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Fuggito dalla Cecoslovacchia comunista nel 1975, lo scrittore ceco troverà in Francia una seconda patria pronto ad accoglierlo

Guardare da una finestra osservatorio, dal trentesimo piano della torre più alta della città. Verso oriente, verso Praga. È il 1975 quando Milan Kundera attraversa l’Europa in macchina, in fuga, via dalla sua Cecoslovacchia, verso la Francia, fino a Rennes. Qui, con la moglie Věra, si sistema all’ultimo piano della Tour des Horizons, in questa «città brutta, veramente brutta», sorriderà lo scrittore di Brno, diversi anni dopo con il giornalista di Libération Daniel Rondeau. L’arrivo in Francia, Paese d’adozione e ormai d’appartenenza di Kundera, è schizzato in un passaggio breve, tagliente, ne Il libro del riso e dell’oblio; la vita entra nel romanzo: l’autore ha gli occhi piantati contro l’orizzonte dall’alto del suo belvedere, dall’alto della sua torre, che lo porta in cielo, che lo isola. E negli occhi una lacrima, «come una lente di telescopio», che «rende più vicini i loro volti», quelli degli amici poeti, rimasti nella capitale cecoslovacca fuggita dall’autore. Rimasti in un Paese che «dorme da otto anni nella dolce e vigorosa stretta dell’impero russo».
È uno straniero di 46 anni, un artista che guarda altrove, il Kundera di Rennes, del suo passaggio in città non resta quasi nulla. Sono gli anni in cui il romanziere cecoslovacco ritrova il francese, una lingua decisiva per la sua formazione letteraria, da Apollinaire a Rabelais, e nella quale si farà gran parte della sua produzione degli anni a venire. Nella città bretone gli è proposto un posto per insegnare letteratura comparata all’università di Rennes 2. Ci resterà fino al 1979, quando lascia la Bretagna per un posto all’École des hautes études en sciences sociales, a Parigi. Arrivato nella capitale Kundera è già uno scrittore ed un intellettuale affermato: all’inizio degli anni ‘70 Claude Gallimard, il più famoso editore francese, lo aveva incontrato a Praga ed era rientrato in Francia con un manoscritto de La vita è altrove, passato clandestinamente nel proprio bagaglio. È proprio quel libro a valere a Kundera il prestigioso riconoscimento francese Prix Médicis étranger nel 1973.

Ormai stabilito da qualche anno a Parigi, “impenitente” verso un regime dove le sue opere sono messe all’indice, a Kundera viene tolta la nazionalità cecoslovacca nel ‘79. L’autore è ancora di più, anche sulla carta, allontanato, sradicato, da un Paese di cui non è più nemmeno cittadino. Due anni più tardi sarà il presidente francese François Mitterrand – lo stesso dello storico incontro del 1988 a Praga, con Václav Havel e altri otto dissidenti del regime comunista – a concedergli la nazionalità francese, assieme allo scrittore argentino Julio Cortázar. In Francia il lavoro di Kundera sulla lingua è instancabile. Nei primi anni di permanenza nell’Esagono termina Il libro del riso e dell’oblio ed il suo più grande successo letterario, L’insostenibile leggerezza dell’essere, completato nel 1982, e pubblicato nel 1984: due opere ancora scritte in ceco. Allo stesso tempo è già cominciato un lavoro puntiglioso di revisione delle traduzioni dei suoi romanzi in lingua francese. Kundera scopre con sorpresa che la traduzione de Lo scherzo è in realtà una riscrittura, appesantita, barocca. È così che al lavoro di ricerca letteraria il romanziere affianca quello di ritraduzione delle sue opere, un lavoro al quale, ammette lo scrittore ceco: «dedico quasi più tempo che alla scrittura stessa».

Nei primi anni francesi Kundera concedeva interviste, faceva apparizioni televisive: l’uomo era scrittore, personaggio pubblico. Poi, col passare degli anni, l’uomo è diventato romanziere: solo allora, dice Flaubert, chi scrive sparisce dietro la sua opera. Così dal 1985 il romanziere nato cecoslovacco non concede più interviste, vive invisibile, ineffabile, come la sua prosa migliore, dentro il suo appartamento nel XIV arrondissement di Parigi, nel quartiere di Montparnasse. Una casa a cui hanno accesso solo i suoi amici intimi, e quelli della moglie Věra.

È La lentezza, terminato nel 1993, e pubblicato nel 1995, il suo primo romanzo scritto in francese: pagine in cui lo scrittore esplora e critica l’ossessione di velocità del mondo contemporaneo. Le sue opere sono accolte con entusiasmo dal pubblico e dagli intellettuali francesi. Kundera, ormai capace di scrivere nella lingua di Hugo, è diventato uno di loro. Tuttavia, nel 2003 questa armonia collaudata tra Kundera e la Francia si incrina: lo prova la pubblicazione del romanzo L’ignoranza, scritto in francese ma pubblicato prima in Spagna, dall’editore Tusquets, poi in mezzo mondo. La versione per i tipi di Gallimard arriva solo tre anni dopo, nel 2003. La rottura, e questa scelta forte, amara, è fatta contro una parte della critica francese che lo attacca per la sua prosa spoglia, come a volergli rimproverare di non appartenere a questa lingua, che è ormai la sua.
Ma il mondo intellettuale francese è anche presente, quando necessario, per fare quadrato intorno allo scrittore. È il 2008 quando la rivista ceca Respekt pubblica un documento del 1950 nel quale Kundera, allora comunista convinto, è indicato come colui che ha denunciato alla polizia di regime Miroslav Dvořácek, un giovane cecoslovacco di 21 anni, fuggito in Germania dell’Ovest, e arruolato dai servizi segreti occidentali per una missione in Cecoslovacchia. Il giovane è arrestato la stessa sera dell’interrogatorio e condannato a 22 anni di prigione. Ne farà 13 di lavori forzati. In molti mettono in dubbio l’autenticità del documento, e tanti scrittori, francesi e stranieri, si schierano al fianco di Kundera. Gabriel García Márquez, Orhan Pamuk, Philip Roth sono alcuni dei tanti. In Francia la scrittrice Yasmina Reza, in un papier sul quotidiano Le Monde, parla «d’offesa del silenzio», dicendo che è facile attaccare e difficile perdonare, ad un uomo grande e illustre, un portamento integro e silenzioso. Kundera, anche in questo caso non si espone, non grida: in uno scarno comunicato stampa esprime tristezza e smentisce con forza la notizia. Il suo nome resta grande, in Francia e altrove. Così nel 2001 la sua opera è ripubblicata da Gallimard, per la collezione della Pléiade, una delle edizioni più prestigiose del Paese. Kundera è uno dei pochi scrittori viventi ad essere consacrato nell’olimpo letterario francese. Più volte in lista per il premio Nobel, e spesso tra i favoriti, il romanziere ceco non ha ancora ricevuto il riconoscimento dall’Accademia svedese. Intanto, lontano dalle polemiche, dalla corsa al gossip culturale, dal circo mediatico francese, Milan Kundera continua a scrivere. Il suo ultimo libro, La festa dell’insignificanza, uscito nel 2013, è stato salutato dalla critica come un elogio al buon umore. È in un reale magico, dentro quell’appartamento chiuso al mondo, che quest’uomo di 85 anni, incanta ancora per l’eleganza della prosa, la forza dei personaggi, la presenza forte di un senso. Un romanziere tra due mondi: francese sulla carta, universale nella creazione.

di Edoardo Malvenuti