quantificabile più o meno in “se cammini li sorpassi km/h”. Così il traffico è stato riaperto (dopo un mese scarso). Ora la proposta è quella di rimettere a nuovo il ponte, ma le uniche notizie che si leggono parlano più di chiusure temporanee per verificarne la “solidità” che di manutenzioni effettive.
Per quanto riguarda la Pražská tržnice, per contro, ci si è messo il Covid-19. I caratteristici padiglioni del mercato, infatti, avrebbero dovuto essere rinnovati e riaperti proprio nel corso del 2020 ma la pandemia ha rinviato tutto. Si sta cominciando ad aprire alcuni edifici solo ora – in agosto è stata la volta della “hala 40”, trasformata in spazio lavorativo per compagnie di sviluppo digitale al secondo piano e centro polivalente al primo. L’area della tržnice rimane comunque un territorio di battaglie, di tipo legale più che edilizio. È ben noto infatti che uno dei padiglioni ospita il locale notturno Showpark, di fatto un bordello, e per giunta molto popolare tra i turisti. Ovvio che la società che lo gestisce, la Eroc, non abbia la minima intenzione di mollare il business. Ciò ha prodotto il ben noto contenzioso con il Comune di Praga, di cui al momento non si vede la fine.
Di fatto, in ogni caso, la gentrificazione incompiuta pone il lungofiume di Holešovice dinanzi ad un bivio. Una strada conduce alla trasformazione completa, allo snaturamento della atmosfera industrial-marinaresca, grezza ma originale. Conduce, insomma, a un’evoluzione secondo il modello Karlín. Dall’altra c’è una gentrificazione di tipo Žižkoviano, ovvero una che non snatura più di tanto l’anima della zona. Certo è che a Holešovice manca l’antennone, l’edificio che faccia da “effetto tour Eiffel” e da collante tra abitanti vecchi e nuovi e crei una sorta di “sottocomunità indipendente” dentro Praga.
Gli edifici storici non è che manchino nella metà orientale di Praga 7, e molti sono fabbriche o complessi industriali. Ma non c’è qualcosa di iconico. E guardando il trattamento riservato al porto, si capisce facilmente che tutto il lungofiume sia stato già pesantemente modificato. Forse perché l’alluvione ha danneggiato irreparabilmente molti edifici, fatto sta che gli interventi di recupero sono stati persino troppo liberi. A Žižkov invece, dove l’alluvione non è arrivata, non puoi nemmeno mettere le finestre di plastica.
Farà dunque Holešovice, infine, la stessa fine di Karlín? La recente notizia che i due quartieri saranno collegati da un ponte pedonale non fa certo ben sperare.
di Tiziano Marasco