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La scatola della memoria rievoca la storia dell’architetto Rudolf Wels

Una scatola rimasta intatta per quarant’anni in un armadio in Inghilterra riaccende oggi i riflettori della storia su uno dei più promettenti talenti dell’architettura ceca tra le due guerre. Una figura immeritatamente scivolata nell’oblio, quella del poliedrico Rudolf Wels, nonostante progetti e partecipazioni tutt’altro che trascurabili.

Un nome poco noto al grande pubblico che figura – insieme a quello della moglie Ida, del loro secondogenito Martin e a migliaia di altri – nelle impietose liste di coloro che hanno varcato i cancelli di Terezín prima e di Auschwitz poi, non facendo ritorno. Una drammatica vicenda umana che riemerge letteralmente da un cassetto e una carriera artistica che pur essendo lì, sotto gli occhi di tutti, non attendeva che di essere riscoperta, ammirata.

Più di altre, questa è una storia dai tanti inizi, dipende solo da come la si vuole raccontare. Si potrebbero seguire le intriganti tracce della scatola o del suo custode, oppure risalire a quelle degli straordinari cimeli contenuti. Tuttavia, si inizierà con il debutto di Rudolf – vero protagonista di questa storia – nel panorama architettonico dell’Impero austroungarico, certi del fatto che gli altri possibili inizi si ricongiungeranno alla narrazione. Un esordio che già nelle scelte del giovanissimo Rudolf preannuncia una carriera di successo.

Dopo essersi diplomato alla scuola di costruzioni di Plzeň, abbandonando il rinomato collegio premostratense verso il quale aveva dimostrato insofferenza, il giovane Rudolf lascia Osek e Plzeň per trasferirsi a Praga dove lavorerà con il costruttore Richter. Superato l’esame di costruzioni all’età di venticinque anni, Rudolf si iscrive all’Università Tecnica di Praga, uno dei più antichi e prestigiosi politecnici dell’Europa centrale. Ma all’intraprendenza di Rudolf sembra non bastare. Così, con il benestare del padre Šimon, tenta un’ardua impresa che riesce ogni anno a pochi talentuosi in tutto l’Impero: l’ammissione all’Accademia di Belle Arti di Vienna. L’inclinazione eccezionale per il disegno già lodata dai suoi insegnanti a Plzeň gli garantisce il successo. E Rudolf nel 1909 inizia i propri studi nella capitale dell’Impero sotto la guida dell’architetto Friedrich Ohmann, che si dice ricordasse con nostalgia il periodo di insegnamento praghese alla Scuola di Arti Applicate.

Il professore riconosce immediatamente lo straordinario talento di Rudolf che dopo solo un anno all’Accademia si aggiudica sia il premio Hansen und Schmidt sia l’ambita borsa di studio Romepreis per un periodo di approfondimento tra le meraviglie della città eterna. Nello stesso fortunato 1910, di ritorno da un viaggio in Scozia ed Inghilterra, Rudolf pubblica un opuscolo sulle città giardino, tema che lo ha entusiasmato e che ispirerà alcuni tra i suoi primi progetti.

Laureatosi all’Accademia, Rudolf rimane a Vienna per frequentare i corsi privati di Adolf Loos, la cui impronta sarà indelebile. Ancora una volta il suo talento non stenta ad emergere, aprendogli la cerchia dei collaboratori del celebre quanto controverso architetto. Il noto acquarello raffigurante la proposta di Loos per i magazzini Stein ad Alessandria d’Egitto – esempio di come la lezione americana ne abbia influenzato l’intera produzione – porta la firma proprio di Rudolf Wels, assicurandone il nome alla storia.

La Prima guerra mondiale segna il passaggio all’indipendenza tanto per la nazione ceca quanto per Rudolf che lascia Vienna, fa ritorno nella nativa Boemia occidentale dove sposa Ida e inaugura una nuova avventura professionale. A Karlovy Vary vive per oltre un decennio, lasciando molte opere e, senza dubbio, alcune delle più rilevanti. Tra queste, l’edificio alberghiero Bellevue dalla sintetica austerità loosiana e la modifica, insieme a Kurt Unger e allo stesso Loos, all’Hotel Esplanade, oggi demolito.

Neppure le nude geometrie dell’edificio termale per bagni ‘gassosi e solari’ Lázně VI esistono più. Il volume sul Teplá trovava una sobria monumentalità di schinkeliana memoria nel coronamento pergolato, nel piccolo e severo pronao e nel vestibolo tondo concepito come un tempietto. La palazzina residenziale che dal 2006 lo sostituisce ne mima l’impianto, il coronamento e, con discutibili terrazzi colonnati, tenta di evocarne anche il pronao.

A una ventina di chilometri, lo stesso 2006 che ha visto demolire il Lázně VI può vantare almeno il restauro della Hornický dům, la Casa Mineraria di Sokolov, cittadina della regione di Karlovy Vary. La rimozione dei pesanti marmi posti in facciata da un forzoso restyling ‘SoRea’ alla fine degli anni Sessanta – volto a conformare l’edificio polifunzionale ai tipici caratteri architettonici del realismo socialista – restituisce l’aspetto originale all’opera probabilmente più nota dell’intera produzione di Rudolf.

Pioniere della modernità, l’edificio progettato nel 1923 mostra un delicato equilibrio tra l’eleganza del linguaggio classico portata all’estrema sintesi e l’algida esattezza del nascente funzionalismo. Un timido esempio di ‘tradizione radicale’ in cui tuttavia emerge l’impronta loosiana nell’immagine del grande atrio e soprattutto nell’articolata sezione, nella quale va in scena il famoso Raumplan, espediente compositivo teorizzato proprio dallo stesso Loos. Nel 1925, anno dell’inaugurazione, l’edificio polifunzionale dotato di cinema, teatro, caffè e sedici alloggi vale a Rudolf sia una medaglia d’oro ritirata a Bruxelles sia molti elogi, tra i quali spicca quello della testata Gluck auf! che non esiterà a precisare come Rudolf fosse «non solo un geniale architetto, bensì un creatore “dell’arte dello spazio”».

Sin dal suo arrivo a Karlovy Vary, Rudolf avvia inoltre una proficua collaborazione con le cristallerie Moser, costruendo dapprima alcuni padiglioni per poi vestire con successo i panni del designer. Nel corso degli anni Venti infatti firmerà per il brand svariate collezioni di raffinati vasi e bicchieri – una delle quali premiata all’Esposizione Internazionale di Arti Decorative e Industriali di Parigi del 1925 (che si rivela per Rudolf un anno di successi) – e il restilyng dello showroom praghese nella storica galleria Černá Růže in Na Příkopě.

La sede d’impronta razionalista dell’Istituto distrettuale di assicurazione sanitaria del 1930, una delle ultime realizzazioni a Karlovy Vary, anticipa con le astratte e schematiche facciate rivestite in klinker i sette edifici residenziali che Rudolf costruirà con Quido Lagus tra il 1935 e il 1939 a Praga. Ormai pienamente funzionalisti, i sette edifici sparpagliati per la città si distinguono per le pronunciatissime strombature degli ingressi, le facciate con riquadri lievemente aggettanti sovente rivestite (spesso proprio in klinker) e le frequenti soluzioni d’angolo stondate e tagliate da finestre a nastro. La lezione di Loos non è stata dimenticata e qui diventa quanto mai attuale. Sempre in forme funzionaliste, ma con un’impronta più internazionale, all’inizio del suo secondo periodo nella capitale Rudolf realizza proprio nel cuore della città – tra Václavské náměstí e il Františkánská zahrada – l’estensione di Palazzo Alfa, che dagli anni Sessanta ospiterà il teatro Semafor.

Con ormai una cinquantina di progetti al suo attivo, durante il periodo praghese, Rudolf firma assieme a Quido le scenografie di quattro produzioni cinematografiche per Meissner, tra cui spiccano quelle di Hey rup! (1934) diretto da Martin Frič, dimostrandosi così un professionista poliedrico ed appassionato.

La brillante carriera di Rudolf – che viveva con la famiglia nell’attico di uno degli edifici residenziali progettati insieme a Quido – si interrompe bruscamente nel 1939 con l’instaurazione del Protettorato. È l’inizio della fine. Rudolf rimane senza lavoro e la famiglia senza casa è costretta a trasferirsi nella stanza di un appartamento condiviso, mentre il primogenito Tomáš riesce a riparare in Inghilterra, dove servirà come molti connazionali esuli nella RAF.

Quando alla fine della Guerra Tomáš farà ritorno in patria – già sposato con una ragazza inglese e padre – scoprirà di non avere più nessuno. Rudolf aveva chiesto un visto per gli USA, ma invano. Tuttavia, prima della deportazione a Terezín, Rudolf e Ida avevano lasciato ai loro amici Štifter una scatola.

Tomáš porterà questa scatola con sé in Inghilterra e non ne farà più parola. Solo alla sua scomparsa alla fine degli anni Ottanta il figlio Colin riaprirà la scatola, iniziando a ricomporre i frammenti della storia di famiglia. Oltre a cimeli, disegni e foto di famiglia, nella scatola troverà due manoscritti illustrati, straordinarie testimonianze di vita passata. Sancta Familia, scritto e disegnato da Tomáš e Martin per il Natale del 1938, ritrae scene della famiglia Wels, mentre U Bernatů, risalente al 1919, raccoglie le memorie del nonno Šimon, restituendo la quotidianità di un piccolo commerciante di un paese della Boemia occidentale di inizio Novecento. Il contenuto della scatola in mostra a Praga a Villa Winternitz riaccende i riflettori su Rudolf Wels e la sua storia, ricordandoci che – come si legge nelle pagine di U Bernatů – «la notte non è mai così buia da non essere seguita dal rossore del mattino e dal nuovo giorno».

di Alessandro Canevari