Visita alla Casa Bianca rinviata, un piccolo smacco o una mancata comprensione? Secondo ambienti diplomatici l’invito ufficiale non c’è mai stato
Al Castello di Praga la visita del presidente ceco Miloš Zeman alla Casa Bianca era attesa, sperata e anche auspicata, soprattutto in seguito alla mancata ufficializzazione di data e programma da parte di Washington.
Alla fine, al posto della conferma è arrivato un rinvio. Se ne parlerà nei prossimi mesi di quest’anno, ma senza che ci sia niente di sicuro. Tutto questo a causa delle crisi sullo scacchiere internazionale, in particolare quella con la Corea del Nord, che hanno tenuto e tengono impegnato il presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
Certo non una crisi diplomatica tra Praga e Washington, ma di sicuro un piccolo smacco per quello che da mesi si era definito uno dei sostenitori europei della prima ora del miliardario statunitense nella corsa alla presidenza Usa, Zeman, appunto.
In attesa, quindi, di una nuova data, questa volta ufficiale, della visita negli Stati Uniti, restano da una parte i retroscena di questo “invito-non invito” ricevuto dal capo di stato ceco in una telefonata con Trump lo scorso novembre e dall’altro il futuro dei rapporti tra la Repubblica Ceca e gli Stati Uniti con la presenza del convitato di pietra noto come Russia.
Sulla genesi della mancata visita sono fiorite diverse storie negli ambienti diplomatici e non solo a Praga: al centro dell’attenzione la mancanza di un vero e proprio invito, che invece secondo Zeman sarebbe stato diretto ed esplicito.
“È stato durante una discussione privata – aveva spiegato il capo di stato ceco parlando di una conversazione telefonica avuta con Trump lo scorso dicembre. – Ha detto di conoscere la Repubblica Ceca e di esserci stato per via della ex moglie, Ivana”.
Su questo punto si sono scatenate alcune ironie: l’ex ambasciatore Petr Kolář, considerato uno dei rappresentanti di spicco della diplomazia ceca, ha rivelato che il presidente ceco, nella breve telefonata fattagli da Trump lo scorso novembre, non avrebbe ricevuto un vero e proprio invito. Si sarebbe trattato di un convenevole, una nota di cortesia, del tipo: “Senti, se passi da queste parti, fatti vedere, così facciamo una foto insieme”. Da qui sarebbe nato tutto: Zeman, infatti, ad aprile aveva programmato un viaggio a New York per ricevere un riconoscimento dal Congresso ebraico. Kolář, per rimarcare la situazione non proprio ortodossa e nebulosa, ha aggiunto: “Non vorrei essere al posto dell’ambasciatore a Washington, Hynek Kmoníček, che si trova ora a dover organizzare una visita alla Casa Bianca sulla base di un invito di questo tipo”.
Dalle note del dipartimento di Stato Usa, sulle prime telefonate di Trump ai leader internazionali, è emerso che il nuovo presidente americano avrebbe detto al suo omologo: “Sei il mio tipo”, invitandolo a Washington, senza troppi convenevoli e cerimonie. L’addetto che ha monitorato la conversazione ha anche parlato di “una chimica” tra i due interlocutori, aggiungendo che “ci si aspettava che la telefonata con Zeman andasse bene, ma non così tanto bene”.
La situazione in realtà non è stata mai chiarissima neanche al Pražský hrad, soprattutto col passare delle settimane e con la mancanza di una data ufficiale da parte della Casa Bianca. Lo testimonia il fatto che alla fine l’entourage presidenziale ceco si sarebbe rivolto alla agenzia lobbistica Sonoran Policy Group, notoriamente vicina a Trump, perché definisse l’incontro a Washington fra i due capi di stato. Il tentativo si è rivelato un buco nell’acqua.
Superata, comunque, l’incertezza e rinviata la visita, i temi all’ordine del giorno del futuro incontro tra Zeman e Trump resteranno comunque gli stessi. La lotta contro l’estremismo islamico, su cui il capo di stato ceco ha più volte detto “di avere posizioni comuni” con l’inquilino della Casa Bianca, la crisi migratoria (con da una parte l’atteggiamento anti-Islam di entrambi, il muslim-ban Usa e il rifiuto della Repubblica Ceca di accogliere i migranti) e il rafforzamento dell’alleanza ceco-americana.
Su quest’ultimo punto, però, potrebbero esserci delle difficoltà: da una parte per le perplessità manifestate da Zeman sul recente raid Usa in Siria ordinato da Trump in seguito al presunto attacco chimico, dall’altra per la vicinanza del presidente ceco a Mosca e la sua posizione sulle sanzioni contro la Russia per la crisi ucraina, che ha più volte definito sbagliate, una strategia in perdita.
In agenda rischia di essere inserita, con ogni probabilità, anche la questione di un hacker russo, detenuto in Repubblica Ceca, per il quale chiedono la estradizione sia Mosca che Washington. Si tratta del pirata informatico che, secondo l’Fbi, alcuni anni fa avrebbe violato LinkedIn, rubando i profili di milioni di utenti.
Sull’asse Usa-Mosca si giocano gli equilibri mondiali. È così da decenni. In questi ultimi anni, però, oltre ai due player si sono aggiunti la Cina e la Turchia, che sui diversi scacchieri, europeo e internazionale, giocano ruoli importanti e condizionano scelte essenziali. Se poi si pensa anche alle crisi internazionali, quella siriana, quella nordcoreana e quella migratoria, l’equilibrismo dei leader internazionali è diventato sport quotidiano.
L’affermazione di politici populisti e dalla retorica forte, come Donald Trump negli Stati Uniti, Recep Tayyip Erdogan in Turchia, Vladimir Putin in Russia, stanno obbligando i partner più moderati, o di minore impatto sulla scena internazionale, a cercare di mantenere i rapporti di forza ma senza perdere le alleanze.
Anche Zeman recentemente ha dovuto o voluto riorientare le proprie preferenze in fatto di politica estera: la Cina resta un partner e alleato forte che il capo di stato ceco continua a corteggiare e tenere vicino. Mentre sul fronte Russia-Usa, dopo il sostanziale endorsement per Trump di cui si è detto un “sostenitore della prima ora, l’unico leader europeo ad averlo appoggiato prima della sua elezione”, c’è stato qualche passo indietro, soprattutto dopo il citato raid in Siria, condannato da Damasco e dagli alleati russi. Una crisi, quest’ultima, per la quale si è evidentemente rivelato fondamentale, agli occhi di Zeman, non indispettire Mosca, di cui egli rimane uno dei sostenitori più fedeli in Europa.
Cosa accadrà se e quando sarà ufficializzata la visita di Zeman a Washington non è dato saperlo. Resta la passione di Zeman per gli uomini forti e divisivi dello spettro politico mondiale. Tutto ciò in contrasto con le posizioni più europeiste e caute del governo di Bohuslav Sobotka che rimane sostanzialmente vicino agli orientamenti di Bruxelles sia sul fronte russo che su quello americano, sia a proposito delle sanzioni che dell’uscita di scena di Assad. Un esecutivo, quello di Praga, che ha sempre mostrato di voler mantenere la sua autonomia dal Castello.
di Daniela Mogavero