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La Repubblica Ceca si muove a sostegno della società civile bielorussa e chiede che non si ripeta quanto avvenuto nella Cecoslovacchia del 1968
La missione a Taiwan di Vystrčil, il caso Navalny e la visita a Praga di Pompeo, questi gli altri temi in primo piano nella politica estera ceca degli ultimi mesi

L’attualità della politica estera della Repubblica Ceca è stata condizionata in queste ultime settimane da quanto sta avvenendo vicino ai suoi confini orientali, con riferimento principalmente alle controverse elezioni presidenziali in Bielorussia. Praga, in linea con la posizione assunta dalla Ue e da buona parte della comunità internazionale, ha condannato la violenta repressione delle proteste di piazza e non ha riconosciuto l’ennesimo mandato di Alexander Lukashenko.

In primo piano anche le reazioni ceche al caso Navalny, le nuove tensioni con la Cina dopo la missione a Taiwan del presidente del Senato ceco e la visita a Praga del segretario di Stato Usa Mike Pompeo.

Lukashenko accusa: “Praga fomenta le proteste”

“La Ue deve attivarsi perché in Bielorussia non accada quanto successo da noi nel 1968”, ha detto il premier ceco Andrej Babiš commentando la violenta repressione contro l’opposizione anti Lukashenko, scesa in piazza dopo le ultime presidenziali. “I bielorussi hanno diritto alla libertà di espressione e alla democrazia” ha aggiunto Babiš, auspicando una “Rivoluzione di velluto” in salsa bielorussa.

Lukashenko però, al potere dal 1994, non ha mai pensato di mollare il suo incarico e ha addirittura puntato il dito contro la Repubblica Ceca, accusandola di aver avuto un ruolo attivo, insieme ad altri Paesi, nel fomentare le proteste di Minsk. Il ministro degli Esteri ceco, il socialdemocratico Tomáš Petříček, ha immediatamente smentito, pur senza nascondere che Praga sostiene da tempo la società civile bielorussa.

Il tema dell’opposizione bielorussa in realtà sta molto a cuore al governo ceco che, su proposta dello stesso ministro degli Esteri Petříček, ha lanciato la creazione di un fondo a favore dei cittadini e dei media indipendenti perseguitati dal regime di Lukashenko. Il fondo ammonta a dieci milioni di corone attinte dal bilancio annuale di Palazzo Černín. A mobilitarsi sono state anche le Università di Brno e di Olomouc, che hanno offerto borse di studio a studenti bielorussi ed esponenti del mondo accademico di quel Paese, una iniziativa alla quale dovrebbe associarsi anche la Univerzita Karlova.

Tutte iniziative di sostegno rispetto alle quali Praga non sembra però intenzionata a compiere da sola passi troppo affrettati. Il premier Babiš ha rimarcato di voler restare in linea con l’Ue e muoversi in sintonia con Bruxelles, per quanto riguarda le sanzioni al regime di Lukashenko.

Pechino indica a Praga la linea rossa

Le minacciose reazioni cinesi alla recente visita a Taiwan del presidente del Senato Miloš Vystrčil non potranno che peggiorare i sentimenti anti-Pechino già diffusi nel Paese. Secondo una ricerca del think tank statunitense Pew Research Center, i cechi sono al quarto posto tra gli europei per la cattiva opinione che hanno della Cina. Molti cittadini sono del parere che relazioni più strette tra Praga e Pechino non facciano altro che indicare un allontanamento dalla democrazia e dal liberalismo.

Le parole del ministro degli Esteri cinese Wang Yi contro il viaggio a Taiwan di Vystrčil, bollato come “il superamento della linea rossa da parte di Praga”, ovviamente inaspriscono questo sentimento. “Praga la pagherà cara, perché sfidare il principio dell’unica Cina vuol dire inimicarsi un miliardo e mezzo di cinesi. Dobbiamo far pagare alla Repubblica Ceca un prezzo salato per la sua miopia e per il suo opportunismo politico” sono state le parole di fuoco usate da Wang Yi.

E non si sono fatte attendere le prime ritorsioni economiche. Pechino ha già manifestato l’intenzione di interdire l’ingresso nel mercato cinese alle aziende i cui rappresentanti hanno partecipato alla recente missione a Taiwan di Vystrčil, ma il maggiore timore di Praga è che queste misure possano essere prese contro le principali aziende ceche investitrici in Cina: tra tutte Škoda Auto, che ha il suo mercato principale proprio nel Paese del Dragone, e Ppf/Home Credit del magnate Petr Kellner.

Il presidente del Senato Vystrčil, civico democratico dell’Ods, esponente dell’opposizione al governo Babiš, è da tempo critico verso la politica di apertura alla Cina patrocinata dal capo dello Stato Miloš Zeman e in buona parte sostenuta dall’esecutivo. Lo stesso Vystrčil non ha certo aiutato a distendere i toni quando, giunto a Taipei, ha dichiarato “io sono taiwanese”, ispirandosi alle iconiche parole pronunciate a Berlino nel 1963, in piena guerra fredda, dal presidente americano John F. Kennedy.

Davanti a queste tensioni, il governo ceco ha cercato di dare il classico colpo al cerchio e uno alla botte. Il premier Babiš e il ministro degli Esteri Petříček da un lato hanno definito “fuori luogo e inopportune” le parole di Pechino, dall’altro hanno cercato di tranquillizzare il Dragone precisando che non è il presidente del Senato a rappresentare la politica estera nazionale ceca. Il capo del governo ha poi apertamente criticato Vystrčil, rinfacciandogli di mettere in pericolo gli interessi economici cechi in Cina.

Ben più inequivocabile il commento del presidente Miloš Zeman, grande sponsor della Cina, il quale, riferendosi a Vystrčil, è giunto a dichiarare: “Considero il Senato l’istituzione più inutile di cui dispone la Repubblica Ceca”. Ha poi deciso di mettere in castigo il presidente del Senato, annunciando che non lo inviterà più alle periodiche riunioni sulla politica estera, organizzate dal Castello, con la partecipazione delle più alte cariche dello Stato.

Praga difende Navalny, ma non dimentica gli interessi legati al Nord Stream II

Altro fronte caldo nelle relazioni internazionali di Praga è sempre la Russia. Ultimamente a tenere banco è il caso Navalny, l’oppositore del Cremlino avvelenato in circostanze misteriose, pare con un agente nervino, secondo le analisi poi effettuate a Berlino.

Il ministro degli Esteri ceco Tomáš Petříček ha definito “inquietanti” le informazioni fornite dalle autorità tedesche e ha detto che i prossimi passi nei confronti della Russia saranno compiuti in coordinamento con i partner della Ue e della Nato. Inoltre, Petříček ha dichiarato che i colloqui bilaterali con Mosca saranno subordinati proprio alla vicenda Navalny. Una dichiarazione che non è piaciuta per niente alla diplomazia russa, la quale ha commentato: “Praga sta compiendo passi contrari a un dialogo costruttivo”. Queste parole sembrano lasciare ben poco spazio, nel breve periodo, alla prospettiva di una soluzione delle tensioni diplomatiche che ormai da mesi caratterizzano i rapporti fra Praga e Mosca.

Il caso Navalny però, per quanto riguarda Praga, va visto anche alla luce dei grandi interessi legati alla realizzazione del gasdotto Nord Stream 2, la più grande infrastruttura energetica in costruzione in Europa. Se in Germania, Paese che ha sempre appoggiato il progetto, sta ora sorgendo il dibattito sulla possibilità “di punire Putin”, di farsi da parte, la Repubblica Ceca non appare invece disposta a rinunciare al gas russo consentito da questa nuova conduttura. Il ministro dell’Industria e del Commercio, Karel Havlíček, interpellato dalla stampa, ha ammesso che se dovesse prospettarsi in seno alla Ue la possibilità di bloccare il progetto Nord Stream 2 per il caso Navalny, Praga sarebbe contraria. La Repubblica Ceca, infatti, sarà uno dei Paesi beneficiari dell’ulteriore iniezione e disponibilità di gas russo attraverso la conduttura che da San Pietroburgo arriverà in Germania bypassando l’Ucraina.

Il deludente bilancio di Pompeo a Praga

Arrivata a Praga a metà agosto con grandi speranze di incassare più di un sì, la delegazione del segretario di Stato Usa Mike Pompeo è partita dalla capitale ceca quasi a mani vuote. Secondo alcune indiscrezioni, infatti, l’obiettivo era firmare due memorandum in funzione anti-Cina e anti-Russia: uno per l’esclusione della cinese Huawei dal 5G ceco e il secondo per la cancellazione di aziende cinesi e russe dai lavori di ampliamento della centrale nucleare di Dukovany.

Sul secondo fronte lo stesso Babiš aveva già spento gli auspici di Washington: “Capisco che gli Usa gradirebbero avere una posizione preferenziale, ma è necessario che la gara sia trasparente e obiettiva”. Quanto a Huawei, Babiš considera sufficiente la dichiarazione congiunta ceco-americana dello scorso maggio, che si riferisce ai principi comuni della sicurezza informatica.

È sul fronte politico, invece, che la visita di Pompeo ha segnato alcuni punti importanti: primo fra tutti il sostegno alla visita di Vystrčil a Taiwan in funzione anti-Cina, iniziativa per la quale il segretario di Stato Usa ha citato l’esempio dell’ex presidente Václav Havel.

Pompeo, nel corso del discorso pronunciato davanti al Senato ceco, ha lanciato chiari messaggi: ha attaccato la Russia, “che mina la sovranità degli Stati europei con la disinformazione”, e la Cina, che ha definito il “pericolo peggiore”. Temi molto cari anche alla campagna presidenziale di Donald Trump che punta al secondo mandato alla Casa Bianca.

Altro momento importante della visita è stato l’incontro tra Pompeo e il presidente Miloš Zeman al Castello, appuntamento rimasto in dubbio sino all’ultimo in conseguenza, molto probabilmente, delle simpatie filo russe e filo cinesi del capo dello Stato ceco. Quest’ultimo ha detto comunque di apprezzare diverse decisioni della politica estera Usa, tra cui il trasferimento dell’ambasciata in Israele a Gerusalemme ma ha avvertito sui rischi di un ritiro dell’esercito americano dall’Afghanistan, come annunciato da Trump.

Come raccontato da Babiš, il quale era presente all’incontro, Zeman ha infine rassicurato l’ospite americano dicendogli di non essere “né un agente russo, né un agente cinese”. A questo proposito il Premier ha aggiunto: “Io e il Presidente ci battiamo soprattutto per gli interessi cechi”.

di Daniela Mogavero