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La storia del monumento, voluto da Masaryk, per rappresentare l’identità del nuovo stato e onorare i caduti della Grande guerra, tra difficoltà tecniche, stilistiche e diplomatiche

Tutta la città ed idealmente tutto il nuovo stato indipendente e democratico avrebbero dovuto poter guardare alla perpetua fiamma a memoria dei soldati cechi e slovacchi caduti in guerra. Fiero simbolo d’identità ed indipendenza, il monumento che avrebbe dovuto ospitarla o rappresentarla non poteva essere secondo a nessun altro e necessitava di una location adeguatamente rappresentativa. Affacciata sul quartiere medioevale di Malá Strana, la parte del giardino meridionale del Castello di Praga chiamata giardino del Paradiso (Rajská zahrada) avrebbe garantito un’ampia visibilità dalla città, offrendo al contempo una collocazione tanto nobile quanto scenografica.

L’alto obelisco avrebbe dato letteralmente forma, costruita e visibile, a principî ed ideali che animavano l’azione politica del presidente Tomáš Garrigue Masaryk, permettendogli di perseguire l’intento di rafforzarli attraverso l’Arte della quale egli era un grande appassionato. Forse per questa ragione il Presidente – platonico dai gusti raffinati – accolse immediatamente con entusiasmo la proposta per un tale progetto avanzatagli dallo sloveno Jože Plečnik della quale discussero sin dai loro primi incontri nel novembre 1920, quando lo nominò Architetto del Castello.

La sincera fiducia riposta in Plečnik e le condivise convinzioni sia nell’esistenza di un valore morale e politico dell’Arte che in un solido sogno panslavo – da perseguire attraverso l’Arte stessa – fecero del colto presidente Masaryk e di sua figlia Alice gli interlocutori ideali per lo scontroso architetto sloveno. La loro proficua e duratura intesa andò a vantaggio del glorioso Hradčany che lasciato nelle sapienti mani di Plečnik emerse gradualmente quale ritrovato centro artistico del mondo slavo.

Animato dall’intento di evidenziare armonie ed affinità tra il governo di Masaryk e l’antica democrazia greca, Plečnik si prodigò per dare forma artistica percepibile all’ideale filosofico del Presidente, guardando all’arte antica alla luce dell’insegnamento di Semper.

La prima versione progettata del monumento ai caduti in forme barocche si ispirava all’evocazione del barocco romano pensata da Plečnik per il giardino del Paradiso. Con l’immaginazione rivolta a quella romana di Piazza di Spagna, la magnificente scalinata terminante con una fontana avrebbe ospitato una colonna barocca coronata dal leone ceco vittorioso scolpito da Jan Štursa e terminante con la fiamma perpetua.

Se l’altezza ipotizzata di venti metri funzionale al raggiungimento del cornicione del castello evidenziò difficoltà tecniche, la scultura di Štursa non convinse né Plečnik da un punto di vista artistico né l’opinione pubblica per questioni ‘diplomatiche’. Non si fecero infatti attendere energiche critiche inizialmente da parte slovacca al felino in atto di sopraffare il loro stemma, alle quali naturalmente seguirono quelle da parte ceca alla versione riveduta della scultura con la doppia croce slovacca collocata sulla schiena del leone.

Il progetto ormai prigioniero di troppe avversità stava conducendo il silenzioso Plečnik ad un ripensamento, orientandolo verso l’idea originaria di un obelisco monolitico. Il definitivo impulso a voltare pagina arrivò dalle cave di granito di Mrákotín, non lontano da Telč, dalle quali giunse notizia dell’estrazione di un ciclopico blocco di trentaquattro metri di lunghezza.

L’opportunità di innalzare ai caduti cecoslovacchi un obelisco ricavato da uno tra i più grandi monoliti mai estratti entusiasmò tanto Masaryk quanto Plečnik che lo identificò quale punto focale dell’intero lavoro di restauro del castello. L’architetto si mise subito al lavoro recandosi in visita alla cava nel maggio 1922, tornandone sbalordito dalla dimensione del blocco, ma visibilmente preoccupato dai problemi tecnici che avrebbero potuto minare la buona riuscita del progetto.

Nonostante la determinazione iniziale dei due, animata da nobili ideali, il monumento ebbe un destino piuttosto travagliato, vedendo la luce – assai ridimensionato – solo nel 1928 in occasione della celebrazione del primo decennale della nuova Repubblica.

Sfortunatamente, le preoccupazioni di Plečnik si dimostrarono fondate. Il primo tentativo di estrazione nel 1922 fallì ed un nuovo tentativo ebbe luogo e successo solo nell’estate 1923. Il Presidente che finanziava il progetto con risorse private affidò il trasporto dell’imponente pietra ad una sinergia tra Škoda ed Esercito.

Un sabato di fine agosto, durante le operazioni di trasporto, un’incomprensione tra le squadre militari e quelle civili causò l’accidentale rottura di una catena e lo scivolamento della pietra lungo un pendio. La pietra si spezzò rovinosamente contro l’abbozzo della vasca in granito destinata anch’essa al giardino del Paradiso.

Masaryk reagì stoicamente alla notizia, mentre Plečnik cadde nella disperazione. Si narra inoltre che l’ufficiale responsabile del trasporto si suicidò per l’incolmabile senso di colpa.

Un nuovo tentativo ebbe luogo dopo poco tempo e in quell’occasione il blocco si ruppe proprio durante l’estrazione. Masaryk ne avrebbe acquistato immediatamente un altro, ma Plečnik optò per utilizzare la parte maggiore del blocco spezzato. Le nuove più modeste dimensioni del blocco indussero Plečnik ad un’ulteriore revisione delle forme del monumento nonché alla modifica della sua collocazione, destinandolo al terzo cortile del castello. Anche questa scelta scatenò polemiche, questa volta provenienti dalla Società degli architetti e da alcune prestigiose riviste di settore, purtuttavia non inficiando la decisione presa da Plečnik. Così il blocco di granito lungo quindici metri e mezzo e pesante centodieci tonnellate giunse a Praga nel dicembre 1924 grazie ad uno speciale vagone ferroviario e a causa del freddo intenso fu lasciato allo scalo merci per non incorrere in incidenti.

L’architetto ed il Presidente rimasero delusi da quelle che apparivano ai loro occhi dimensioni modeste rispetto a ciò che avevano originariamente immaginato per il monumento. La delusione e le critiche dai colleghi – tra le quali spiccano le durissime accuse mosse da Karel Teige – si concretizzarono per l’obelisco in un oblio lungo quattro anni, durante i quali Plečnik ignorò sia il ragguardevole blocco di granito sia gli incoraggiamenti a portare a termine l’opera provenienti dai Masaryk.

Il grande masso tornò in gran fretta al centro dell’attenzione nel 1928 in occasione del decennale della Repubblica, trovando sistemazione nel terzo cortile su una base di calcestruzzo. Lo si può rimirare tutt’oggi nel terzo cortile, sulla parte più sacra del suolo ceco, coronato da una piramide alta due metri rifinita in metallo dorato aggiuntagli nel 1996.

di Alessandro Canevari