Il partito Comunista ceco moravo (Komunistická strana Čech a Moravy, Ksčm) – noto per essere in Europa il più legato alla vecchia tradizione sovietica – avrà con ogni probabilità, il prossimo gennaio, un ruolo decisivo per la elezione del futuro presidente della Repubblica Ceca, che per la prima volta nella storia di questo paese sarà scelto direttamente dai cittadini.
Quasi un quarto di secolo dopo la Rivoluzione di Velluto, potrebbe sembrare una prospettiva sorprendente, ma lo è solo a prima vista. A maggior ragione dopo l’appuntamento elettorale dello scorso ottobre (voto per le regionali e senatoriali), quando il Ksčm si è imposto come seconda forza politica nazionale, conquistando circa il 20% dei consensi e sfruttando al massimo l’impopolarità dell’attuale governo di centrodestra.
A ben vedere, la posizione di ago della bilancia dei Comunisti nelle elezioni presidenziali non è comunque una novità. Anche il conservatore Václav Klaus (allora esponente dell’Ods), sia nel 2003 che nel 2008, non sarebbe stato probabilmente eletto se non avesse potuto contare sul sostegno tattico del partito Comunista e persino su una serie di voti di parlamentari Ksčm.
Nelle prossime elezioni di gennaio, come già precisato, saranno però le preferenze dirette dei cittadini a contare. Ecco perché l’elettorato comunista – che da sempre si distingue per la disciplina con la quale segue le direttive dei capipartito – potrebbe avere un ruolo ancora di più decisivo.
Ecco perché due dei candidati favoriti, entrambi di sinistra – il socialdemocratico Jiří Dienstbier e l’ex premier Miloš Zeman (ex capo socialdemocratico, ora leader del partito dei Diritti dei cittadini) stanno facendo tutto il possibile per assicurarsi l’appoggio del Ksčm, che, tra l’altro, ha deciso di non presentare un proprio candidato alle presidenziali.
Sia Zeman che Dienstbier hanno già iniziato la loro opera di corteggiamento, dichiarando sin dall’inizio della campagna elettorale, che non avrebbero alcun problema – nel caso di nomina presidenziale e nel caso i voti dei cittadini lo rendessero possibile – a nominare un futuro governo composto o appoggiato dai Comunisti.
Va anche detto che, da parte del Ksčm, non mancano alcune riserve nei confronti di entrambi. Per quanto riguarda Zeman, disturbano alcune sue posizioni in politica estera, soprattutto il fatto che si sia detto favorevole a un eventuale attacco preventivo contro l’Iran, prospettiva che i Comunisti rifiutano categoricamente. Non manca inoltre chi teme che la nomina al Castello di Zeman – ex leader Socialdemocratico, partito che poi ha abbandonato polemicamente – possa ostacolare futuri programmi di collaborazione fra Ksčm e Cssd. Di Dienstbier non piace invece ai Comunisti il fatto che sia contrario allo sfruttamento della energia nucleare.
Nel complesso, sia per l’uno che per l’altro, non si tratta comunque di impedimenti insuperabili agli occhi degli elettori comunisti.
Da mesi i sondaggi in vista delle presidenziali danno come primo favorito il candidato indipendente Jan Fischer, ex premier tecnico e statistico di professione. Le proiezioni riguardano però solo il primo turno delle presidenziali, fissate per l’11 e il 12 gennaio, quando Fischer ha in effetti concrete possibilità di classificarsi al primo posto (28,1% secondo un rilevamento Factum di novembre). È quindi del tutto evidente che sarà il ballottaggio successivo, del 25 e 26 gennaio, a dare il responso decisivo. Proprio in quei giorni il voto compatto dell’elettorato comunista potrebbe veramente avere un peso fondamentale.
Una cosa è certa: i Comunisti cechi non voteranno per Fischer. Quest’ultimo prima del 1989 era iscritto al partito Comunista, ma ripete da anni di considerare un errore questo suo passato politico, una macchia della sua carriera. E per essere più convincente agli occhi dell’elettorato di centrodestra, quello evidentemente sul quale conta, ha dichiarato che da presidente si schiererà contro la possibilità di nominare governi formati o appoggiati dal Ksčm.
Zeman, sempre secondo la Factum, era dato a novembre al 19,4%, mentre Dienstbier non superava il 10%. A favore di quest’ultimo potrebbe però contare il fatto di avere alle spalle un partito come quello Socialdemocratico, prima forza politica del Paese, ma una serie di segnali lasciano pensare che alla fine potrebbe essere proprio Zeman, vecchia volpe della politica ceca, a spuntarla. Non solo al primo turno, ma anche al ballottaggio decisivo.
Tornato sulla breccia di recente, con la fondazione del piccolo partito dei Diritti dei cittadini, Zeman per otto anni, dal 2003 al 2011, è rimasto lontano dalla politica, andando a vivere in un villaggio di campagna. Un periodo di ritiro – come sostengono in molti – che gli è servito per preparare questa sfida per il Castello, senza mancare di dedicarsi alle sue due grandi passioni, che sono la lettura e, cosa di cui non fa mistero, la Becherovka. Su di lui scommette anche l’attuale capo dello Stato. “È una delle personalità di maggior statura della nostra politica” ha detto Václav Klaus di lui.
Da valutare è inoltre la vicinanza di Zeman ad alcuni personaggi, di forte influenza lobbista e finanziaria, che gli stanno assicurando, secondo vari analisti, importanti sostegni in vista della fase decisiva della campagna elettorale. Tra l’altro si tratta di personaggi noti per essere stati parte integrante, nel periodo pre ‘89, della nomenklatura comunista.
Anche questo è un elemento che i nostalgici del regime valuteranno quando andranno a scegliere il prossimo inquilino del Castello di Praga. Con buona pace di quanti sostenevano che l’elezione diretta del presidente dei cittadini avrebbe di fatto eliminato il peso dei Comunisti nella nomina del capo dello Stato. In realtà, esiste più di una possibilità che avvenga esattamente il contrario.
di Giovanni Usai