Tra Praga e Trieste, la storia dello scrittore che lottò per i destini delle nazioni ma pianse per l’egoismo dei nazionalismi
Kafka, Rilke, Hašek, Meyrink, i fratelli Čapek, Kraus… – così partono quegli elenchi, sempre parziali quanto affascinanti, che vogliono suggerire lo splendore letterario della Praga d’inizio Novecento, tra l’aroma di caffè e quaderni svolazzanti, scritti in ceco o in tedesco; melting pot culturale alla fine dell’età degli imperi e all’arrivo della modernità. Il lettore italiano è solito stringere gli occhi e immaginare questo mondo mitteleuropeo dai contorni sfocati, lontano per geografia e soprattutto per linguaggi, potendosi solo scaldare con un secolo di traduzioni – o, quando passa dalla capitale, visitando quei ritrovi famosi, il Café Slavia o il Café Montmartre, guardarsi intorno sognando gruppi di scrittori “stranieri”. Spesso ignaro del fatto che, in quel crogiolo d’artisti, si potesse intendere anche qualche parola in italiano.
Un passo indietro
Il 21 settembre 1914 il collegio tedesco dell’Università Carlo-Ferdinando di Praga (così si chiamava l’Università Carlo sotto gli Asburgo) accoglieva come Italienische Hausarbeit (tesi in italiano) un manoscritto intitolato “L’opera di Pasquale Besenghi degli Ughi”. Era la tesi di laurea del 23enne Giovanni Domenico Stuparich, detto Giani; un intellettuale italiano in Boemia, nel mezzo della mobilitazione per quella guerra che da lì a poco avrebbe distrutto e rivoluzionato il continente.
Due passi indietro
Trieste, sempre Trieste, porta per i sette mari tanto quanto per il cuore d’Europa. Trieste fu l’àncora italiana dell’impero multinazionale di Vienna e non è un caso che da qui partirono storie d’amicizia tra la penisola e i popoli slavi e tedeschi. Giani Stuparich vi nacque nel 1891. Giani portò con sé il fascino degli incontri già dalla culla: il padre, Marco, era originario di Lošinj, isola oggi territorio croato e al tempo italiana col nome di Lussino, la madre, Gisella Gentilli, triestina di famiglia ebraica. Nel 1902 si iscrisse al liceo classico di Trieste, il Dante Alighieri, fucina di una specifica generazione di intellettuali giuliani che lottarono per l’unità italiana. Liceo che, anni dopo, fornì più di quattrocento volontari, ancora studenti, a combattere per la patria. Anche per Giani fu questo il primo impatto con la componente politica dell’identità italiana, con i movimenti irredentisti, tra cui lui predilesse i sostenitori repubblicani, i socialisti e primi tra tutti i mazziniani; l’idea di un’Italia libera e unita, ma soprattutto democratica, in collaborazione e non in competizione con le altre nazioni europee. Finito il liceo, nel 1910, decise di iscriversi alla più antica e prestigiosa delle università dell’Impero: quella di Praga.
Prese casa nel quartiere residenziale di Vinohrady (Královské Vinohrady, per la precisione), al civico 11 della via Nitranská; era solito raggiungere l’università a piedi, scendendo in città dalla collina il cui nome ricorda ancora oggi i vigneti della corona, attraversando ogni giorno piazza Venceslao e restando affascinato dalle bellezze architettoniche del centro – tra i suoi edifici preferiti, il Klementinum.
Nei primi anni in Boemia, grazie anche ad un lungo viaggio nell’estate del 1911 tra Austria, Germania, Svizzera, Francia e Belgio, Giani ebbe modo di rafforzare gli ideali della Giovine Europa mazziniana, che lo portarono a condividere le animosità e i sogni delle nazioni in cerca d’indipendenza. Fu dunque naturale il suo interesse per il patriottismo ceco e slovacco, che tramite la sua penna trovava lettori amici anche in Italia: dalla fine del 1912 Stuparich collaborò con La Voce di Giuseppe Prezzolini (pubblicata a Firenze solo tra il 1908 e 1916, tuttavia oggi considerata tra le più importanti riviste italiane del Novecento), diffondendo un’immagine positiva delle lotte politiche a nord dell’Impero. In una lettera al fratello Carlo, così raccontava: “Vado parecchio intorno a cercar uomini czechi per pigliar contatto con la loro vita diretta. Ho fatto parecchie conoscenze nel partito di Masaryk, professori e maestri, molto intelligenti che pigliano la politica come un compito morale e vedono bene nelle questioni”. Nell’aprile 1913 venne pubblicato il suo articolo “Gli Czechi” e ancora tra giugno e luglio il testo “La Boemia czeca”, in cui venivano messe in luce non solo le questioni storiche nazionali, ma anche la modernità democratica del movimento sotto la guida di Tomáš G. Masaryk. In questi anni Stuparich svolse dunque un lavoro fondamentale a porre le basi per quella speciale relazione tra l’Italia e l’indipendentismo ceco-slovacco durante il primo conflitto mondiale.
Nell’ottobre 1913 Stuparich si trasferì a Firenze per completare i suoi studi, come diversi intellettuali triestini irredentisti – tra cui il suo amico Scipio Slataper. Tornò a Praga solo per discutere la tesi su Besenghi degli Ughi, scrittore istriano ottocentesco: italiano, romantico e risorgimentale. La sua laurea all’università carolina giunse mentre l’Impero era già in guerra, e mentre l’Italia attendeva, opportunista. Fu questo il momento in cui Stuparich e gli altri irredentisti premettero per l’intervento volto a liberare Trento e Trieste, e quindi si presentarono in prima linea – disertori per Vienna e volontari per Roma. Giani era al fronte mentre nelle librerie italiane arrivava La Nazione Czeca, l’opera che raccoglieva gli spunti già pubblicati sulla Voce. Col senno di poi, si potrebbe dire che l’intervento premiò le due patrie dello scrittore; nel 1918 Trieste si unì all’Italia e Praga divenne la capitale di un nuovo stato democratico. Ma il prezzo da pagare era stato alto.
Il triestino al fronte combatté, visse la trincea, venne ferito due volte, fu catturato e internato in cinque diversi campi austriaci. Il suo amico Slataper venne colpito a morte sul Monte Calvario. Nel 1922 Stuparich gli dedicò un libro (“Scipio Slataper”) e così raccontava della guerra: “Abbiamo visto e partecipato a una bufera da cui credevamo fosse stato rimesso su nuovi cardini l’universo. Ci ritrovavamo invece al posto di prima. Solo siamo più nudi. Le cose ci paiono snebbiate. Né più né meno che dopo un temporale di natura”. L’entusiasmo interventista era svanito, il sopravvissuto era spaesato e perso in una nuova stagione violenta e rancorosa. I sogni mazziniani di un’Europa federale erano lontanissimi. Amaro, nel suo “Trieste nei miei ricordi”: “Al mio ritorno nel mondo cercai di aiutare me negli altri e gli altri in me a trar profitto dalla dolorosa esperienza della guerra e a vivere socialmente meglio, con superamento almeno dei più bassi egoismi e con reciproca tolleranza: ragionevole risultato di tanti sacrifici e di tanto dolore. Ma il mondo, la società correva verso la china opposta, delle passioni sfrenate, dei rancori, dell’egoistica volontà di potenza, e mi ricacciava nella mia solitudine”.
Tra il 1921 e il 1922 Stuparich tornò a Praga per un anno, come lettore; ultimo ambasciatore culturale di un’amicizia tra due paesi destinati ad allontanarsi ancora una volta. I sogni dell’intellettuale triestino furono stravolti dalla storia; e lui, come promesso, si rintanò in sé stesso. A giugno 1922, prima di lasciare la capitale cecoslovacca, scrisse all’amica Elsa Dall’Olio: “Rientrerò nel piccolo ambiente di Trieste e della mia scuola, ma questa volta con la persuasione di dover tentare quello che altre volte non ebbi il coraggio di tentare: produrre per conto mio, creare”.
Dal suo rientro nella città giuliana le creazioni di Stuparich lo portarono nell’Olimpo dei grandi intellettuali italiani, più forti di quella “società che corre verso l’egoistica volontà di potenza” che affondò l’Europa negli anni Trenta. Chissà se pensò, Giani, a quei “professori e maestri che pigliano la politica come un compito morale” mentre i nazisti invadevano “la nazione czeca”; o se pensò a loro anche quando il fascismo finì per fargli vivere in prima persona l’orrore dei campi di concentramento, nel 1944, quando venne internato insieme alla moglie e alla madre (entrambe di origini ebree) nella Risiera di San Sabba – l’unico lager nazista sul suolo italiano – a seguito di una delazione. Fortunatamente solo per pochi giorni, grazie alle proteste, tra gli altri, del vescovo e del questore di Trieste. Giani sopravvisse anche a quella guerra; morì a Roma nel 1961.
Guardando oggi al passato riscopriamo l’importanza della passione politica di Stuparich, del suo impegno di scrittore per condurre tanto i suoi compatrioti italiani quanto i suoi amici “czechi” in un’Europa amica, fraterna, civile. Il giovane e curioso scrittore che inseguiva professori nei caffè praghesi era sicuramente in anticipo sui tempi; riscoprirlo oggi diventa necessario, per ricordarsi di superare i “più bassi egoismi”, per ricordarsi della reciproca tolleranza.
di Giuseppe Picheca