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In vista del prossimo romanzo di Umberto Eco, “Il cimitero di Praga”, abbiamo incontrato Zdenek Frýbort, una leggenda nella traduzione letteraria di autori italiani nella Repubblica Ceca. Nato quasi 80 anni fa in un villaggio della Moravia, Frýbort è un uomo ricco non solo di esperienze professionali ma anche personali. Una vera e propria miniera di aneddoti e ricordi, dall’amicizia con Edoardo Sanguinetti a quando il presidente Azeglio Ciampi lo nominò Cavaliere dell’Ordine della Stella della Solidarietà Italiana. Il suo sogno nel cassetto è di scrivere un libro sulla storia della sua famiglia, “ad iniziare da quel mio antenato, un soldato napoleonico, un alsaziano, che decise di stabilirsi in Moravia dopo la battaglia di Austerlitz”. Frýbort è anche un uomo senza peli sulla lingua: “Umberto Eco è un buon scrittore, ma niente di geniale. E’ piuttosto uno scienziato che ha scoperto un modo di avere successo con la narrativa”.

Cavalier Frýbort, com’è nata questa sua passione per l’italiano?
Molti anni fa, quando sposai una ragazza italiana. E’ proprio da questo amore che è nata la passione per l’italiano. E’ una lingua che non ho neanche studiato all’università, dove invece frequentai i corsi di francese e di letteratura comparata.

Saprà sicuramente della prossima uscita del nuovo libro di Umberto Eco. Lei che di questo autore è il traduttore in ceco per eccellenza. Secondo Lei, perché proprio questo titolo, “Il cimitero di Praga”?
Non lo so, sarà probabilmente un riferimento al cimitero ebraico. Praga è comunque una città dalla quale Eco è molto affascinato. Anni fa, durante un nostro incontro, gli regalai un libro vecchissimo dell’Ottocento, una delle prime guide per i turisti con la piantina, nomi delle strade e dei monumenti. E gli dissi “Se vuole scrivere un altro romanzo, qua c’è sicuramente del materiale interessante.” Chissà, forse l’ha usato davvero …

Sarà anche questa volta lei a tradurlo?
Non credo. Non ho buone relazioni con la casa editrice ceca che pubblica Umberto Eco. Se però me lo proporranno, lo leggerò e vedremo. Le opere di Eco sono scritte bene, in modo professionale. Il suo è “un bell’italiano”, anche se non è “un italiano geniale”.

Da Lei ci saremmo aspettati maggiore entusiasmo
E’ bravo, ma non lo considero un grandissimo della letteratura. E’ uno che sa come scrivere per avere successo. Rendiamoci conto che Umberto Eco è soprattutto uno scienziato, uno studioso, un esperto di semiotica. Ripensiamo agli anni sessanta, alla sua appartenenza a quel movimento di neoavanguardia detto Gruppo ’63. Direi che Eco, da grande esperto di semiotica, è riuscito a scoprire un meccanismo di narrare e che se ne è servito per i suoi romanzi.

Eco però è uno dei pochi autori italiani che sono riusciti ad avere successo in RC.
Su questo non sono d’accordo. Negli anni sessanta, erano conosciutissimi tanti altri scrittori italiani. Alberto Moravia, Carlo Emilio Gadda, che ho tradotto, Elsa Morante. Scrittori eccellenti, ora dimenticati. Non solo da noi, ma anche in Italia. Non vengono neanche più pubblicati. Sono strati superati dalla letteratura di consumo, di cui purtroppo Umberto Eco rappresenta un precursore.

D’altronde è stato lo stesso Eco a dire che della letteratura si interesserà presto solo un ristrettissimo gruppo di persone.
Sì, la letteratura è finita.. Lui se ne rende conto però sfrutta l’occasione, sfrutta le sue conoscenze. In fondo fa bene, il mondo è così. La letteratura adesso è in decadenza. Negli anni Sessanta c’erano scrittori che avevano un ruolo importante nella società. In Francia Jean-Paul Sartre in Francia. In Italia Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia, Edoardo Sanguinetti, che era un mio carissimo amico e che ho tradotto. Oggi lo scrittore non esiste, non conta più nella società. La letteratura è diventata una merce, l’unico criterio è se si vende o no. Non ha voce, non è presa in considerazione come opinione.

Capita anche nella Repubblica ceca?
Certamente. Guardi, io ero amico di Bohumil Hrabal, uno scrittore a modo suo geniale. Conoscevo, quando viveva qua, Milan Kundera. Anche lui ha creato un suo mondo speciale. Tra quelli di oggi, mi dispiace, ma non vedo nessuno. Ho tentato di leggere Michal Viewegh ma è una letteratura proprio giù, giù, giù… Preferisco i libri di filosofia. La filosofia che si occupa della lingua, lo strutturalismo. Magari anche Umberto Eco e la sua semiotica.
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Torniamo al 1986, quando lei tradusse in ceco “Il nome della rosa”. Quanto tempo impiegò?
Non so, credo tanto, sicuramente sette, otto mesi. Sono un po‘ pignolo nel mio lavoro. L’incarico me lo diede la Odeon, la casa editrice principale per le opere tradotte. In quel periodo ero come un impiegato, traducevo un libro dopo l’altro.

Qual è l’ostacolo maggiore che un traduttore affronta quando traduce un libro di Eco?
Bisogna soprattutto avere ben a mente i reali fatti storici, rispettare esattamente l’ordine temporale, perché lui è molto preciso. Per il resto la lingua di Eco è correttissima, molto lineare, anche se – ripeto – non sboccia nella poesia.

Umberto Eco in uno dei suoi lavori scientifici, ha detto che il traduttore si pone come negoziatore tra una cultura di partenza e una d’arrivo.
Direi che questo è una ovvietà. Inevitabilmente però, quando un testo è tradotto in un’altra lingua, perde qualche cosa di originale che è insostituibile. In fondo tradurre un libro non è un bene. La lingua è la materia di un testo, ma trasportare la lingua non è possibile. Si trasportano i significati, ma c’è sempre una deformazione. L’ideale sarebbe se tutti imparassero a leggere i libri nella loro lingua originale.

Il primo romanzo di Umberto Eco Il nome della rosa suscitò un notevole interesse. Cosa ricorda Lei della reazione del pubblico?
Lo stesso Umberto Eco rimase sorpreso dal successo de Il n ome della rosa. Non se lo aspettava, tanto più che fece anche fatica a farlo accettare a casa editrice . Fu una cosa incredibile anche da noi. Era a metà degli anni Ottanta, non ricordo esattamente l’anno preciso (1986, NdR). Fuori dalle librerie di Praga c’erano file di lettori che volevano comprare il libro.

Vi sarete senz’altro conosciuti. Che tipo è Eco come persona?
L’ho conosciuto per la prima volta alla Fiera del libro antico, a Milano, nel 1992 o 1993. Lui è una persona molto, molto cordiale. Mi ha subito abbracciato, mi ha parlato. È stato un incontro veramente piacevole.

Per concludere la nostra conversazione. Ci potrebbe dire qualcosa di inedito, magari qualche gossip, che magari non si conosce di questo personaggio…
Niente. Mi rendo conto che anche in Italia piacciono i gossip, ma la vita privata di Umberto Eco è proprio estranea ai pettegolezzi. So che ha due figli, una villa vicino a Rimini, viaggia, partecipa alle conferenze. Ma anche lui ormai non è più un ragazzino.

Di Katerina Vesela