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Gli innumerevoli interrogativi sul futuro preoccupano la maggior parte dei settori, dall’industria del turismo a quella automobilistica. Fin dall’inizio della crisi il governo ceco si è contraddistinto per un mix di attivismo e confusione

A metà maggio, dopo due mesi dalla dichiarazione dello stato di emergenza, in Repubblica Ceca hanno potuto riaprire i battenti praticamente tutte le attività economiche. Per le aziende e gli esercenti è venuto il momento di contare i danni con un sottofondo di incertezza dovuto a possibili seconde ondate di Coronavirus, agli aiuti statali e alle mutazioni nei comportamenti di consumatori e partner commerciali.

Un tonfo da dieci percento

Sebbene la Repubblica Ceca abbia evitato una chiusura totale dell’economia, come è accaduto invece nei paesi più colpiti come l’Italia o la Spagna, le perdite dovute all’epidemia si annunciano molto pesanti. La stima del ministero delle Finanze, che prevede per quest’anno un calo del Pil di circa il sei percento, è per ora tra le più ottimistiche. La Banca Centrale Ceca prevede un calo dell’otto percento, mentre altri analisti economici si spingono in previsioni ancora più nere. “La previsione di un calo dell’economia del dieci percento poteva sembrare pessimistica, ma alla luce degli eventi delle ultime settimane consideriamo che si tratti dello scenario più probabile” ha sottolineato l’analista economico di Deloitte, David Marek. I primi numeri indicano un calo del Pil nel primo trimestre del 2,2 percento ma dirimenti saranno i dati del secondo trimestre, il più colpito dalle misure di confinamento.

Secondo le stime dell’Unicredit, nei mesi dello stato d’emergenza l’economia ceca girava al 70 percento del suo potenziale. Ma la situazione non è uniforme in tutti i settori. Le attività più colpite sono ovviamente quelle che hanno dovuto chiudere per decreto governativo, vale a dire il commercio al dettaglio o la ristorazione. In questi settori il calo delle attività è stato anche nell’ordine dell’ottanta percento ed è stato solo in piccola parte recuperato dal commercio elettronico, vendita per asporto o consegna a domicilio. Inoltre, i pranzi, le bevute e spesso anche le compere non effettuate in questi due mesi non saranno con ogni probabilità recuperati da una domanda maggiorata a conclusione dei divieti governativi. Anzi, le regole di distanziamento fisico che, a quanto pare, dureranno per diversi mesi, mettono in ulteriori difficoltà numerosi esercenti.

Una situazione meno critica è nell’industria, che in marzo ha segnato, secondo le ultime cifre dell’Ufficio di Statistica Ceco un -10,8 percento con un calo di un quarto nel settore automotive. Molte industrie hanno sospeso in marzo e aprile la produzione, anche se non c’era un obbligo di legge. Le preoccupazioni per la salute dei dipendenti, le difficoltà nelle catene dei fornitori, i tempi di trasporto allungati e, last but not least, flessioni sensibili della domanda hanno spinto molte aziende industriali, a partire da quella più grande del paese, la Škoda Auto, a fermare le linee di montaggio. Ma anche tra le aziende industriali le posizioni per la ripartenza non sono omogenee. Le imprese che producono beni d’investimenti (ad esempio i macchinari) avevano prima della crisi, in media, un buon stock di ordini. Queste imprese dovranno affrontare numerosi problemi, come la rinegoziazione di alcuni contratti, il recupero della produzione persa o linee di fornitura più viscose, ma nella seconda metà dell’anno possono sperare in un forte recupero. I produttori di beni di consumo e simili, ad esempio delle automobili, invece dovranno probabilmente far fronte anche a un persistente calo della domanda.

Come ogni crisi, anche l’epidemia del coronavirus ha i suoi vincitori. In primo luogo si tratta, ad esempio, di piattaforme di vendita on-line di alimentari e di beni di consumo frequente, che hanno visto avanzare le loro quote del mercato. I negozi on-line sostengono che l’aumento dei volumi non si traduce automaticamente in crescita degli utili, peraltro già molto magri se non nulli nel settore, in quanto le misure di precauzione hanno portato a un aumento dei costi. Ovviamente le piattaforme sperano che l’aumento delle quote di mercato si stabilizzi nel tempo. Nutrono la stessa speranza numerose altre imprese attive soprattutto nei settori IT, che forniscono piattaforme per lavoro da casa, didattica a distanza e simili.

Mille miliardi di corone per salvaguardare l’economia

Fin dall’inizio della crisi il governo ceco si è contraddistinto per un mix di attivismo e confusione. Il premier Babiš e i suoi ministri hanno annunciato numerose iniziative a tutela delle attività economiche, tra cui i famosi mille miliardi di corone di sovvenzioni e garanzie, ma i risultati sono stati finora molto più modesti. In primo luogo, il governo si è concentrato sulla riduzione delle spese fisse per le attività colpite dai decreti. Rientrano in questo novero il programma Antivirus, tramite cui le imprese ottengono un parziale rimborso delle spese per il personale, il bonus di 25.000 corone per le imprese individuali e le varie moratorie sul pagamento dei debiti e dei mutui o dei canoni d’affitto. In quest’ultimo caso le misure vengono realizzate facendo ricadere il loro peso sulle banche e i proprietari degli immobili.

E poi c’è la questione della liquidità. “È chiaro che in questo momento la liquidità nell’economia ceca sta scomparendo più velocemente di quanta ne venga immessa con le varie misure adottate” sottolinea l’analista economico dell’Associazione Bancaria Ceca, Miroslav Zámečník. I programmi governativi di prestiti agevolati e di garanzie bancarie hanno finora avuto un budget di pochi miliardi di corone e sono andati esauriti in poche ore. A fine aprile la Camera dei Deputati ha approvato un disegno legge che permetterà l’avvio di un programma di garanzie bancarie da 150 miliardi di corone destinate alle piccole e medie imprese. Un certo sollievo è poi arrivato dalla Banca Centrale Ceca che ha allentato la sua politica monetaria e ampliato i margini di manovra delle banche.

Il costo previsto delle misure di sostegno e di mancato gettito fiscale è rappresentato da un deficit che lieviterà a 300 o 400 miliardi di corone. Grazie a un tasso di indebitamento tra i più bassi in tutta l’Ue, la Repubblica Ceca ha comunque ampio spazio per politiche di bilancio. Fino a questo momento il governo ha proceduto con il freno a mano tirato, dando precedenza a un controllo scrupoloso a scapito della velocità degli interventi. Come ricordano diversi economisti, anche se tutte le misure governative fossero attuate, l’indebitamento non dovrebbe superare il 45 percento del Pil.

Verso l’economia del futuro?

La domanda che tutti si pongono, è come cambierà l’economia dopo il coronavirus. Le risposte sono finora molto poche, ben più sono i desideri e gli auspici. È probabile che la crisi accelererà alcune tendenze già in atto, ad esempio un aumento del protezionismo. Alcuni settori affronteranno forti ristrutturazioni, ad esempio il trasporto aereo. Questo creerà nuove opportunità e molti investitori cechi con una buona disponibilità di liquidità ne vorranno approfittare. Dall’altra parte l’orientamento pro export dell’economia ceca potrebbe essere uno svantaggio se aumenteranno le tendenze protezioniste e se la zona euro sarà destabilizzata da una nuova crisi del debito.

Che le tendenze non siano univoche lo dimostra la questione della conversione ecologica. Mentre la Germania e altri paesi spingono per non diluire gli obbiettivi della transizione, altri governi, come quello ceco, vedono nella crisi del coronavirus un’opportunità per sospendere questi obbiettivi. Che il cambiamento non sia immediato né scontato lo dimostrano gli esiti di una riunione di governo di fine aprile, quando i ministri hanno deciso di tagliare i sussidi alle energie verdi e deciso di fornire garanzie governative alla costruzione di nuovi reattori nucleari a Dukovany. Più che un piano, il motto Czech Republic: The Country for the Future rimane uno slogan propagandistico.

di Jakub Horňáček