La storia di Marta Kubišová, cantante e simbolo di resistenza
L’ovazione e il silenzio. Piazza Venceslao è strapiena, commossa e composta, le mani al cielo, gli occhi gonfi, le bandiere al vento. Quando esce, Marta, sul balcone di palazzo Melantrich, è un giorno di fine novembre. È l’89. Vittoria e liberazione. E quella voce grave e soave che squarcia vent’anni di silenzio umiliante, con una canzone, di più, Una Preghiera per Marta, e per una nazione intera, lì sotto ad ascoltarla. Un punto a capo della storia cecoslovacca quell’inverno. La fine di un regime paranoico e perverso, capace di svilire e zittire una delle voci più belle del Paese, icona di bellezza, artista d’incanto: Marta Kubišová. Lei, che da quel giorno di novembre si è ripresa le scene per quasi trent’anni: concerti, teatro, televisione, in patria e all’estero, impegnata nella società civile e nelle campagne per la protezione degli animali, questa cantante dallo sguardo profondo è tornata ad essere il simbolo di una nuova Repubblica, Ceca e libera.
Ha ritrovato e continuato la musica che gli era stata proibita fino al novembre scorso quando si è esibita per l’ultima volta a Praga, nella mitica sala del Lucerna. Ma il cerchio di una carriera tormentata e straordinaria l’ha chiuso nella sua České Budějovice, il giorno del suo settantacinquesimo compleanno. È da questa città di provincia che Marta Kubišová, figlia di un cardiologo e di una casalinga, muove i suoi primi passi nel mondo della musica. Passa poi da una sala di teatro all’altra, dalla provincia alla capitale: dal teatro Alfa di Plzeň al Rokoko di Praga, una scena che ha visto nascere diverse vedette della canzone cecoslovacca come Helena Vondráčková e Václav Neckář.
È proprio con loro che Marta forma, nel 1968, i Golden Kids, un gruppo che ha da subito un grande successo. Già nella primavera del ‘68 il trio è in trasferta a Parigi, dove si esibisce all’Olympia in una serie di concerti. Un’esperienza che Marta Kubišová evoca ancora con affetto e passione per Progetto Repubblica Ceca: «Quando siamo andati in Francia con i Golden Kids, la Primavera di Praga era in pieno fermento. All’arrivo a Parigi ci siamo imbattuti nelle burrascose manifestazioni studentesche. Bruno Coquatrix – il direttore dell’Olympia ndr. – si è preso cura di noi come figli, ci suggerì di non fermarci durante il giorno in città. Ci faceva visitare i dintorni della capitale e ci riportava la sera all’Olympia per il nostro concerto».
Giorni di gioventù, musica e barricate. Ma quasi in concomitanza con quel mitico “mai ‘68” parigino, qualcosa di più tragico si prepara nel Paese della Kubišová e dei suoi compagni di scena. Per lei, il ritorno in Cecoslovacchia sarà l’inizio della catastrofe. La cantante, sostenitrice di Dubček durante la Primavera di Praga, dopo l’invasione sovietica d’agosto si rifiuta di cantare Cesta, un testo celebrativo per i soldati dell’Armata Rossa. Preghiera per Marta prende il suo posto.
Questa canzone, in origine, doveva essere solo una musica per la serie Una canzone per Rodolfo III, trasmessa della televisione ceca nel periodo 1967-1968: «Vi sia la pace in questa terra, scompaiano la cattiveria, l’odio e il rancore, la paura e le contese quando, o popolo, tornerà nelle tue mani il perduto governo dei tuoi destini».
Testo poetico e struggente che diventa subito un inno di resistenza contro la calamità di un’invasione straniera. Una canzone, un destino. Così Marta Kubišová ne parla alla nostra rivista: «Preghiera per Marta mi appartiene intrinsecamente e ho cominciato a sentirla quasi come uno zaino sulle mie spalle. Gli ascoltatori a volte dicono che sono nata proprio per questa canzone».
Marta, icona musicale della Cecoslovacchia della seconda metà degli anni ‘60, sarà una di quelle persone a pagare care le conseguenze di un non allineamento, personalmente e professionalmente. Per cominciare, il regime le vieta di esibirsi in pubblico, di farsi intervistare, di apparire in televisione. La radio non trasmette più le sue canzoni. Le autorità comuniste, meticolose e meschine, sapevano della sua simpatia per Dubček, che suo fratello si era esiliato dopo l’invasione sovietica e che diversi dei suoi amici affollavano già le file dei dissidenti.
Il colpo di grazia, per screditarla e annientarla è violento e volgare. Il regime si serve del sotterfugio di un fotomontaggio pornografico per zittirla una volta per tutte, disfarne totalmente la reputazione. È così che Marta Kubišová torna a vivere nell’anonimato, dapprima in campagna, poi in una azienda edile praghese dove lavora come impiegata fino alla rivoluzione di velluto dell’89.
Durante tutti questi duri anni di silenzio – nel 1971, a causa dello stress psico-fisico accumulato, ha un aborto spontaneo seguito da morte clinica – continua a mantenere i legami con i dissidenti cechi, si fa portavoce di Charta 77 nell’autunno del ‘78, e partecipa alle riunioni di artisti, filosofi e scrittori organizzate da Václav Havel e da sua moglie Olga nella loro casa di campagna a Hrádeček.
Nel giugno del 1979, quando le nasce la figlia Kateřina, Marta chiede proprio a Václav Havel di farle da padrino per il battesimo, ma sarà proprio in quell’occasione che gli sgherri del regime faranno la retata più famosa contro gli attivisti del dissenso. Havel viene condannato a 4 anni di carcere: «Mi mantenni in contatto con lui tramite la moglie che gli consegnava le mie lettere e i disegni di Kateřina», racconta la Kubišová ai microfoni di Radio Praga. Tutti questi anni di silenzio non la spezzano, non ne cambiano le posizioni, anzi le giustificano, le rinforzano.
Così, quando il 10 dicembre 1988 in piazza Škroupovo a Praga, può intonare l’inno nazionale in occasione della prima uscita pubblica del dissenso, il gesto ha una forza simbolica straordinaria. Neanche un anno dopo sarà affacciata a quel mitico balcone su piazza Venceslao per intonare la sua Preghiera: un’opera d’arte diventata «uno strumento efficace di lotta politica».
Ancora oggi un simbolo di resistenza, ancora oggi da zittire. È successo lo scorso novembre quando le guardie del corpo del Presidente ceco Zeman hanno fatto interrompere la canzone durante una protesta nella città di Lipník nad Bečvou. Una Preghiera per Marta non ha perso niente del suo vigore d’azione, anzi: «è una canzone che vive una sua vita e che continua a suscitare nelle persone emozioni e sentimenti forti».
di Edoardo Malvenuti