Braník, quartiere noto per il suo birrificio, un tempo era famoso perché vi si teneva in fresco non la birra, ma il ghiaccio
Il quartiere di Braník è sonnacchioso e si trova sulla riva destra della Vltava nel sud di Praga. È sospeso tra le propaggini della riviera di Podolí e il Sídliště di Modřany e non c’è praticamente nulla, ad eccezione – il che non è indifferente – di una stazioncina ferroviaria collegata direttamente a Hlavní Nádraží.
I più lo conoscono per la birra omonima, non tra le migliori ma di certo fra le più economiche da queste parti. Un po’ meno gente magari sa che c’è un parco, che è anche riserva naturale, ai piedi della curiosa rupe che domina la zona – e che gli dà il nome. Braník sembra infatti sia una contrazione di Branný Vrch, monte difensivo. Non c’entrano le porte della città (brány), insomma. E come potrebbe essere, dopotutto? Vyšehrad, effettivo confine sud della Praga antica, è a chilometri di distanza.
Lasciamo da parte il nome del quartiere e torniamo al birrificio, che è indissolubilmente legato al complesso di cui si tratta in questo articolo. Per quanto la Braník stia alla più famosa collega di oltre fiume, la Staropramen, come il Bohemians allo Sparta (Slavia non datur, la Braník è scarsa e simpatica, la Staráč dopo qualche tempo a Praga diventa insopportabile), in passato ha avuto un notevole vantaggio sulla concorrente. Aveva le ledárny dietro l’angolo. Dato che oggi di ledárny non ce ne sono più, è doveroso spiegare che cosa siano.
È facile capire che led-árna venga da led, ovvero ghiaccio. È un luogo in cui, prima dell’avvento del frigorifero, si conservava il ghiaccio, tant’è che pure in Italia abbiamo ancora strutture simili, le ghiacciaie. E il ghiaccio serviva allo scopo più antico del mondo, ovvero tenere in fresco la birra (ma non solo). Si trattava insomma di un magazzino in cui conservare acqua allo stato solido durante tutto l’anno per poi distribuire le lastre gelate, nel corso dell’anno, ai birrifici e a tutte le hospody di Praga, ma anche a ospedali e aziende alimentari.
E insomma, le ledárny a inizio secolo erano a Braník, mica a Smíchov, anche se non furono le prime nella capitale ceca. Prima che a Braník, la ghiacciaia cittadina era sull’isola di Štvanice. Questa a fine ‘800 era tuttavia diventata poco adatta allo scopo. Era in legno, per dirne una, e sull’isola di Štvanice si pianificava di costruire la centrale elettrica, per dirne un’altra. Si decise quindi di creare un nuovo edificio e la scelta ricadde su Braník. Questo perché la zona era tra le più fredde della città. In sostanza si trova dietro il colle citato in precedenza e quindi per una discreta parte del giorno è in ombra. Questo faceva sì che qui il fiume rimanesse gelato più a lungo. Oltre a questo, si trova in prossimità di una piccola baia, area che rendeva molto più facili le operazioni di taglio.
Lo stabilimento fu costruito dalla società Karlín Nekvasil tra il 1909 e il 1911 e, ovviamente, era all’avanguardia. Tra le varie cose, fu uno dei primi edifici in cemento armato di Praga, aveva degli speciali rivestimenti in sughero e un sofisticato sistema di ventilazione. Capienza pari a 20 mila tonnellate di ghiaccio. Architetto fu Josef Kovařovič, oggi pressoché dimenticato ma al tempo estremamente attivo. Sono in effetti suoi molti dei condomini liberty che troviamo a Josefov, Nové Město, Vinohrady, Bubeneč e Holešovice.
La nuova struttura servì la città per circa quarant’anni, poi fu rapidamente abbandonata. Ora, il motivo per cui le ledárny sono cadute in disgrazia potrebbe essere facilmente intuibile, altresì detto l’avvento dei frigoriferi. Ciò è in realtà errato. La fine del magazzino fu decretata, nel 1954, dalla costruzione della diga di Slapy, che magari non rese impossibile lo stoccaggio del ghiaccio, ma sicuramente ne impedì la raccolta. La costruzione della diga infatti portò a una stabilizzazione della temperatura delle acque della Vltava che, dal 1954, praticamente smise di ghiacciare (rimanendo di contro freddissima durante le estati).
La struttura comunque rimase nelle mani dello Stato socialista, che prima ne fece un magazzino di ortofrutticoli e successivamente, dopo il 1980, iniziò a valutare la possibilità di farne un museo. Il 1989 cambiò le cose, e con esse i proprietari delle ledárny, che in questi ultimi anni sono stati diversi, fra cui alcune società italiane, secondo quanto riportato dalla stampa ceca. Ma pure in questo caso i vari progetti di rivitalizzazione non sono stati mai portati a termine.
Negli anni 90 vi furono parecchie idee per utilizzare l’ex magazzino, non ultima quella di riconvertirlo in casa di piacere, dato che nella zona non vive nessuno e che al tempo queste operazioni andavano forte. Non se ne fece mai nulla, né di questo né di altri progetti, e la ex ghiacciaia fu abbandonata a sé stessa.
Sicché, arrivando di fronte alle Ledárny Braník oggi, l’ultima cosa che passa per la testa è di trovarsi dinnanzi a un edificio liberty. Oltre che in treno, ci si arriva facilmente dalla ciclabile che costeggia il fiume, si supera anche una curiosa area di allenamento per freestyler a due ruote e si ha la visione di un fabbricato marroncino e anonimo tra gli alberi. Superati pure questi alberi, l’idea è di aver sbagliato strada e di esser finiti in un kovošrot o sfasciacarrozze che dir si voglia. Macchine parcheggiate fittamente dovunque, cortili invasi un po’ da vegetazione e un po’ da lamiere di materiali vari. Muri scrostati e sbiaditi. Ma no, sugli edifici c’è scritto Ledárny, con grandi lettere in stampatello maiuscolo e in risalto, che hanno resistito sino a oggi all’abbandono. Quindi siamo proprio nel luogo giusto.
Per contro, si vede ad occhio che il potenziale dell’intero complesso è straordinario. Non certo per un suo reimpiego a scopi lavorativi. Le ledárny sono troppo piccole per divenire una fabbrica. Sono persino troppo strette, e quindi nemmeno le aziende ci potrebbero mettere un open space. Che poi, anche se il ghiaccio stava sotterra, è normale che la struttura soprastante in cui gli operai passavano la maggior parte del tempo doveva favorire la dispersione del calore.
Soprassediamo dunque l’impiego a fini industrial-lavorativi. Restano comunque un bel po’ di frecce all’arco di chi vorrebbe riutilizzare le ghiacciaie: posizione attraente vicino al fiume, in mezzo a un verde lussureggiante, nelle vicinanze non vive nessuno, parcheggio, fermate di tram e treno a pochi passi. Nella zona poi ci sono club di sport nautici e di equitazione, la summenzionata ciclabile che congiunge Modřany a Podolí, campi da tennis e pure una spiaggia (erbosa) che pare essere piuttosto popolare tra i praghesi. Insomma, questo complesso può essere riconvertito in praticamente qualsiasi tipo di centro per attività ricreative di fiume e di terra, senza contare l’impiego come hotel.
E infatti l’interesse dei privati per la zona è piuttosto alto, anche se non corrispondente a quello del municipio di Praga 4. Se da un lato si intende ristrutturare le ledárny, dall’altro si vorrebbe eliminare il verde e tirare su centri abitativi.
Lo scorso novembre il comune di Praga 4 ha infatti reso noto di aver ricevuto da un investitore privato una proposta di riqualificazione delle ghiacciaie in un centro multiuso. Il problema, come sottolineato dalla giunta, non è tanto la riqualificazione dell’edificio, e nemmeno la possibilità di costruirci qualcosa attorno, a patto che non si tratti di “edifici di 16 piani”. Il consiglio comunque si dichiara favorevole al progetto, a patto che vengano apportate delle modifiche, quindi non è detto che le ledárny rimangano in questo stato di abbandono a lungo.
Al di là di questo, in ragione della stazione di cui all’inizio, Braník vale un pomeriggio fuori dal caotico centro di Praga. Tenete conto che per arrivarci da Hlavní nádraží ci vogliono 15 minuti (col tram più di 40). Ma controllate bene gli orari del treno, perché ogni tanto l’intervallo tra due convogli è di un’ora e non di mezza, come per la maggior parte delle linky-S.
di Tiziano Marasco