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“L’economia è più umana di quel che si pensi”. Ce lo spiega il giovane studioso ceco, autore del bestseller Economia del bene e del male

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Un ragazzone alto, dai disordinati capelli rossi, lunghi e ricci; lo si vede girare in bicicletta per Praga, giacca sportiva e borsa a tracollo. Appassionato di cultura pop, di Pulp Fiction o del Signore degli Anelli, battuta pronta e sorriso svelto. Come descrizione del capo della strategia macro-economica della prima banca ceca, Čsob, all’orecchio stonerebbe non poco; ma si tratta di Tomáš Sedláček, un economista per alcuni tratti davvero poco ortodosso.

A 24 anni era già consigliere di Václav Havel, di lì una carriera brillante, applaudito negli Usa, autore di un libro tradotto in 14 lingue e venduto ovunque con successo, fino ad essere raccontato nei teatri europei. Un personaggio a tutto tondo, enfant prodige dell’economia moderna e popolare contastorie.

Nato nel 1977, figlio di un dipendente della Československé Státní Aerolinie, passa l’infanzia nel Nord europeo, tra Finlandia e Danimarca, per tornare in patria quando la patria cambiava se stessa. Terminati gli studi liceali, sugli interessi di storia o filosofia, la spuntano gli studi economici, all’Università Carlo IV.

“Ho capito che il mio cuore era per l’economia, o meglio per la filosofia economica” ci spiega. “Come i vecchi miti si ritrovano nei nuovi, come l’economia possa essere pratica e, come capita nella vita quotidiana, spesso non esserlo affatto. La mia fortuna è stata trovare grandi maestri. Nell’economia ho trovato la libertà di esplorare studi e pensieri divergenti”.

Laurea a 24 anni, nel 2001, l’anno della svolta.
Alla facoltà di economia arriva una telefonata di Pavel Fischer, capo del dipartimento politico dell’ufficio del Presidente; cerca il decano della facoltà per chiedergli un nome, un giovane economista da inserire come consigliere al Castello, per portare nuove e fresche energie al secondo mandato di Václav Havel. Il decano pensa a Sedláček. Il giovane economista inizialmente pensa di rifiutare, crede che Fischer sia il titolare di un noto tour operator, e la prospettiva manca d’entusiasmarlo. Ad un delicato commento del suo superiore, “che sarebbe poco cortese rifiutare il Presidente”, Tomáš sgrana gli occhi e dà il via alla sua carriera.

“Aveva una mente curiosa, come quella che puoi trovare in qualche giovane studente”, racconta di Havel. “Non lo incontrai al primo giorno di lavoro, ma dopo due settimane. Ovviamente il nervosismo c’era, e molto, ma venne meno già dalla prima conversazione. Il mio primo incarico è stato il più grande onore che potessi immaginare nel mondo lavorativo”.

Dopo la fine del mandato di Havel lavora per il Ministero delle Finanze di Bohuslav Sobotka. Nel 2006 ammette di essere stanco di un ambiente lavorativo “troppo politicizzato” e torna all’economia accademica, approfittando di una borsa di studio per la Yale University.

Vola così in America e mette in luce le proprie doti di economista: la Yale Economic Review lo inserisce tra le “young guns”, le giovani pistole, una delle 5 migliori giovani menti dell’economia. Ma a discapito del nome, una giovane pistola punta sulla mediazione: “L’economia è stata, per un certo tempo, una scienza triste. Ora oscilla tra momenti di esagerato ottimismo e prospettive di armageddon. Il ruolo di un economista è di lavorare contro queste tendenze: mostrare speranza in momenti difficili e puntare alla moderazione quando l’economia è sovraeccitata”.

A meno di trent’anni torna a Praga con un curriculum d’oro e non passa certo inosservato. La Čsob (Československá obchodní banka) lo assume con il ruolo di Chief Macroeconomic Strategist, funzione che mantiene ancora oggi.

A Tomáš Sedláček, però, il ruolo di impiegato, per quanto di successo, sta un po’ stretto. Ha in mente un libro, che prepara da anni, da quando era studente: un libro sul pensiero economico nella storia, o meglio ancora nella storia “della gente raccontata alla gente dalla gente”, nei poemi, nei racconti, e perché no, nei testi sacri. Da questo pensiero si districa con decine di notti insonni e pile di libri classici sulla scrivania – intermezzati, vien da pensare, da pop corn e pellicole hollywoodiane.

È il 2009 e il giovane editore Tomáš Brandejs, della 65. pole, intuisce la forza del libro di Sedláček, che nel frattempo ha preso forma e titolo: “Ekonomie dobra a zla”, “L’economia del bene e del male”. L’editore intuisce anche che la capacità di comunicare del giovane economista esula dai limiti accademici: anche i concetti più complessi vengono semplificati, senza banalizzarli. Sedláček può anche vantare uno sponsor d’eccezione: una prefazione di Václav Havel.

A conti fatti, Brandejs punta su un cavallo vincente: il libro diventa un campione di vendite in Repubblica Ceca. Successo (forse) inaspettato.

“Suppongo il segreto sia che non l’ho mai inteso seriamente come un libro. Stavo lavorando sui miei dilemmi, le mie domande, indovinelli che ho visto intorno a me nella società – o in me stesso. Non avevo idea che queste domande avrebbero interessato tanta altra gente”.

Per il libro sceglie un registro scorrevole, con riferimenti alla cultura mainstream, dal cinema americano ai bestseller della narrativa.

Alla base di tutto la ricerca del pensiero economico a partire dal primo poema scritto dell’umanità, quattro millenni or sono: la saga di Gilgamesh, Re di un’antica città della Mesopotamia, semi-dio alla ricerca dell’immortalità.

Ebbene, partendo da qui – una rincorsa non da poco – il testo affronta le grandi opere della narrazione della nostra civiltà, senza preconcetti spulcia il Vecchio Testamento e le saghe fantasy di J.R.R. Tolkien, con un filo conduttore ben preciso: l’economia è una questione di scelte, tra bene e male, e così viene raccontata da sempre. Insomma, per Sedláček non c’è bisogno di un portafoglio per parlarne, l’economia, gli ricorda Senofonte, esiste anche a tasche vuote!

In gioco c’è l’etica: parafrasando il libro, le formule matematiche, le funzioni e le statistiche sono solo la punta dell’iceberg. Sotto il pelo dell’acqua c’è un enorme bagaglio culturale e filosofico, ovvero la storia dell’economia del bene e del male.

Con questo quadro, Brandejs è abbastanza sicuro di sé quando, alla fiera del libro di Francoforte del 2009, si presenta allo stand della Oxford University Press, un capitolo in inglese ed una foto di Tomáš in bicicletta, offrendo loro la grande occasione. E la casa inglese non se la lascia sfuggire.

Da lì le pubblicazioni in altre lingue (in totale saranno 14). In Italia è la Garzanti ad acquistarne subito i diritti, per l’ennesimo successo.

Il grande riconoscimento arriva lo scorso ottobre alla fiera di Francoforte, dove l’edizione in tedesco è premiata come miglior libro economico del 2012.

Ai margini di questa cavalcata trionfale, ovviamente, va detto che l’opera non è esente da critiche; in effetti è un lavoro ambizioso, e alcuni economisti rimproverano a Sedláček di lasciarsi andare alla narrativa perdendo di vista il metodo scientifico, assunzioni a volte non chiarite e presupposti acriticamente saldi.

Tuttavia, nessuno si azzarda a smentire un dato – se non altro fondamentale per l’editoria: il testo affascina e incuriosisce. Tanto da sollevarsi dalle pagine stampate ed entrare nei teatri, come un racconto, un’opera teatrale genuina e, anche qui, di successo.

La capacità comunicativa di Sedláček non trova imbarazzo dietro un riflettore, così come il suo inglese fluente gli rende possibile una tournée nei teatri europei. A Praga, segna il tutto esaurito anche al Národní Divadlo.

In fin dei conti il messaggio che il giovane economista ceco rivolge ai suoi lettori è semplice e, forse, gratificante: l’economia è più umana di quel che si pensi.

Ma allora, chi ha dis-umanizzato l’economia?

“È stata la volontà di studiare l’economia come la fisica. Ma in fisica trattiamo oggetti non viventi, così se prendi un metodo che ha successo in fisica e lo applichi all’economia ottieni una rappresentazione non vivente, un’immagine morta. Un’immagine in cui le persone sono moduli matematici razionali che cercando di aumentare costantemente la propria utilità. E così abbiamo degli zombie – corpi morti senz’anima.”

Insomma, ci vuole una “economia dal volto umano”, etichetta che da più parti si addossa al lavoro di Pan Sedláček e a cui non dispiace, anche se “non vorrei cambiarne la faccia, lo si può fare facilmente con una maschera. Preferisco parlare dell’anima o del cuore dell’economia. Ecco qualcosa che ha bisogno di cambiare”.

Fine della chiacchierata. Tuttavia un saluto conclusivo è difficile evitarlo: previsioni economiche da Praga?

“Non so, nessuno conosce il futuro e meno di tutti gli economisti. Ho solo due visioni fondamentali: o qui in Europa rimaniamo vicini e ci aiutiamo l’un l’altro nei tempi difficili (anche quando questo non è “economico” o “efficiente”) o smantelliamo il più grande progetto economico e di pace nella storia d’Europa. L’Europa era un continente brutale e sanguinario, non lo dimentichiamo. Se sopravviviamo a questo insieme, niente ci potrà dividere. Se cadiamo adesso, non saremo capaci di rimetterci insieme per diverse generazioni”.

Parola di giovane pistola.

di Giuseppe Picheca