Trovato accordo di coalizione della futura maggioranza di centrosinistra, ma le questioni di contrasto appaiono rimandate o solo minimizzate
La Repubblica Ceca avrà presto un nuovo governo, ma sin da ora sono più i dubbi che le certezze sulla tenuta e sugli obiettivi del futuro esecutivo. Questa la sensazione dopo l’accordo di coalizione raggiunto a metà dicembre fra i tre partiti che si apprestano a dar luogo a una maggioranza di centrosinistra in salsa populista, guidata dai Socialdemocratici del Čssd e formata inoltre dai Cristianodemocratici del Kdu-Čsl e dal movimento Ano (Akce nespokojených občanů, Iniziativa dei cittadini scontenti). Quest’ultima è la neonata formazione guidata dal tycoon Andrej Babiš, impostasi nelle ultime elezioni come secondo partito.
Il governo insomma si farà, e a guidarlo sarà con tutta certezza Bohuslav Sobotka, 41 anni, leader Čssd. Tutta da verificare è però la capacità operativa del futuro esecutivo, con l’ipotesi non infondata che la Repubblica Ceca possa presto trovarsi di nuovo davanti alla necessità delle elezioni anticipate.
Sfogliando la formulazione dell’accordo, è già chiaro – in modo particolare sul nevralgico tema delle imposte – che si tratta del risultato di grandi compromessi. Dopo un mese e mezzo di discussioni e negoziati, le questioni di maggiore contrasto non sono state risolte, ma solo rimandate, oppure minimizzate.
È il caso appunto del capitolo tasse, dove si è imposta la volontà di Babiš – il Berlusconi della Repubblica Ceca – il quale ha respinto l’ipotesi di incrementare le aliquote fiscali, almeno per i prossimi due anni, a maggior ragione nei confronti delle imprese e non ha accettato neanche l’introduzione del registratore di cassa.
Tutti questi propositi sono stati invece fra i principali cavalli di battaglia elettorale dei socialdemocratici, i quali – come anche i cristiano democratici– avevano promesso un ritorno alla progressività delle aliquote nel caso delle persone fisiche e soprattutto un incremento del prelievo nei confronti delle società commerciali, con la possibilità di introdurre un’imposta di carattere straordinario per le grandi aziende del settore energetico, delle telecomunicazioni e per le banche.
“Anziché aumentare le tasse, pensiamo a rendere più efficiente il modo con il quale è gestita l’amministrazione pubblica. Solo dopo aver risolto il problema degli sprechi, della corruzione e delle ruberie, potremmo eventualmente prendere in considerazione l’ipotesi di aumentare le entrate fiscali, nel caso le esigenze di solidarietà sociale lo renderanno necessario” è l’argomento che Babiš – magnate del settore agrochimico e della editoria, uno degli uomini più ricchi dell’Europa Centro Est – non si è stancato di ripetere nelle ultime settimane. Senza mancare di aggiungere che “i Socialdemocratici potranno insegnarci tutti i segreti dell’arte della politica, come ci si comporta in un’aula parlamentare, quali siano le regole procedurali. Saremo invece noi a dare lezione a loro su come si fa a fare un bilancio, a rispettare i conti, a non sprecare i soldi, perché queste sono cose che noi imprenditori in azienda facciamo tutti i giorni, abituati come siamo a contare ogni corona dei nostri budget”.
Il risultato è che le imposte rimarranno per il momento inalterate e che i tre partiti decideranno strada facendo il da farsi.
Molti dubbi persistono anche sulla sintonia sul fronte europeo. Čssd, Ano e Kdu-Čsl hanno promesso che l’atteggiamento della Repubblica Ceca nei confronti della Ue è destinato a un radicale cambiamento, ma sugli aspetti concreti di questa nuova linea il testo del programma di governo è a dir poco nebuloso. “In realtà non credo proprio che la nostra politica Ue sia destinata nei prossimi anni a cambiare” ha infatti dichiarato Michal Kořan, direttore dell’Istituto dei rapporti internazionali.
Nel programma di governo è scritto che la futura coalizione “preparerà la Repubblica Ceca al futuro ingresso in Eurozona”, ma nessun termine concreto è indicato. Il dirigente socialdemocratico Lubomír Zaorálek ha parlato indicativamente del periodo 2019/2020. È però chiaro che, a proposito dell’euro, peserà come un macigno la avversione del miliardario Babiš, padre padrone di Ano, il quale durante la campagna elettorale ha più volte ribadito: “Sono un esperto di commercio estero e il mio gruppo di aziende è il quarto esportatore del Paese. Per noi l’ingresso in Eurozona sarebbe solo un danno. La corona è uno strumento indispensabile per stimolare e difendere la nostra economia”.
Babiš inoltre non ha mai nascosto di essere contrario a ogni forma più profonda di integrazione Ue. Riferendosi al Fiscal compact, ha detto: “Servirebbe solo a danneggiare la nostra sovranità nazionale” e per quanto riguarda il Sistema unico di sorveglianza bancaria, lo ha liquidato così: “Non ne abbiamo bisogno perché i nostri istituti funzionano già correttamente”.
Altro tema complicato – del quale non si fa alcuna menzione nel programma di governo – è quello delle restituzioni alle chiese dei beni confiscati durante il regime comunista. In questo caso è da valutare il modo con il quale i Cristiano democratici riusciranno a convivere con i partner della futura maggioranza, i quali invece, soprattutto i Socialdemocratici, considerano la legge sulle restituzioni eccessivamente generosa e si sono impegnati a promuoverne una revisione. Nel mirino della Čssd è in primo luogo la misura degli indennizzi finanziari previsti, 59 miliardi di corone (circa due miliardi di euro), da consegnare ripartiti in trent’anni, con rivalutazioni periodiche legate all’aumento della inflazione.
“Secondo noi è una cifra esagerata. Le chiese devono rendersi conto della delicata situazione finanziaria del paese e limitare le proprie richieste, allo stesso modo con il quale negli ultimi anni i cittadini hanno dovuto fare dei sacrifici per ridurre il deficit della finanza pubblica” ha ribadito anche di recente il futuro premier Sobotka.
Ad incombere sul futuro esecutivo è infine il Castello di Praga. Il capo dello stato Miloš Zeman non ha mai nascosto di non gradire il poco carismatico Sobotka come futuro premier. I due sono divisi da vecchie ruggini che risalgono al 2003, quando Zeman, tradito dal proprio partito, fallì il primo tentativo di candidarsi alla carica di capo dello Stato.
La sensazione è che il vulcanico Presidente, vecchia volpe della politica ceca, non mancherà di approfittare delle fragilità della coalizione per affermare il proprio potere. Ha già detto, in questi giorni in cui si discute della futura squadra di governo, di non essere disposto a nominare qualsiasi lista di ministri e di non voler accettare “candidati ministri privi di adeguate competenze”.
“La Costituzione mi attribuisce la responsabilità di nominare non solo il premier – ha detto Zeman – ma anche tutti i componenti del governo. Stando così le cose è evidente che io, presidente in pieno possesso delle mie facoltà mentali, debba interessarmi di chi saranno i futuri ministri. E se ci saranno motivi di ostacolo, io non li andrò a riferire ai media, ma sarò costretto a parlarne privatamente con il premier”.
Sarà tutto da vedere sino a che punto il futuro primo ministro Sobotka sarà disposto ad accettare i suggerimenti non richiesti del Castello.
di Giovanni Usai