Destini incrociati di Italia e Repubblica ceca all’ombra dello Spielberg
Quando sta per scoccare il 150° anniversario dell’Unità d’Italia è naturale ripensare ad alcuni passaggi del nostro Risorgimento che hanno avuto a che fare con la storia della Boemia e della Moravia.
Come, per esempio il 9 maggio del 1859, quando da uno scoglio nei pressi di Quarto (Genova) il generale Giuseppe Garibaldi con il suo esercito formato da poco più di mille uomini salpava alla volta della Sicilia per strappare allo straniero gli ultimi territori che ancora occupava nella Penisola.
Fra le tante persone che seguirono l’epopea garibaldina vi era anche un giovane ceco, Jindřich Fügner, il quale rimase particolarmente affascinato dalla divisa dei garibaldini, vestiti di camicie rosse per non far vedere il sangue che sarebbe fuoriuscito dalle ferite.
Fügner era un impiegato della filiale praghese di una compagnia di assicurazioni italiana di Trieste. Recatosi nella città italiana, probabilmente per motivi di lavoro, fu attratto dagli ideali garibaldini e ne divenne un sostenitore.
In seguito Fügner fu, nel 1862, tra i fondatori del movimento ceco dei Sokol. Fu allora che pensò di utilizzare camicie dello stesso colore di quelle garibaldine per questo nuovo movimento, che avrebbe avuto come finalità la promozione dei valori morali e del nazionalismo ceco attraverso la pratica sportiva di gruppo. Non certo di secondo piano fu in quel periodo, la creazione da parte del Sokol di fornite biblioteche attraverso le quali i Cechi poterono prendere consapevolezza della loro Storia e risvegliare l’identità nazionale.
In Italia intanto i tentativi di riscatto dal giogo degli Asburgo era iniziato 40 anni prima, nel 1820 con le prime rivolte contro le decisioni del congresso di Vienna per raggiungere il culmine con i moti del 1848.
Il Congresso di Vienna aveva disegnato un’Europa saldamente in mano agli Asburgo, nel più completo dispregio degli ideali della Rivoluzione Francese, disinteressandosi delle aspirazioni di indipendenza dei popoli.
Solo cinque anni dopo la fine del congresso scoppiarono in tutta Europa le prima rivolte tese ad ottenere la concessione della Costituzione.
In Italia fece allora la sua comparsa la Carboneria, una società segreta avente come finalità la liberazione dell’Italia e l’unità nazionale. Della Carboneria facevano parte esponenti di primo ordine della cultura e della politica italiana di quegli anni. Fra di loro anche il poeta Silvio Pellico, il quale venne scoperto e arrestato insieme ad altri il 13 marzo 1820. Inizialmente venne imprigionato ai Piombi a Venezia, insieme ad altri Carbonari in attesa che venisse ufficializzata la condanna.
In quanto cospiratori e quindi rei di tradimento nei confronti dell’Imperatore la pena prevista era la morte. Ma per non surriscaldare il già rovente clima politico, molte di queste pene vennero commutate in carcere duro.
Fu proprio questo il destino che toccò in sorte a Pellico, il quale venne prelevato dalla sua cella ai Piombi e con altri compagni di sventura fu portato nella sua nuova destinazione, la fortezza dello Spielberg di Brno, luogo destinato a diventare un simbolo del Risorgimento italiano.
La cella che ospitava Pellico era un «orrido antro [con] un nudo pancone [...] per letto» e la luce proveniva «da un alto finestruolo». Ai prigionieri inoltre venivano incatenati entrambi i piedi, sì da limitarne la possibilità di movimento.
La prima cena consistette in un bicchiere di acqua, il pane lo ricevette solo il giorno dopo.
Le condizioni erano insopportabili e Pellico ben presto si ammalò rischiando anche di morire.
Sorte peggiore la subì il suo compagno, Pietro Maroncelli, a cui andò in cancrena una gamba che dovette essere amputata. Naturalmente senza molte attenzioni all’igiene, visto che non si riuscì a trovare neanche un po di garza per fasciare la ferite. Ma riuscì comunque a sopravvivere.
Entrambi vennero graziati nel 1830, dopo ben otto anni di carcere durissimo, e le loro strade si divisero: Pellico restò in Italia dove si disinteressò di politica e si ritirò a fare il bibliotecario per una baronessa e il suo carissimo amico Maroncelli emigrò in America dove si dedicò al mestiere di compositore e dove divenne amico di Edgar Allan Poe.
Consapevole di questo importante patrimonio culturale e morale del nostro paese nel 1925 la società Dante Alighieri sostenne la fondazione del museo dei patrioti italiani nel castello dello Spielberg, poichè come ricorda una targa del 1922 “fu da questi tenebrosi covili che santificata col martirio uscì vittoriosa la redenzione italiana”.
Dal 1931 al 1945 i locali in cui Pellico e gli altri nostri compatrioti patirono vennero dati in prestito all’Italia.
La presenza dell’Italia però non finì. Nel 1998 l’allora ambasciatore italiano a Praga, Maurizio Moreno, inaugurò i lavori di restauro al museo dello Spielberg.
Si giunge così al 2005, quando il comune di Brno per cercare di sostenere i notevoli costi di gestione (circa un milione e mezzo di euro all’anno) ebbe l’idea di trasformare quel luogo che fu teatro di patimenti, in un albergo di lusso, per rimpolpare le entrate del museo.
Tra i più attivi nella campagna di sensibilizzazione, contro questo progetto, vi fu il professor Aldo A. Mola – autore della biografia “Silvio Pellico” (Bompiani) – che sulle pagine del Corriere della sera del 17 ottobre 2005 scrisse: “Lo Spielberg ha un valore universale, perché vi furono reclusi anche patrioti cechi, ungheresi, polacchi, che si battevano per il riconoscimento dei loro diritti. Trasformarne una parte in albergo di lusso con ristorante significa offuscare la sua identità di monumento alle vittime della repressione asburgica”.
Tra le istituzioni italiane pronte a raccogliere l’appello non poteva certo mancare la Società Dante Alighieri che fece sentire la propria voce per scongiurare un simile affronto non solo all’Italia, ma a tutte le Nazioni che videro tra quelle mura imprigionati per motivi politici propri rappresentanti.
Tale scempio fu per fortuna scongiurato e possiamo solo augurarci che sarà così anche in futuro. Che ci sia sempre qualcuno pronto a battersi per degli Ideali, per farli vivere e non farli dimenticare affinché possono ancora servire alle generazioni futuro per cercare di migliorare la nostra società.
Di Marco Moles