“L’euro non è in crisi, ma è anzi un’ancora di stabilità”
Il professor Mario Monti – presidente dell’Università Bocconi, ex commissario europeo per la Concorrenza e per il Mercato interno – commenta, nel corso di una intervista che ci ha concesso a Praga, gli ultimi sintomi di stanchezza da integrazione e di freddezza verso l’Eurozona che giungono dalla Repubblica ceca.
“L’euro è un’ancora di stabilità e sarebbe bene che tutti i cittadini della Repubblica ceca lo capissero”. Il professor Mario Monti non ha alcuna intenzione di venir meno al suo ruolo di difensore della Casa comune europea. Lo ha dimostrato anche a Praga, lo scorso 18 febbraio, dove è giunto, su invito del think tank Prague Twenty, per partecipare a una conferenza dal titolo “Europe on the Background of Euro Crisis”. Nella storica sala refettorio del Malostranský palác, si sono dati appuntamento ad ascoltarlo una serie delle più influenti personalità di questo paese in campo economico, politico e bancario. Persino alcuni ambasciatori. Una platea così numerosa e così qualificata da risultare quasi sorprendente visto il giorno e l’orario della conferenza, venerdì pomeriggio, quando normalmente a Praga tutti hanno già la mente rivolta al fine settimana.
E’ stato proprio in questa occasione che abbiamo chiesto al professor Monti di potergli rivolgere alcune domande e di realizzare l’intervista che vi proponiamo.
Professor Monti, quali sensazioni tornando oggi a Praga?
Ho trovato ancora una volta la Praga piena di fascino che tutti conosciamo, ma ho trovato anche una città molto interessata alle questioni europee, in particolare ai temi che io seguo da vicino, come quello del mercato unico e della moneta unica, anche se ovviamente per ora la Repubblica ceca non fa parte dell’Eurozona.
Durante i miei incontri odierni – prima nel corso di una colazione con il ministro degli Esteri Karel Schwarzenberg e coi rappresentanti di altri ministeri, poi durante la conferenza pubblica dedicata alla moneta unica e infine con il capo del Governo Petr Necas – gli argomenti di conversazione interessanti non sono certamente mancati.
L’argomento del giorno è quello della crisi dell’euro e della ritrosia della Repubblica ceca, probabilmente anche di altri paesi della Nuova Europa, a entrare in Eurozona
In primo luogo devo ribadire che non esiste, o comunque non esiste per ora, una crisi dell’euro. Esiste casomai una difficoltà seria di certi paesi dell’eurozona e questo comporta una crisi di alcuni meccanismi di salvaguardia che sono da rivedere e da migliorare. La moneta europea ha invece reagito bene: ha difeso il proprio potere d’acquisto e ha mantenuto un buon rapporto di cambio rispetto alle altre valute. Ha persino sorpreso la reazione pronta delle istituzioni europee in presenza delle crisi di alcuni paesi dell’Eurozona.
Resta il fatto che alcuni paesi della Nuova Europa, seguendo l’esempio della Repubblica ceca, potrebbero decidere di rimanere fuori dall’Eurozona? Che effetti ne scaturirebbero?
La crisi dell’eurozona ha sicuramente messo in luce che partecipare all’euro costituisce una responsabilità molto seria sia per il singolo paese partecipante che per l’effetto complessivo sul “condominio”. Non mi sorprende quindi che l’ingresso nell’euro sia oggi un passo da prendere meno alla leggera di quanto in altre circostanze possa essere accaduto. Questo atteggiamento della Repubblica ceca mi sembra quindi un segno di responsabilità. Così come, da parte di coloro che sono dentro la zona euro, c’è nei confronti dei nuovi ingressi una maggiore attenzione e un atteggiamento giustamente critico, a seguito anche dell’esperienza della Grecia.
Ma lei che argomenti utilizzerebbe con un pensionato della Repubblica ceca, un piccolo impiegato, che fa fatica ad arrivare a fine mese e che teme l’adozione dell’euro come possibile causa di rincari e quindi di ulteriori sacrifici?
Io distinguerei due aspetti. Per paesi con una forte inflazione o comunque anche per paesi con una inflazione appena superiore rispetto alla zona euro, come la Repubblica ceca, l’adozione della moneta unica europea non presenta un rischio di aumento dei prezzi. Teniamo presente che l’euro è costituito sul modello tedesco della stabilità monetaria, ha una banca centrale indipendente. L’Italia per esempio, se non avesse fatto parte dell’euro, avrebbe avuto anno dopo anno un tasso di inflazione ben maggiore. Di questo ne sono assolutamente sicuro e mi sembra una cosa di rilevanza fondamentale.
Il secondo aspetto?
D’altra parte, esiste il problema, nel breve periodo, del gradino dei prezzi che si può determinare al momento dell’ingresso in eurozona. In Italia, come è noto, lo abbiamo avuto. E ha portato alcuni a giudicare, a mio parere del tutto erroneamente, l’euro come un fattore di inflazione. Mentre per l’Italia, salvo il gradino iniziale, è stato un fattore di disinflazione. Molto dipenderebbe anche dalla campagna di informazione, da fare in anticipo rispetto all’ingresso in eurozona. In definitiva io credo che entrare in Eurozona significhi entrare in un meccanismo di stabilità, che mette al riparo anche da variazioni di regimi politici. Direi quindi che l’euro è un’ancora di stabilità.
La crisi economica? Da queste parti sembra che la ripresa sia iniziata. Qual è la sua opinione?
Sembra in effetti così, che la ripresa sia in corso. Tutti quelli che fanno previsioni però sono diventati più umili dopo gli insuccessi degli anni scorsi. Per quanto riguarda in particolare la Repubblica ceca, va detto che in Europa più vicini si è alla Germania meglio è, proprio per l’impulso che viene dalla rimessa in moto del motore economico tedesco.
A Praga è inevitabile un riferimento a Vaclav Klaus, l’euroscettico per eccellenza
Con il presidente Klaus ci conosciamo da decenni e fra di noi credo esista, sul piano umano, un rapporto di reciproca simpatia. Ricordo di averlo incontrato qui, verso la fine del 1995, quando io ero Commissario europeo e lui Primo ministro. Riferendomi a Klaus, direi che ogni paese per gli altri e per l’Unione europea presenta spigolosità e aspetti che andrebbero valorizzati. Certamente, quando si è trattato della ratifica del Trattato di Lisbona da parte del presidente Klaus sono emerse delle difficoltà. Adesso però non si tratta più di modificare trattati, ma di dare un contributo perché l’integrazione economica dell’Europa non faccia passi indietro, ma al contrario venga spinta di più e faccia dei passi avanti. Da questo punto di vista la Repubblica ceca è un fattore positivo per l’Europa. Non certo negativo.
Di Paolo Colombo e Giovanni Usai