Dopo la Brexit e la crisi dei migranti, il futuro dell’Unione dipende anche dall’Europa centrale
Nell’ultimo anno l’Unione europea è diventata una realtà manichea, in cui tutto è o bianco o nero, pro o contro, dentro o fuori. Dopo la Brexit questa opposizione tra le parti si è acuita e i fronti populisti, anti-Ue e nazionalisti in vari Paesi hanno alzato la voce chiedendo più indipendenza e meno vincoli, sia nell’ambito del bilancio che nelle politiche dell’accoglienza, da parte di Bruxelles. Su alcune di queste dicotomie si incastonano i punti di forza delle critiche del gruppo di Visegrád, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Polonia: no alle quote sui migranti, no alla troppa centralizzazione delle decisioni a Bruxelles e no a membri di serie A e di serie B. Per scardinare quest’alleanza centreuropea e anche per rinsaldare l’asse tra Praga e Berlino e tra Berlino e Varsavia, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha dedicato particolare attenzione al tour che l’ha portata nella capitale ceca prima e a Varsavia poi, per incontrare i V4. Una visita che in Repubblica Ceca ha avuto echi contrastanti: da una parte le proteste in strada, il presunto tentato omicida che ha inseguito il corteo tedesco e il poster con la cancelliera con jihab e baffi da Hitler, dall’altra i sorrisi e le strette di mano con le autorità ceche.
Quella di fine agosto è stata la prima visita della Merkel negli ultimi quattro anni a Praga e per i critici della cancelliera, che per molti rappresenta la “faccia dell’Ue”, è stata anche una “provocazione”. Nonostante i presupposti bellicosi, le critiche mai celate da parte del presidente Miloš Zeman, che ha paragonato la Merkel al “Buon soldato Švejk”, la visita ha evidenziato molti punti di coesione e di accordo tra i due Paesi. Molti, ma non tutti, come ha sottolineato il premier Bohuslav Sobotka: “Non credo sia stata una sorpresa per la cancelliera e non credo che ci sia nulla di nuovo. Ci sono grandi divergenze su come Repubblica Ceca e Germania vedono la situazione”, ha dichiarato Sobotka a proposito delle quote sui rifugiati, politica voluta fortemente dalla leader tedesca, ma osteggiata dai V4. “Non vogliamo lasciare la politica migratoria in mano all’Unione europea e non siamo d’accordo con qualsiasi quota obbligatoria e permanente di redistribuzione dei migranti”.
Ma, come detto, molti sono anche i punti su cui Berlino e Praga sono sulla stessa lunghezza d’onda: il rafforzamento della sicurezza interna e esterna dell’Europa, l’antiterrorismo, l’aiuto ai Paesi terzi da cui provengono i flussi migratori. “Ci sono molti temi su cui siamo d’accordo, anche rispetto alle politiche migratorie – ha sottolineato la Merkel. – Accogliamo il sostegno ceco a proposito dell’accordo Ue-Turchia e il sostegno alle forze navali nell’Egeo”. Anche se il tour post-Brexit della cancelliera aveva l’obiettivo di discutere il futuro dell’Ue e cercare di placare gli animi dei V4, inevitabilmente anche nell’incontro con Zeman il discorso si è concentrato sui migranti. “A differenza di altri politici che evitano il tema dei migranti in maniera cauta girandoci intorno, io ho detto nella prima frase che se inviti qualcuno a casa tua non lo mandi a pranzo dal tuo vicino. Era un’allusione al fatto che la Germania ha prima invitato i migranti e dopo ha cercato di trovargli un posto fuori dalla Germania con le quote” ha detto il capo dello stato. Merkel e Zeman hanno discusso anche di quanto fanno i Paesi di frontiera per limitare i flussi migratori, in particolare Italia e Grecia. E proprio contro i due Paesi si è scagliato a fine agosto il Ministro dell’Interno Milan Chovanec, che ha accusato Roma e Atene di non fare abbastanza, prospettando anche la possibilità di escluderli. L’Italia e la Grecia devono “necessariamente essere costrette a prendere sul serio questa situazione, perché il vero problema è l’estrema facilità con la quale si riesce a superare i confini di ingresso in Unione europea. In caso contrario, Italia e Grecia in Schengen non ci stanno a far niente” ha aggiunto il ministro.
Importante come la tappa di Praga, ma forse più simbolica per i cugini slovacchi e per le voci più critiche dalla Polonia e dall’Ungheria, quella di Varsavia, in cui la Merkel ha voluto tendere la mano e omaggiare i Paesi dell’Europa centrale, cercando di cancellare quell’idea di “membri di serie B”, che spesso viene rinfacciata a Bruxelles dalle capitali della Nuova Europa. “Sono lieta che Bratislava ospiterà il summit europeo, il primo senza Londra”, ha dichiarato parlando al fianco dei primi ministri di Polonia, Ungheria, Slovacchia e Cechia. “La tradizione di incontrarci a Bruxelles è una mancata opportunità di vedere la vera Europa. In un momento in cui non possiamo perdere di vista cosa l’Europa sia veramente”. Musica per le orecchie dei leader di Visegrád, come ha scritto anche il Financial Times in un commento alle parole della cancelliera. E nello stesso tempo un gesto di rispetto nei confronti della presidenza di turno dell’Ue affidata all’euroscettico slovacco Robert Fico. “Dobbiamo concentrarci su cosa ci tiene insieme, – ha insistito la Merkel ricordando gli ottimi rapporti tra Praga e Berlino e tra quest’ultima e Varsavia, che sono stati la colla che ha tenuto insieme est e ovest per molti anni – l’Ue deve essere più forte in futuro”.
Un concetto che i V4 vorrebbero sfruttare a loro vantaggio, cercando di fare asse con Paesi come Danimarca, Svezia e Olanda sulla necessità di “un’unione di capitali” con meno centralizzazione e meno decisioni prese a Bruxelles. Un’idea lanciata all’indomani della Brexit e che ha conquistato consensi. I quattro di Visegrád sono diventati in questi mesi una spina nel fianco dell’Ue e soprattutto di Jean Claude Juncker, presidente della Commissione europea, aspramente criticato anche in una lettera scritta. Lontani dal chiedere un referendum stile Brexit per uscire dall’Unione, che negli anni gli ha consentito di approfittare a mani basse dei fondi per l’espansione e lo sviluppo, i Paesi del centroeuropa vogliono più che altro iniziare a far pesare la loro importanza nelle decisioni e preferiscono definirsi “eurorealisti” piuttosto che “euroscettici”. “Date la colpa al nostro passato comunista ma non ci piace quando le politiche vengono decise altrove e ci si chiede di metterle in pratica”, ha dichiarato un ministro di uno dei Paesi.
Le divergenze restano molte e gli slovacchi, presidenti di turno, pur avendo promesso di gestire la crisi dei migranti e la Brexit in modo responsabile, hanno garantito che si atterranno al loro atteggiamento critico, soprattutto sulle quote e sulla politica di accoglienza. C’è tuttavia un tema sul quale Praga e Bratislava sono d’accordo con la Germania e diversi altri Paesi: la necessità di un esercito unificato europeo. Un’ipotesi che è stata rivitalizzata nel marzo del 2015 da Juncker e che affonda le sue radici negli anni Cinquanta. I governi di Repubblica Ceca e Slovacchia si sono detti d’accordo a discutere le prospettive future di un tale esercito per affrontare “le minacce interne ed esterne”, ha dichiarato Sobotka, aggiungendo di averne discusso con Angela Merkel che “ha le mani legate da alcuni limiti imposti dalla costituzione tedesca”, ma che come altri Paesi membri, ritiene ormai questo passo quasi inevitabile e cardine di una futura Unione, che sarà, senza dubbio, molto diversa da quella di oggi.
di Daniela Mogavero