FacebookTwitterLinkedIn

Le tendenze francofile prevalenti in Cecoslovacchia e il successivo avvento del fascismo in Italia resero irto di ostacoli l’avvio delle relazioni diplomatiche fra i due Paesi

Sebbene le prime relazioni e gli scambi in diversi ambiti tra l’Italia e le Terre ceche risalgano ai secoli lontani del Medioevo e del Rinascimento, è solo nel 1919, dopo la nascita della Cecoslovacchia, che inizia un ciclo importante di rapporti politico-diplomatici tra le due nazioni. Il centenario di tali relazioni, che si celebra proprio quest’anno, rappresenta un traguardo molto importante, soprattutto alla luce di quello che “Il secolo breve” – come è stato definito dallo storico Eric Hobsbawm – ha significato per l’Europa e per il mondo, dallo scoppio della Grande Guerra alla caduta del Muro di Berlino.

Accolto con tutti gli onori dalle autorità politiche della nuova nazione, tra le acclamazioni della folla che inneggiava all’Italia, il 28 gennaio 1919 arrivò a Praga, con la nomina di incaricato d’affari, il diplomatico italiano, allora quarantenne, Mario Lago.

Lago rimase nella capitale solo fino agli inizi del 1920, ma il suo contributo fu fondamentale per il consolidamento della rete di rapporti diplomatici tra i due Paesi. Dai documenti d’archivio si apprende che nel gennaio di quell’anno, Lago ebbe immediatamente un colloquio con il Presidente della Repubblica, Tomáš Garrigue Masaryk, che in tale occasione espresse sentimenti di profonda ammirazione e riconoscenza verso l’Italia per quello che questa nazione aveva fatto per il suo Paese nel corso della Grande Guerra, e anche dopo il conflitto, riferendosi soprattutto ai Legionari Cecoslovacchi in Italia che, formati ed equipaggiati nella Penisola, una volta ritornati in patria costituirono la base del nuovo esercito cecoslovacco. Masaryk si definì “italofilo” a tal punto – come egli stesso riferisce – da essere a volte criticato da alcuni suoi connazionali. Connazionali che, come vedremo, più che al Tevere guardavano altrove.

Nonostante la dichiarata “italofilia” di Masaryk e della maggior parte del popolo cecoslovacco, la missione diplomatica italiana giunse a Praga in un momento nel quale i rapporti erano molto delicati, in quanto la Cecoslovacchia – nonostante gli sforzi compiuti dall’Italia – si stava avvicinando sempre di più, sia politicamente, sia militarmente, a un altro alleato: la Francia.

A cavallo fra il secondo e terzo decennio del Novecento, tra Roma e Praga furono particolarmente intense le relazioni sul piano militare. Esponenti del governo italiano si recavano spesso in missione nei territori slavi per verificare le condizioni dell’esercito cecoslovacco e si dimostravano molto interessati soprattutto alle attività delle Officine Škoda impegnate nella produzione di armamenti. Nonostante l’Italia fosse stata la prima nazione a riconoscere la Cecoslovacchia e avesse armato e fornito un esercito per la sua difesa, si trovò presto a dover fare i conti con la Realpolitik ceca che – come ha ben illustrato lo studioso Fabiano Gritti dell’Università di Nitra nel suo articolo “La fine della missione militare italiana in Cecoslovacchia nel 1919 alla luce dei documenti d’archivio italiani” – in realtà si adoperava per eliminare l’influenza e la presenza italiane sul territorio, a favore di una maggiore partecipazione del governo di Parigi.

In questo difficile contesto, il 4 gennaio 1920, arrivò a Praga il ministro plenipotenziario Antonio Chiaramonte Bordonaro, in veste di rappresentante italiano con la funzione di ambasciatore. Il nome di Bordonaro è legato a una curiosa vicenda che riguarda la rimozione da Malostranské náměstí della statua del feldmaresciallo generale Josef Radetzky, fiero nemico dell’indipendenza italiana e responsabile del bombardamento su Milano nel 1848 durante il Risorgimento. In una vicenda che ancora oggi non è stata completamente chiarita, pare che nel 1921 la statua sia stata rimossa da Malostranské náměstí, in seguito alle proteste dell’Ambasciata d’Italia a Praga, guidata allora da Bordonaro.

Quest’ultimo rimase nella sede di via Nerudova fino al 1924, e fu tra i protagonisti di questi primi anni di relazioni diplomatiche cruciali per i due Paesi, entrambi in situazioni politiche particolarmente delicate. Se da un lato, infatti, la neonata Cecoslovacchia attraversava una fase di assestamento, soprattutto per quanto riguardava la politica estera, l’Italia era agli inizi di un ventennio che avrebbe visto l’avvento, l’ascesa e la caduta del Fascismo.

Sempre dall’analisi dei documenti diplomatici si evince un certo turbamento da parte del governo della giovane democrazia cecoslovacca proprio in occasione della Marcia su Roma. In seguito a questi eventi, Edvard Beneš, allora Ministro degli Esteri, in una lettera privata inviata ad esponenti del governo nell’ottobre del 1922, si diceva molto preoccupato per quanto stava accadendo in Italia, e soprattutto per il mutamento del governo nel Paese. Al tempo stesso, l’opinione pubblica e i circoli politici praghesi espressero una certa inquietudine per il timore di una rottura, per questioni territoriali, tra Italia e Jugoslavia come conseguenza dell’avvento del Fascismo, visto come una potenziale causa di guerra tra i due stati in cui la Cecoslovacchia sarebbe stata necessariamente coinvolta. Non bisogna dimenticare, infatti, che Praga aveva stretto fin dal 1920 un sistema di alleanze con il Regno di Romania e la stessa Jugoslavia: la Piccola Intesa, che aveva come scopi principali la difesa dall’irredentismo ungherese e l’impedimento di una restaurazione asburgica in Europa.

Interessante rilevare come in quei primi anni Venti, in certi ambienti politici di Praga, cominciasse già a crescere il timore di una possibile alleanza tra Italia e Germania, il cui forte nazionalismo era stato motivo di preoccupazione fin dai primi giorni di esistenza della Cecoslovacchia. Bisogna però dire che, nonostante i sospetti e le manovre politiche non sempre trasparenti, gli sforzi dei politici cecoslovacchi furono tutti tesi a un rafforzamento effettivo delle relazioni con l’Italia, e lo stesso Beneš si impegnò nel miglioramento dei trattati commerciali per facilitare importazioni di merci sfruttando principalmente il porto di Trieste, al tempo di vitale importanza per i traffici con l’Europa centrale.

Il 1922 segnò anche una tappa fondamentale per l’amicizia e le relazioni italo-ceche, grazie all’istituzione a Praga di quello che oggi è l’Istituto Italiano di Cultura, creato nel giugno di quell’anno, con il nome di “Istituto di Cultura Italiana” e con sede a Praga 2, in via Ječná al numero 26. Questa istituzione promossa dall’attività di intellettuali italiani presenti sul territorio, tra cui spiccava la figura di Giani Stuparich, che tra il 1921 e il 1922 fu il primo lettore di Lingua e Letteratura Italiana all’Università Carlo, aveva lo scopo dichiarato di “diffondere e approfondire la conoscenza della cultura italiana in Cecoslovacchia e di organizzare reciproci rapporti intellettuali e artistici con tutti i mezzi adatti a tale fine” (art. 3 dello Statuto Sociale). L’Istituto fu inaugurato ufficialmente il 2 marzo del 1923 alla presenza dell’ambasciatore Chiaromonte Bordonaro e del ministro Beneš. Lo stesso Presidente della Repubblica, T.G. Masaryk, contribuì con una donazione in danaro di 5.000 corone alla creazione dell’ente. Sempre nel 1923, Beneš intraprese un viaggio a Roma nel corso del quale discusse con Mussolini in merito alla questione ungherese e ai rapporti economici tra Italia e Cecoslovacchia, ma l’esito dell’incontro non soddisfò pienamente le attese. Dalla lettura dei documenti diplomatici relativi a questo periodo, si apprende anche l’atteggiamento della stampa cecoslovacca nei confronti del Fascismo, in particolare in seguito al delitto Matteotti: atteggiamento ora di condanna, ora più blando, a seconda dell’evolversi della situazione politica e dei rapporti bilaterali.

Nonostante un’occasionale diffidenza reciproca, soprattutto dalla parte italiana, per via del timore, in realtà fondato, che sia Masaryk, sia Beneš stessero cedendo in parte alle pressioni e alle lusinghe dell’alleato francese i cui interessi in Europa centrale erano molti e importanti, bisogna comunque valutare positivamente i rapporti tra Italia e Cecoslovacchia nel periodo in esame. L’amicizia tra i due Paesi, oltre che sul piano culturale, diede frutti importanti anche per quanto concerne i rapporti commerciali, potenziati soprattutto nella seconda parte degli anni Venti. Roma e Praga manifestarono sempre la volontà di mantenere buone e proficue relazioni che, nonostante alcuni momenti di crisi nel corso della complessa storia del XX secolo, durano e sono ancora stabili, oggi più che mai.

di Mauro Ruggiero