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L’epopea criminale di Victor Lustig, l’uomo che vendette la Tour Eiffel

Stai attento lettore: che in questa storia la verità è un terreno mobile, chiaroscuro, sfugge sfaccettata nelle mille identità di chi ha passato la vita a imbrogliare. Tutto falso? In fondo, perché no. È il limite sottile tra vita e leggenda, che si perde in un moltiplicarsi di nomi, di storie, di passati, d’un uomo imprendibile, di un artista della truffa: questo è stato Victor Lustig (1890 – 1947). L’uomo venuto dalla Boemia, che riuscì a vendere non una ma due volte la torre più alta di Parigi, il capolavoro di Gustave Eiffel.

E se anche questo nome fosse l’ennesimo sotterfugio? Importa poco. Questa è materia da film. E allora basta crederci e andrà tutto bene: avventure squilibrate e romantiche di un’altra epoca, analogica e furba. Un giorno, un agente dei servizi segreti americani che lo braccava ebbe a dire: “Maledetto Lustig. Evanescente come una sbuffata di sigaretta e affascinante come il sogno di una giovane donna”.

E allora, immersi in quest’atmosfera languida guardatelo, lì, seduto nel salone del lussuoso Hôtel de Crillon su piazza della Concorde; guardatelo bene quel giovane boemo di buona famiglia, o figlio di contadini, o barone, a scelta; guardatelo, scrutare distinto questo piccolo mondo borghese agitarsi, ben vestito, belle maniere. Lui, perso nei suoi pensieri. Il gusto denso del whisky che sorseggia gli riempie la bocca, gli alleggerisce la testa. I pensieri corrono, lungo i boulevard della capitale, lungo la Senna, fino alla grande torre d’acciaio che domina la ville lumière.

Allora, quel mastodonte non è altro che un peso per il Comune, non è ancora il diadema della città, simbolo di Parigi nel mondo. Anni di scarsa manutenzione avevano ridotto la Tour Eiffel, costruita tra il 1887 e il 1889 per la Grande esposizione universale, in pessime condizioni, al punto da far pensare alla sua demolizione. Per il truffatore ecco l’esca, la pista da seguire: da un dettaglio si può costruire una storia. Una sceneggiatura che prende forma nella sua testa folle e truffaldina. Del resto, perché no? Tutto è possibile nella Parigi degli anni Venti, degli anni folli, quella di Hemingway e compagni. Parigi è una «festa» scriveva l’americano, dopo i tormenti della guerra mondiale. E in questa miscela esplosiva di arte, notti brave e vita da bohème, s’insinua l’inganno. Parigi è una «truffa» immaginava Lustig, un altro sorso di whisky ed è cosa fatta: venderà la Torre. Soldi (e tanti) contro ferraglia. Un piano ambizioso anche per un inveterato truffatore. Un salto di qualità. Perché sono anni ormai che Lustig sfila fortune con truffe d’ogni genere ai ricconi d’Europa e d’America.

Tutto era cominciato proprio nella capitale francese dove, sbarcato a diciannove anni per studiare, passa più tempo ai tavoli da gioco che sui banchi dell’università. Si rivela baro sopraffino, che a un mazzo di carte fa fare tutto quello che vuole, tranne parlare. E all’utile del raggiro aggiunge il dilettevole della seduzione. È così che si procura una cicatrice allo zigomo sinistro, causatagli da un uomo geloso delle attenzioni che stava dedicando alla moglie, segno che lo accompagnerà per il resto della vita.

Ma le truffe ai tavoli parigini sono solo l’inizio, presto è tempo d’avventura, d’oceano. Si imbarca allora sui transatlantici che fanno la spola tra l’Europa e le Americhe, e nei saloni dorati di queste città galleggianti, Lustig si fa barone dell’alta nobiltà boema. Altre partite, altri regali (per le sue tasche). Resta seduttore incallito, truffatore sublime. Un savoir faire che s’accompagna a un talento sopraffino per le lingue. Ne parla cinque, perfettamente: ceco, tedesco, inglese, francese e italiano.

Sarà la Prima Guerra a mettere fine all’avventura marittima di Victor Lustig. La navigazione diventa pericolosa a causa degli attacchi incessanti della marina tedesca, decide allora di installarsi negli Stati Uniti, sotto il nome di Hermann Junkers, degli Junkers progettatori e ingegneri aeronautici. E qui comincia un’altra “carriera”. Truffe a banche, fondi d’investimento, contraffazione di banconote e chi più ne ha più ne metta. Ma questa è un’altra storia, un altro capitolo. Noi torniamo in Francia, dove Lustig riappare dopo la parentesi americana: è qui che ha da fare il colpo di una vita.

Questi i fatti: Lustig si finge funzionario del Ministero delle Poste e dei Telegrafi, ente allora responsabile della Tour Eiffel, e scrive una lettera ai più importanti commercianti di rottami di ferro del paese spiegando loro che, a causa delle sue cattive condizioni, la Dama di Ferro deve essere demolita. Diverse imprese rispondono positivamente, ma il più interessato è un certo André Poisson, un giovane imprenditore, novizio e rampante. Il pollo ideale. Dopo le prime negoziazioni, André Poisson chiede un secondo appuntamento. Lustig decide di rilanciare, rischia tutto e confessa a Poisson di essere mal pagato e che desidererebbe una tangente per concludere la transazione visto che altri candidati si sono detti interessati e generosi. Il dettaglio della corruzione convince Poisson, i conti tornano! E il giovane imprenditore firma un assegno girabile al portatore da 100.000 franchi dell’epoca, una somma colossale. I due si salutano cordialmente e Victor Lustig, rapido, evanescente, è già altrove: salda il conto dell’hotel, incassa la somma dell’assegno, salta sul primo treno-carrozza per Lione, da dove poi, passando per l’Italia, prosegue fino a Vienna.

Qualche giorno più tardi André Poisson scopre l’inganno. L’assegno è stato incassato, ma del rivenditore non c’è più traccia. Da parte sua, Lustig conduce una vita dorata a Vienna, sempre con l’occhio sulla stampa francese, in attesa di veder scoppiare lo scandalo della truffa sulle prime pagine dei giornali. Dopo diversi giorni, si rende però conto che qualcosa non quadra. Sulla stampa neppure una parola sull’imbroglio appena perpetrato: lo sfortunato André Poisson ha deciso, umiliato e offeso, di mantenere il silenzio assoluto, non sporgendo denuncia e preferendo accettare d’essere stato truffato, piuttosto che esporsi a una umiliazione certa. L’impensabile è riuscito. E allora Lustig, col suo piglio da giocatore incallito e senza limiti, rilancia, ancora una volta. Ritorna a Parigi per rivendere la torre. Stesso stratagemma. Ma stavolta il “pollo” chiede molte più garanzie, la presenza di ufficiali, il boemo sente che la mano non è vincente.

E allora via, altro nome, altro continente, ancora verso l’America. Dove riprenderà la sua attività, specializzandosi stavolta nella contraffazione. Si racconta che abbia persino raggirato Al Capone vendendogli una macchina per fabbricare biglietti falsi, ovviamente farlocca, per poi scomparire nel nulla. Pare che durante tutta la sua vita Lustig abbia usato 47 pseudonimi e dozzine di passaporti falsi: “La buona società in una mano, i bassifondi nell’altra. Un dottor Jekyll et Mr. Hyde in carne ed ossa” qualcuno ebbe a scrivere sul suo conto. Ha creato una rete di bugie così fitta che ancora oggi la sua vera identità rimane avvolta nel mistero. Fu catturato nel 1935 dopo aver messo in piedi un’operazione di banconote contraffatta così vasta da minacciare di scuotere la fiducia nell’economia americana. Un giudice di New York lo condanna a 20 anni da scontare ad Alcatraz. È il capolinea.

Nel marzo 2015, uno storico di nome Tomáš Anděl, della città natale di Lustig, Hostinné, ha iniziato la ricerca di informazioni biografiche sul cittadino più famoso della città. Ha esaminato le liste elettorali e i documenti storici. “Deve aver frequentato la scuola a Hostinné”, ha spiegato Anděl, “eppure non è nemmeno menzionato nell’elenco degli alunni che frequentano la scuola elementare locale”. Dopo molte ricerche, la conclusione di Anděl è che non ci sono prove che Lustig sia mai nato. Diceva Riccardo III di Shakespeare, “nulla possiamo dir nostro se non la morte”, una massima che vale per la nostra storia. Eccola l’unica cosa che teniamo certa, una data: l’11 marzo 1947 alle 20:30 muore la primula rossa boema in una banale infermeria per detenuti nel Missuri. Cosa resta? Un mistero fitto, una domanda a cui non daremo mai una risposta definitiva: Victor Lustig, “chi era costui?”.

di Edoardo Malvenuti