La cancellazione della gara per il raddoppio della centrale sembra anche un segnale a Mosca, ma la Repubblica Ceca non può tagliare i ponti con la Russia
Le posizioni del governo ceco dalla ferma condanna alle azioni del Cremlino all’appello alla Nato, dall’opportunismo alla richiesta di sanzioni
Sanzioni economiche alla Russia sono “inutili”, “dannose” e “lontane da venire”, secondo le posizioni ufficiali del governo della Repubblica Ceca. Ma niente può togliere dalla testa di molti che quella gara per l’ampliamento della centrale nucleare di Temelín – in cui i russi del consorzio Mir.1200 erano vicini al ghiotto traguardo – sia stata annullata non solo per motivi puramente economici, ma che ci sia qualcosa di più: un non tanto velato segnale, un avvertimento, o soltanto la prova più forte che poteva dare Praga di opposizione alla decisione russa di annettersi oltre alla Crimea altri possibili territori ucraini.
Le posizioni della Repubblica Ceca in questo scorcio di guerriglia diplomatica, che fa tanto vecchia Europa, infatti, sono tutt’altro che univoche e da stesse persone sono giunte frasi opposte in pochi giorni. A fare da capofila di questi stravolgimenti di fronte e ondivaghe dichiarazioni il presidente Miloš Zeman. Il capo di stato ha commentato in diverse occasioni l’annessione della Crimea alla Russia sostenendo che si tratta di un fatto compiuto e da cui non si tornerà indietro, proprio perché la decisione di “donare la penisola all’Ucraina nel 1954” da parte di Nikolaj Kruscev era stata “stupida”. Il presidente ha aggiunto però che la Nato dovrebbe comunque inviare le sue truppe se la Russia “tentasse di annettere altre zone orientali dell’Ucraina”. E ancora: “Se Mosca decidesse di allargare la sua espansione territoriale nell’Est dell’Ucraina, lì i giochi si chiuderebbero. A quel punto caldeggerei non solo sanzioni Ue più stringenti – ha detto Zeman – ma allerterei anche le forze dell’Alleanza atlantica”.
Ma che la cancellazione della gara per Temelín non sia solo dovuta al maggiore prezzo dell’energia e al costante aumento del costo del progetto (11 miliardi di euro) è evidente. Prima di tutto perché, prima dell’annullamento, il ministro per i Diritti umani, Jiří Dienstbier, aveva espresso molti dubbi sulla possibilità che la Repubblica Ceca potesse affidare al consorzio russo il piano in un momento in cui “il regime russo usa la forza militare e il ricatto”. E forse anche per tamponare i possibili effetti sull’interscambio russo-ceco Zeman ha subito chiesto che venga organizzata una nuova gara con l’ammissione di almeno quattro partecipanti: oltre a Westinghouse e a Mir.1200, la francese Areva e un eventuale investitore sudcoreano.
Che tra Russia e Repubblica Ceca ci sia un forte legame economico, del resto, è palese a tutti. E probabilmente anche per questo motivo il premier Bohuslav Sobotka non ha dato una posizione stringente sul tema Crimea; pur giudicando l’annessione “inaccettabile”, ha fermato sul nascere le polemiche su Temelín dopo le parole del ministro per i Diritti umani, sottolineando che Praga non può “permettersi di tagliare i suoi legami economici con la Russia per la questione Ucraina” e ha aggiunto di essere contrario a sanzioni di carattere economico, “misure che alla gente senza lavoro non portano niente di buono”. Le esportazioni ceche verso la Russia sono decuplicate negli ultimi 10 anni (il 5% dell’export auto è verso questo Paese), mentre è noto che il 70% del greggio e del gas utilizzati sul territorio ceco proviene dalle riserve russe, per non parlare dei turisti russi che solo nel 2013 hanno speso in Repubblica Ceca 400 milioni di dollari. La crisi in Crimea, quindi, non ha fatto che portare alla luce questi dati e con essi i timori che un inasprimento delle relazioni tra i due Paesi possa causare ricadute sull’economia ceca, import-export, ma anche la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro legati all’indotto. Tanto che il viceministro degli Esteri Petr Drulák ha evidenziato la necessità di “aumentare la diversificazione e gli sforzi per limitare la vulnerabilità dell’economia ceca dalla Russia sul lungo termine”. Intanto l’Sshr, l’ente statale che si occupa delle scorte di carburante e di materie prime necessarie per le situazioni di crisi, ha fatto sapere che la Repubblica Ceca ha petrolio sufficiente per 94 giorni e ha creato un’unità di monitoraggio. Delle tensioni post-annessione cominciano a risentire anche le aziende ceche che operano in Ucraina. La Škoda Auto, che ha uno stabilimento di assemblaggio, ha già ridotto il numero delle auto prodotte. I primi segnali negativi li ha già avvertiti anche l’azienda alimentare Hame.
(Il premier Sobotka firma l’Accordo di Associazione Ue-Ucraina – Foto: vlada.cz)
Chiaroscuri, tentennamenti, timori. E probabilmente lo stop a Temelín era il passo più coraggioso che si potesse fare contro un gigante amico-nemico come Mosca. Il dialogo diplomatico tra Praga e la Russia, infatti, è tutto fatto di dico e non dico, di condanne e di blandizie. Lo stesso Zeman, dopo aver sottolineato che l’annessione della penisola ucraina alla Russia è cosa fatta, ha aggiunto che gli eventi che hanno portato al referendum in Crimea saranno di sicuro meno drammatici di quelli “del precedente in Kosovo”, ed è noto come la Repubblica Ceca sia stato uno dei Paesi Ue che hanno riconosciuto con qualche mese di ritardo l’indipendenza del Kosovo.
E in questo panorama che ai più ricorda la Guerra Fredda, è riemerso anche il piano statunitense di creare un sistema antimissilistico tra Repubblica Ceca e Polonia, chiesto a gran voce dall’ex premier Mirek Topolánek. L’attuale ministro della Difesa Martin Stropnický, invece, ha lasciato il progetto nel cassetto e ha raffreddato anche gli animi di chi pensava a un intervento armato delle truppe Nato in Crimea: l’Ucraina, questo il ragionamento, non è membro della Nato e l’intervento dovrebbe essere concertato con l’Onu di cui invece fa parte la Russia. “Le pressioni diplomatiche possono essere aumentate”, ha aggiunto.
di Daniela Mogavero