La Repubblica Ceca si avvicina agli Usa e molla Pechino sul 5G. Sullo sfondo delle vicende diplomatiche il Covid-19 e lo scivolone con l’Italia
In piena emergenza coronavirus, tra Paesi in ginocchio e isole serene, tra approcci più restrittivi e atteggiamenti più rilassati, tra lockdown e distanziamento sociale, l’Europa e il mondo intero non hanno lasciato da parte le crisi diplomatiche e quelle commerciali, gli sgarbi istituzionali e le querelle. Non ha fatto eccezione la Repubblica Ceca che nel corso della pandemia non si è risparmiata sul fronte della politica estera e in particolare nella polemica con la Russia, sia per la rimozione della statua del generale sovietico Ivan Konev da una piazza della capitale, sia per la spy story che vuole nel mirino degli 007 russi il sindaco di Praga. E se il fronte russo ha fatto registrare grandi impennate, non sono mancate le notizie anche su quello europeo, americano e nei rapporti con l’Italia. In particolare, su quest’ultimo punto ha fatto discutere la bagarre sulle mascherine cinesi e il transito bloccato.
Russia
Per i cechi il simbolo dell’occupazione sovietica e della normalizzazione, per i russi un eroe della Seconda guerra mondiale. Ad aprile, la statua del generale Ivan Stepanovič Konev è stata rimossa da una piazza di Praga, dopo proteste formali e note di biasimo da parte russa, e – da quanto se ne sa – sarà visibile nel futuro Museo del XX secolo, che ancora deve essere aperto.
Konev era un leggendario comandante dell’armata rossa protagonista della liberazione di Praga dall’occupazione nazista ma nello stesso tempo “reo” di aver guidato l’invasione dell’Ungheria nel 1956.
La decisione del sindaco distrettuale di Praga 6, Ondřej Kolář (Top 09), avvallata da quello di Praga capitale, il pirata Zdeněk Hřib, ha fatto infuriare Mosca e anche il presidente ceco Miloš Zeman che ha accusato l’amministrazione locale di aver “approfittato dello stato d’emergenza per il coronavirus per rimuovere Konev”, parlando di una decisione “figlia della stupidità dei politici comunali”.
Per il ministero degli Esteri russo la rimozione ad aprile è stata “un atto di inimicizia e di vandalismo” e il ministero della Difesa di Mosca ha chiesto che la statua venga inviata in Russia. Il ministro della Difesa russo Sergej Šojgu ha chiesto al suo omologo Lubomír Metnar di intercedere per avere l’effige, ma le autorità ceche hanno risposto di non avere alcuna giurisdizione perché il bene è di proprietà della città di Praga.
Praga non è la sola città degli ex satelliti ad aver rimosso o danneggiato monumenti legati all’era sovietica, motivo per cui il presidente Vladimir Putin ha promulgato una legge che punisce con la prigione fino a cinque anni chi danneggia questi simboli della storia russa. Questo il motivo per il quale la Procura moscovita ha lanciato un’indagine sulla rimozione della statua di Konev, iniziativa bollata come una ingerenza da parte della diplomazia ceca.
E se questo esempio di bagarre non bastasse, a esacerbare i toni tra Praga e Mosca si è inserita anche la storia d’altri tempi, tempi da Guerra Fredda, secondo cui una spia russa sarebbe giunta nella capitale ceca con l’incarico di assassinare alcuni politici locali, fra cui il sindaco di Praga 6, Kolář.
Un uomo, in possesso di passaporto diplomatico del Cremlino, sarebbe stato individuato mentre sbarcava all’aeroporto di Praga con una valigia contenente ricina, un veleno micidiale. Tutte indiscrezioni che il settimanale Respekt avrebbe ottenuto da una fonte dei servizi segreti cechi, chiaramente anonima. Intanto a Kolář, al primo cittadino Hřib e al sindaco di Praga Řeporyje, Pavel Novotný, è stata assegnata una scorta di polizia.
Sulle spalle del sindaco Hřib, oltre alla rimozione della statua di Konev, pende anche la decisione di cambiare l’intitolazione della piazza di fronte all’ambasciata russa con il nome dell’oppositore del Cremlino ucciso, Boris Nemcov.
Anche sulla vicenda della spia russa è intervenuto il presidente Zeman, il quale in una intervista ha contestato la protezione degli amministratori comunali, precisando che la notizia dell’agente armato di veleno non è stata mai confermata dal Bis, l’agenzia di controspionaggio ceca. Posizione che sposa la linea dell’ambasciata russa in territorio ceco, secondo cui certe notizie “non hanno alcun fondamento e sono solo destinate a screditare Mosca”, vere e proprie “fake news” nelle parole del portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov.
Per certi aspetti paradossale è stata la vicenda delle 110mila mascherine e delle migliaia di respiratori, inviati da Pechino, destinati all’Italia e sequestrati in Boemia del nord, che stavano per causare una crisi diplomatica tra Roma e Praga.
Il carico di aiuti, infatti – dopo essere stato sequestrato dalle autorità ceche in un deposito, nel corso di una indagine su un presunto tentativo di speculazione sul prezzo di questi dispositivi – era stato subito distribuito per le necessità locali fra ministero dell’Interno ceco e Regione di Ústí nad Labem, in parti uguali. Tutto questo mentre l’Italia attraversava i giorni più drammatici della crisi coronavirus.
La questione si è risolta alcuni giorni dopo, quando – sulla base di immagini televisive del sequestro, che mostravano inequivocabilmente come una serie di pacchi fossero aiuti umanitari per l’Italia – l’Ambasciata d’Italia ha chiesto spiegazioni. È stato allora lo stesso ministro degli Affari Esteri, Tomáš Petříček, a scusarsi per il disguido e ad annunciare che la Repubblica Ceca avrebbe inviato al più presto in Italia 110mila mascherine dalle proprie scorte, in numero pari a quelle che avrebbero dovuto raggiungere il nostro Paese e sequestrate in Boemia. Un chiarimento che, pur essendo giunto dopo alcuni giorni, ha consentito alla vicenda di ricomporsi con un lieto fine, evitando che assumesse contorni assolutamente diversi.
Unione Europea
Sul versante Ue appaiono di rilievo le posizioni critiche assunte dal premier Andrej Babiš rispetto al Recovery Fund, lo strumento proposto dalla Commissione Ue con l’obiettivo di arginare l’impatto devastante del coronavirus, a favore dei Paesi che maggiormente ne sono stati colpiti, in primo luogo Italia e Spagna. Secondo Babiš, il Fondo di recupero, per come è prevista la redistribuzione delle risorse, è “ingiusto” e penalizzerebbe la Repubblica Ceca. Egli considera “inammissibile” che ad avvantaggiarsene possano essere Paesi già gravemente indebitati. “Tutto questo a nostre spese, nonostante il successo che abbiamo avuto nell’impedire la diffusione del virus e pur avendo i conti pubblici a posto” ha dichiarato in più di una occasione.
Per il resto, non sono mancate le critiche da parte di esponenti del governo ceco al modo con il quale la Ue si è posta difronte all’emergenza coronavirus. Per esempio, il vicepremier e ministro dell’Interno, Jan Hamáček, socialdemocratico, ha sottolineato che la reazione ceca alla pandemia è stata molto più rapida e migliore di quella della Ue, arrivando a dire, nonostante il mezzo scivolone diplomatico con l’Italia appena descritto, che “è stata proprio Praga ad aiutare certi Paesi membri, fra cui l’Italia, la Spagna nella pandemia”.
Huawei e Usa
Su questo fronte, segnaliamo il nuovo asse rafforzato della Repubblica Ceca con gli Usa. In un comunicato congiunto Praga e Washington hanno annunciato una cooperazione nella rete 5G e hanno stabilito rigidi requisiti di sicurezza della rete chiudendo di fatto la porta alla tecnologia 5G della cinese Huawei e a Pechino. Un passo che rende ancora più evidente il crescente allontanamento tra Praga e la Cina, dopo anni di corteggiamento e investimenti, dopo che le autorità ceche avevano sposato il progetto del presidente cinese Xi Jinping di ampliare la via della Seta e dopo che Huawei aveva anche gestito la comunicazione del presidente Zeman e del suo staff. Con le ultime decisioni di Praga si dà un colpo di spugna ad anni di diplomazia economica e politica.
Con questo nuovo patto Stati uniti e Repubblica Ceca intendono “rafforzare la loro cooperazione” nella banda ultralarga, con la protezione delle reti delle telecomunicazioni da disturbi o manipolazioni, e la sicurezza della privacy e delle libertà individuali dei cittadini di entrambi i Paesi. Praga, in pratica, ha sposato la posizione americana nei confronti del colosso cinese, posizione che vuole Hauwei fuori da qualsiasi gioco.
I due Paesi, nell’intesa, hanno dettato una lista di requisiti per la rete 5G, che dovranno essere rispettati anche da chi intende entrare nella banda, il tutto in un ambito ben preciso: i due Paesi, infatti “supportano le discussioni sulla sicurezza del 5G all’interno della Nato” e chiamano in causa i “Principi di Praga” sul 5G, contenuti nella dichiarazione finale della riunione di maggio del 2019 a cui hanno preso parte trenta Paesi alleati degli Usa, sia Nato che Ue, per ribadire che nella scelta del 5G “il rischio dell’influenza di un fornitore di un Paese terzo deve essere preso in considerazione”.
Un messaggio voluto fortemente dal segretario di Stato Usa Mike Pompeo che non solo punta a far capire a Pechino che la musica sta cambiando, ma che vuole lanciare un segnale agli alleati europei sul fronte del 5G e in particolare all’Italia che sul tema ha posizioni ondivaghe.
di Daniela Mogavero