In Repubblica Ceca cresce la xenofobia e il governo di Praga si oppone al sistema delle quote Ue
L’incubo che masse di profughi possano invadere il Castello di Praga e accamparsi in Piazza Venceslao, da qualche mese atterrisce i cechi. È bastato che l’Italia – dopo essersi spesa l’anno passato nell’operazione umanitaria “Mare Nostrum” – chiedesse una mano d’aiuto e investisse di questo problema l’Unione europea, per far insorgere l’opinione pubblica. Dai sondaggi emerge che circa l’80% dei cittadini non vuole neanche sentirne parlare di dare ospitalità a stranieri provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente.
Davanti a questo orientamento popolare, il governo ceco – sostenuto da una maggioranza di centrosinistra, formata da socialdemocratici (Čssd), cristiano democratici (Kdu-Csl) e populisti di Ano – si è adeguato, mostrandosi molto restio a dare segnali di apertura.
A rimanere sinora lettera morta è stato anche il gesto di solidarietà manifestato lo scorso gennaio, quando il ministero dell’Interno ceco aveva annunciato l’intenzione di accogliere in ospedali locali 14 bambini siriani, affetti da gravi malattie, insieme ai familiari più stretti. In tutto non più di una settantina di persone. Il progetto, per quanto se ne sa, si è poi impaludato, davanti alla obiezione – da parte dei sanitari dell’ospedale praghese di Motol – che i bambini scelti erano affetti da patologie troppo gravi e troppo costose per poter essere curati. Meglio quindi lasciarli nei campi in Giordania, con buona pace di Ippocrate.
Così come gli altri paesi dell’Europa Centro Est coi quali forma il Patto di Visegrád (Ungheria, Polonia e Slovacchia), anche la Repubblica Ceca si è poi distinta in Ue per l’asprezza con la quale ha avversato e contribuito a silurare le quote – indicate da Bruxelles – per distribuire fra gli stati membri i migranti che ora stazionano in Italia e Grecia.
Solo in un secondo tempo Praga ha annunciato la disponibilità ad accogliere 1.500 profughi nell’arco di quest’anno, e dei prossimi due, dall’Italia, dalla Grecia e dalle tendopoli in Giordania per profughi siriani e curdi. “Ma solo su base volontaria, come gesto di solidarietà, non perché ce lo impone Bruxelles”, ha precisato l’esecutivo guidato da Bohuslav Sobotka.
Il governo ha poi indicato tutta una serie di condizioni per poter dar seguito a tale disponibilità. Saranno fondamentali due aspetti: 1) la affidabilità del migrante sul piano della sicurezza. Quindi dobbiamo sapere esattamente da dove viene e chi è; 2) il grado di integrabilità, quindi se sono persone in grado di trovarsi un lavoro e se hanno qualche livello di istruzione.
“Precedenza a nuclei familiari e a persone in grado di compiere lavori di cui la Repubblica Ceca ha bisogno, per esempio medici e infermieri. Dovranno iniziare a studiare il ceco già durante la permanenza nei campi profughi” ha spiegato il segretario di stato per le Questioni Ue, Tomáš Prouza. Condizioni e distinguo che la dicono lunga sulla effettiva disponibilità di Praga di farsi carico, in tempi rapidi, della emergenza abbattutasi sulle sponde europee del Mediterraneo. In pratica il governo di Praga chiede di andarsi a scegliere direttamente in Italia le persone che rispettano questi requisiti. Un compito con ogni probabilità non facile fra le decine di migliaia di disperati che stipano i centri di prima accoglienza della Penisola.
Il governo ceco ha escluso criteri selettivi basati sul tipo di religione professato, ma in realtà emerge la netta preferenza per i cristiani. Per quanto riguarda le persone da accogliere dai campi in Giordania, la Conferenza episcopale ceca ha offerto la propria disponibilità sia nell’opera di selezione, sia nel concedere strutture religiose, per esempio conventi disabitati e parrocchie, per dare ospitalità. È molto probabile che il governo di Praga si servirà di questa proposta della chiesa. La Repubblica Ceca, che comunque rimane uno dei paesi di maggior ateismo del mondo, nell’alternativa fra profughi cristiani e musulmani preferisce di gran lunga i primi.
La correlazione fra profughi musulmani e potenziali terroristi è d’altronde molto diffusa nel paese. Fra i primi a divulgarla è il capo dello stato Miloš Zeman il quale più volte ha dichiarato che accogliere i migranti significa aprire le porte alla espansione in Europa dello Stato islamico. Il presidente, dall’alto del Castello è giunto persino a segnalare di avere avuto segnali di tentativi dell’Isis di reclutare adepti in Repubblica Ceca. Un allarmismo forse esagerato e probabilmente troppo frettoloso, tanto da indurre il capo del governo Bohuslav Sobotka e gli stessi servizi di sicurezza a una smentita ufficiale.
Ad alimentare il timore fra la popolazione contribuiscono anche i media con articoli che talvolta lasciano interdetti sul preciso obiettivo di questo tipo di informazioni. Risale a metà giugno – in relazione all’incremento negli ultimi mesi di profughi clandestini nel territorio della Repubblica Ceca – la notizia diffusa da Český rozhlas (la radio nazionale ceca) secondo la quale le agenzie di vigilantes dei centri commerciali di Brno e dintorni avrebbero cominciato, in collaborazione della polizia, ad addestrare il loro personale davanti al rischio di saccheggi e razzie da parte di schiere di profughi in arrivo.
In realtà di elementi concreti che giustifichino allarmismi di questo genere in Repubblica Ceca non ce ne sono. È vero che il numero degli immigrati clandestini nel primo semestre 2015 è aumentato: in tutto – a seguito anche di un netto rafforzamento dei controlli da parte della polizia per stranieri – sono stati arrestati tremila clandestini, quindi il 48% in più rispetto allo stesso periodo del 2014. Però, da qui a parlare di segnali di prossima invasione del paese, ce ne passa. Tra l’altro, a bene vedere, nella quasi totalità dei casi si tratta di persone che sono solo in transito, con l’obiettivo di raggiungere la Germania o altri paesi del nord Europa come Svezia e Danimarca, e che di trattenersi in Repubblica Ceca non hanno nessuna intenzione. Lo scorso anno, delle 1.155 persone che hanno chiesto asilo alle autorità ceche, l’assoluta maggioranza erano ucraini (56%) e appena il 12% quelli provenienti della Siria.
L’eloquenza delle cifre non basta comunque ad attenuare una sorta di ossessione anti migranti che si sta diffondendo nel paese. A dimostrazione di quanto l’allarmismo sia, a dir poco, sopra le righe, le prime pagine di giornali dedicate a una variante estrema – già studiata a tavolino dalle autorità – di sigillare le frontiere con Slovacchia, Austria e Germania, prevedendo l’impiego di migliaia di soldati, poliziotti, guardie di frontiera e unità cinofile.
Da quando lo scorso maggio nove migranti somali, fra cui alcune donne, sono stati fermati alla stazione autobus di Praga Florenc, in possesso di falsi passaporti italiani, mentre cercavano di riparare in Germania, la polizia ceca ha intensificato i controlli nelle principali stazioni ferroviarie, sui treni e nelle autostrade. Non passa giorno senza la notizia di clandestini arrestati e subito ammanettati. Soprattutto nelle zone di provincia del paese, sin troppo scrupolosa si rivela l’opera di sorveglianza dei cittadini comuni, spesso fra i primi a chiamare la polizia, quando colgono segnali di presunta invasione straniera del proprio paese.
Un clima quasi da caccia alle streghe, con risultati talvolta grotteschi. Un gruppetto di artisti africani, componenti di un gruppo folk del Benin (Africa occidentale), giunti in Moravia per partecipare a un festival di musica etnica, sono stati fermati senza documenti e condotti in commissariato a Uherské Hradiště mentre facevano una passeggiata in città. A chiamare la polizia gli stessi abitanti, insospettiti dal vedere questo gruppetto di giovani di colore per strada. Avevano semplicemente lasciato per tranquillità i passaporti in autobus e ci sono volute alcune ore prima che giungessero gli organizzatori del Festival a chiarire il tutto e a farli liberare. I primi a riderci su sono stati gli stessi artisti, quando qualche ora dopo hanno illuminato la serata con le loro danze e la loro musica.
di Giovanni Usai