Dal 1993 al 1997 una sola visita di stato, ma in 17 anni ben 100 accordi tra i due paesi
Due gemelli cresciuti insieme fino all’adolescenza, che fianco a fianco hanno imparato a camminare e poi separati nel momento importante della maturazione e dell’età adulta. Una metafora che potrebbe ben rappresentare il rapporto tra cechi e slovacchi, due popoli uniti per molto tempo sotto l’ombrello di una sola nazione, e che si sono trasformati poi in Repubblica ceca e Slovacchia. Una vita da fratelli, spesso denominati come il maggiore (Praga) e il minore (Bratislava), con una strada unica che a un certo punto si biforca. Uno da una parte, uno dall’altra, potrebbe dire qualcuno. E se la diversità è vera per alcuni aspetti della vita di cechi e slovacchi, non si può dire lo stesso per altri settori delle relazioni tra i due Paesi e soprattutto tra i due popoli.
Sono passati ormai poco più di vent’anni dalla Rivoluzione di velluto, denominata “Dolce” dagli slovacchi, che sancì la nascita di un governo post-comunista in Cecoslovacchia. Nel 2013 ne saranno passati altrettanti dalla separazione delle due entità. Una divisione incruenta, che dal primo gennaio 1993 ha dato vita a due nazioni separate in tutto, ma rimaste sempre vicine e anche un po’ nostalgiche del tempo che fu e con molte cose ancora in comune. Primo fra tutti il cammino di ingresso nelle istituzioni sovranazionali, come Visegrad, poi nella strada verso l’Unione europea, raggiunta a grandi passi da Praga e rincorsa con successo da Bratislava.
Gli slovacchi, però, hanno recuperato il tempo perso e sono arrivati per primi al traguardo dell’euro, entrando a far parte del club dell’Eurozona, ultimo passo dell’integrazione nella famiglia europea. Un primato, quello della moneta unica, che non ha ridotto, comunque, i trasferimenti di slovacchi in Repubblica ceca: quella slovacca, infatti, è la minoranza più grande sul territorio ceco (200 mila persone), grazie ai trasferimenti per lavoro, complici gli stipendi più alti, la perfetta integrazione e una qualità della vita migliore per il rapporto tra costi e standard.
Ma nonostante questa grande comunità, stanziata per la maggior parte nella Moravia slesia e a Praga, sia ben integrata, i rapporti tra Repubblica ceca e Slovacchia non sono sempre stati distesi e proficui come oggi. Un dato tra tutti: dal 1993 al 1997 non si sono svolte visite di stato reciproche tra i due premier.
Non bisogna, però, fermarsi all’apparenza: le mancate visite reciproche non hanno intaccato le relazioni bilaterali, semplicemente, come ha sottolineato l’ex primo ministro cecoslovacco e poi politico e professore ceco Petr Pithart, i rapporti ceco-slovacchi “non sono né ottimi né pessimi, siamo rimasti a un punto zero. Non combattiamo tra di noi, ma non andiamo neanche a braccetto”. Il problema, secondo Pithart, è che i cechi hanno sempre considerato gli slovacchi come “i fratelli piccoli che devono pian piano imparare dai grandi”. Nonostante queste premesse, dalla divisione sono stati stipulati più di 100 accordi tra i due Paesi, che hanno riguardato sia la vita che l’economia di slovacchi e cechi. Non ultima la legge che garantisce il diritto agli studenti slovacchi di studiare in Repubblica ceca senza pagare tasse.
Un altro punto in comune tra Praga e Bratislava è il successo nella fase di transizione che entrambe hanno dovuto affrontare dopo la fine del regime comunista, anche se, come ha ammesso lo stesso Vaclav Havel, “era sbagliato pensare che il cambio di mentalità potesse arrivare prima” di molti decenni. L’eredità dell’occupazione sovietica, secondo l’ex presidente cecoslovacco, accomuna l’attuale classe politica sia ceca che slovacca, entrambe toccate dalla cosiddetta “normalizzazione”.
Una delle differenze che, però, caratterizza i due Paesi, separati proprio nel difficile periodo della “pubertà”, è la stratificazione sociale: più divisioni e sempre più profonde in Slovacchia dove la crescita dell’industria e le politiche di liberalizzazione insieme all’ingresso nell’Ue, hanno causato un aumento delle spaccature tra ricchi e poveri, tra cittadini perfettamente integrati ed europei e coloro che sono rimasti emarginati.
Un esempio per tutti quello dei rom, che rappresentano tra il 5 e il 10% della popolazione, a seconda delle stime, ma vivono in condizioni drammatiche e in un ambiente fortemente caratterizzato da episodi razzisti. Situazione che si è creata nonostante la forte crescita economica e la riduzione della disoccupazione che hanno caratterizzato la Slovacchia dal 2000 al 2005 (con una media superiore al 4,5%) e poi con il picco del 10,4% nel 2007.
Nell’ultimo anno, però, complice anche la crisi, tra la Repubblica ceca e la Slovacchia si è instaurato un nuovo legame, una nostalgia del passato che si è manifestata sugli schermi tv. Dalla separazione i due Paesi hanno sempre cercato di costruirsi identità nazionali ben distinte, figlie dell’eredità federale della Cecoslovacchia. Nel 2010 questo desiderio di stare insieme confrontandosi ha trovato il posto nella moderna agorà televisiva: alcuni produttori cechi e slovacchi hanno unito le forze, tagliato i costi e raggiunto un pubblico più ampio con “Czech-Slovak superstar”, un reality-talent show che ha avuto un enorme successo di pubblico, lasciando spazio a nuove trasmissioni e serie televisive ceco-slovacche nello spirito di collaborazione tra fratelli, ormai un po’ cugini alla ricerca di nuovi talenti.
Di Daniela Mogavero