Polemiche infinite attorno al recente film sulla mitica stella cecoslovacca. Negli stessi giorni un bel documentario cerca di fare nuova luce sulla sua vita
“Avrei potuto diventare famosa come Marlene Dietrich” disse un giorno, pochi anni prima di morire, mentre fumava l’ennesima sigaretta
Il fatto che un film sulla vita tumultuosa di Lída Baarová susciti forti reazioni nel pubblico ceco non coglie nessuno di sorpresa. Si tratta dell’attrice che sarebbe dovuta essere la “Marlene Dietrich cecoslovacca”, negli anni Trenta, ma si lasciò sfuggire l’opportunità di andare a Hollywood e seguire le orme della leggendaria star berlinese. Lída preferì restare in Germania e diventare l’amante del ministro della Propaganda del Terzo Reich, Joseph Goebbels. La relazione ha macchiato il suo nome in patria, e difficilmente troveremo un rovescio di fortuna simile nella vita di un altro attore. Con un’ascesa e caduta così spettacolare, e una vita drammatica piena di svolte tragiche, una trasposizione cinematografica sulla storia della presunta “collaboratrice” era inevitabile. Eppure nessuno si sarebbe aspettato una reazione così feroce al nuovo film di Filip Renč, universalmente stroncato dai critici cechi. Si meritava veramente un simile trattamento? O si tratta semplicemente di un soggetto spinoso e di un personaggio difficile da digerire e da perdonare per il popolo ceco?
Il film – intitolato in patria semplicemente “Lída Baarová”, ma “The Devil’s Mistress” (L’amante del diavolo) nella versione internazionale – inizia negli anni Trenta. L’attrice praghese, Ludmila Babková di nascita (classe 1914), è già fra le attrici più promettenti e popolari in patria quando riceve l’offerta di andare a lavorare per gli studi Ufa nella Germania Nazista. Nonostante le difficoltà linguistiche nel suo nuovo paese, e delle troupe tedesche non sempre fiduciose nella sua capacità recitativa, la Baarová riesce a superare i numerosi ostacoli sulla via della carriera internazionale, grazie anche al supporto dell’attore tedesco Gustav Fröhlich, con il quale recita in vari film. L’attore diventa presto il suo primo amante in terra tedesca. Le cose si complicano con le visite di Adolf Hitler e Joseph Goebbels agli studi cinematografici, soprattutto quando il secondo, pur essendo sposato, comincia a corteggiare la boema.
Purtroppo già dalle primissime scene del film si nota una messa in scena piuttosto impacciata per un film storico, con tocchi di umorismo, soprattutto nelle scene con la madre di Lída, interpretata da Simona Stašová, spesso fuori luogo. Ma anche le scelte degli attori finiscono con l’essere difficili da capire. La bellissima slovacca Táňa Pauhofová, ottima nella miniserie Burning Bush – Il fuoco di Praga (“Hořící keř”, nel 2013) sugli eventi che ruotano attorno la morte dello studente Jan Palach, somiglia poco alla vera Baarová: in primo luogo le manca il portamento solenne. La scelta dell’attore ceco Pavel Kříž nel ruolo di Hitler ha inoltre ricevuto molte critiche, mentre altre esigenze commerciali hanno condizionato il verismo dell’opera, si pensi alla scelta di doppiare gli attori tedeschi Karl Markovics (Goebbels), e Gedeon Burkhard (Fröhlich), in ceco.
Tuttavia è proprio la colonna portante del film, la storia d’amore fra l’attrice e Goebbels – con gli episodi storici nello sfondo – a steccare. Molti spettatori rimangono delusi dal fatto che Renč evidentemente si è poco interessato agli elementi storici e ha preferito fare un melodramma quasi “hollywoodiano”, senza però disporre dei mezzi; evitando, inoltre, di mettere in dovuto risalto il fascino della donna del quale il leggendario regista ceco Otakar Vávra affermò: “la sua bellezza faceva innamorare tutti gli uomini che incontrava”. La Baarová viene invece raffigurata come una bambina ingenua, del tutto ignara di quello che succedeva in Europa: lo spettatore non può che far fatica a sentirsi coinvolto nella vicenda.
La pellicola procede dunque con il racconto del dopoguerra, quando i comunisti si impadroniscono del potere in Cecoslovacchia e la stella, ormai in declino, viene condannata ad una pena detentiva per la sua presunta collaborazione con i tedeschi. Nello stesso periodo, gli interrogatori violenti del nuovo regime provocano la morte della madre e il tragico suicidio della sorella minore Zorka Janů. Zorka, nata Zora Babková, sulle orme di Lída, era anche lei in passato una delle attrici promettenti del cinema cecoslovacco, comparendo in film come Baron Prášil (1940) di Martin Frič. Tuttavia nel dopoguerra viene ostracizzata ed espulsa dal mondo del cinema proprio per l’infamia di esser sorella di una “collaboratrice”. Le scene del dopoguerra danno finalmente una certa forza emotiva al film, grazie alle interpretazioni di Anna Fialová (la quale forse sarebbe stata più adatta ad interpretare Lída rispetto alla Pauhofová) nel ruolo della sorella, e Martin Huba nel ruolo del padre. Lo sviluppo degli eventi prende però piede in un modo piuttosto frettoloso, ed il ritmo del film ne soffre di conseguenza.
D’altro canto c’è chi ha messo in discussione direttamente i motivi alla base della realizzazione di “Lída Baarová”, e soprattutto il ruolo del cantante Daniel Landa come produttore. Landa è ben noto nella sua patria per le sue vedute politiche di estrema destra, e c’è di conseguenza chi ha accusato il film di mitigare gli orrori del nazismo, soprattutto con l’uso del paragone alla violenza (anche psicologica) subita dalla famiglia di Baarová da parte del regime comunista che, come detto, portò alla morte sia della madre che della sorella.
Fortunatamente all’inizio di gennaio, oltre al disastroso film di Renč, è uscito nei cinema cechi anche il documentario “Zkáza krásou” di Helena Třeštíková, di certo una delle migliori registe di documentari della Repubblica Ceca. Třeštíková aveva condotto un’intervista con la ex-attrice nel 1995, dopo circa tre decenni di inattività, nella sua casa di Salisburgo – dove Lída Baarová morì cinque anni dopo, da tempo affetta dalla malattia di Parkinson. La documentarista ne fa buon uso ed è capace nel mix tra parti della intervista e filmati di varie opere provenienti dagli archivi di tutti i paesi in cui la Baarová ha lavorato. Anche questa pellicola ripercorre la vita della star, dai lavori con le vecchie glorie del cinema cecoslovacco – con i già citati cineasti Otakar Vávra e Martin Frič, così come con gli attori Hugo Haas e Vlasta Burian – fino agli anni tedeschi, il suo rapporto con Goebbels e l’incontro con Hitler, e gli anni difficili del dopoguerra.
Non manca nemmeno una parte dedicata agli anni passati in Italia (dal 1942 fino al 1945, e poi dal 1950 fino al 1955). Fu proprio nel Bel Paese che la diva riuscì a mettere in mostra le sue doti da attrice, e l’intervista con Třeštíková svela quanto fosse grata di aver potuto lavorare con nomi illustri come Vittorio De Sica, Eduardo e Peppino de Filippo, Amedeo Nazzari e soprattutto Federico Fellini nel classico “I Vitelloni”. È difficile annoiarsi guardando un documentario che descrive una vita così drammatica, piena di svolte, che sarebbe finita diversamente se la praghese non avesse rifiutato l’offerta di lasciare la Germania per andare a Hollywood. “Avrei potuto diventare famosa come Marlene Dietrich”, disse la vecchia stella boema riflettendo sulla sua vita mentre fumava l’ennesima sigaretta. Certo qualcuno potrebbe ancora rimanere deluso dalle affermazioni indifferenti della Baarová sul suo rapporto con Goebbels, e pur ammettendo la sua ingenuità dice che il suo unico rimpianto è stato quello di aver voltato le spalle a Hollywood. Forse è anche per questo che l’attrice, la più grande diva della storia del cinema boemo, non poté mai liberarsi dalle ombre del passato, e non sia stata mai amata dai suoi compatrioti quanto le colleghe Adina Mandlová o Nataša Gollová. Malgrado una vita e una carriera affascinante, la sua resterà sempre una storia poco accettabile per il popolo ceco.
di Lawrence Formisano