Tra conflittualità creata ad arte e disinteresse, il voto Ue in Repubblica Ceca si preannuncia di semplice lettura: vinceranno Babiš e astensionismo
La Repubblica Ceca, dove l’euroscetticismo da tempo è di casa, si avvicina all’appuntamento di fine maggio con le elezioni europee in un clima di diffuso disinteresse.
Forse, a riscaldare il clima – ma pur sempre in senso anti Bruxelles – sarebbe potuta essere la crisi dei migranti. Negli ultimi mesi però, con la diminuzione degli sbarchi, il tema si è un po’ afflosciato, lasciando così i sovranisti anti Ue orfani del loro principale argomento, a maggior ragione in un Paese dove migranti africani e mediorientali praticamente non ce ne sono, e quei pochi che arrivano sono quasi sempre solo di passaggio, diretti verso la Germania e altri stati dell’Europa del nord.
È possibile che alle prossime Europee l’affluenza alle urne non sarà da primato negativo come accaduto nel 2014, quando da queste parti si totalizzò uno striminzito 18,2%, ma in ogni caso si tratterà nella migliore delle ipotesi di qualche punto percentuale in più.
Niente di nuovo, insomma, all’ombra del Castello di Praga e in un Paese che proprio quest’anno festeggia, si fa per dire, il 15° anniversario dell’ingresso nella Ue, avvenuto appunto nel 2004. Anche allora – poche settimane dopo le celebrazioni ufficiali per l’allargamento e i fuochi d’artificio che illuminarono a giorno il Ponte Carlo e la Moldava – il primo voto europeo della Repubblica Ceca attirò la partecipazione del 28% degli aventi diritto, sinora la percentuale più alta mai raggiunta qui.
Il perché di tale indifferenza e scetticismo verso la Ue, in un Paese che della appartenenza all’Unione e al mercato unico si è avvantaggiato in vari modi, non è facile da comprendere. Basterebbe ricordare che l’85% dell’export ceco è indirizzato proprio verso la Ue, il che è tutto dire per una economia industrializzata come questa, che vende all’estero l’assoluta maggioranza della sua produzione. La Repubblica Ceca poi, in questi 15 anni da Paese membro, è sempre stata beneficiaria netta dei fondi europei, a tal punto che, sino al 2017, ha ricevuto dall’Unione europea, al cambio attuale, l’equivalente di circa 52 miliardi di euro, avendone versati solo 22 miliardi.
Da alcuni anni gli indicatori economici registrano performance da far invidia, con disoccupazione ai minimi in Europa e robusta crescita del Pil. D’altra parte, i salari rimangono sempre molto bassi rispetto all’Occidente, i prezzi delle abitazioni a Praga e nelle principali città sono diventati proibitivi per un cittadino medio e il Paese sta fronteggiando una grave crisi del debito privato, con circa un cittadino su dieci alle prese con una esecuzione forzata. Non è tutto oro, quindi, ciò che luccica, e questa situazione, oltre che minare la coesione sociale, può servire a comprendere la frustrazione dell’elettorato, anche rispetto alla Ue.
Provando a prevedere i risultati delle prossime elezioni Ue, la sensazione è che – così come cinque anni fa – il più votato sarà il movimento di stampo populista Akce nespokojených obcanů, “Iniziativa dei cittadini scontenti”, acronimo Ano, guidato dal premier miliardario Andrej Babiš.
A proposito di coloro che beneficiano in maniera consistente dei fondi Ue, il capo del governo ceco è indubbiamente uno di questi. La Agrofert – la grande holding agrochimica, che a lui fa capo, pur dietro lo schermo di società fiduciarie – riceve da anni generose sovvenzioni europee.
Eppure, lo stesso Babiš, nello sforzo di sintonizzarsi col proprio elettorato, non perde occasione per manifestare sfiducia nei confronti di Bruxelles e della stessa moneta unica, dicendo a più riprese che non sarà questo governo a fissare una data impegnativa di ingresso in eurozona. Di recente ha avuto da dire anche sulla utilità del semestre di presidenza del Consiglio dell’Unione europea, che spetterà nuovamente a Praga nella seconda metà del 2022. “Costa troppo e a noi non porta alcun beneficio” ha dichiarato pubblicamente, pare persino arrivando a ventilare la possibilità che Praga possa rinunciarvi. L’indiscrezione è stata subito smentita, ma dà l’idea della sufficienza nei confronti della Ue con la quale il premier si prepara alle elezioni di fine maggio.
Lo scorso gennaio Babiš ha rinunciato alla possibilità di presentarsi davanti al Parlamento europeo, in assemblea plenaria, liquidando la proposta con queste parole: “quello è un posto dove si fa campagna elettorale. E poi non ha senso presentarmi davanti a gente che fra qualche mese sarà sconfitta alle elezioni e non ci sarà più”.
Appena un mese prima, a dicembre, l’Europarlamento aveva adottato a larga maggioranza – 434 voti a favore, 64 contrari e 47 astensioni – una risoluzione che sottolineava la posizione di conflitto di interessi di Babiš, con la richiesta alla Commissione di sospendere i sussidi Ue a favore del suo gruppo e di recuperare tutti i fondi ricevuti da Agrofert illegalmente o irregolarmente.
Il fatto che il premier si trovi in una grave situazione di conflitto di interessi è comunque ben noto agli elettori cechi. Durante la precedente legislatura, nel 2017, la Camera dei deputati aveva persino approvato una autorizzazione a procedere nei suoi confronti per una presunta frode ai danni dei fondi europei, utilizzati per la costruzione del resort Nido della cicogna. Tutto questo però non ha impedito a Babiš di vincere quasi tutte le competizioni elettorali alle quali ha partecipato dal 2013, vale a dire dalla fondazione di Ano.
Per quanto riguarda gli altri partiti – dai Civici democratici dell’Ods ai Pirati e Socialdemocratici della Čssd – neanche questa volta sembrano in grado di scalfire tale supremazia. Tutt’al più potranno battersi per il secondo posto, ma con percentuali che rischiano di essere pari alla metà di quelle di Ano, che i sondaggi danno vicino al 30% dei voti.
In calo appare il partito sovranista della Libertà e della democrazia diretta, l’Spd, guidato dal ceco giapponese Tomio Okamura, che pure alle elezioni politiche del 2017 è diventato la terza forza per numero di deputati alla Camera ceca. Ultimamente l’Spd sta pagando l’attenuarsi della crisi dei migranti, tanto più che questo è un tema rispetto al quale in pratica tutti i partiti cechi, pur con sfumature diverse, sono concordi nel dire no alla richiesta Ue di accogliere i rifugiati.
Fra gli argomenti che si prevede terranno banco nelle prossime settimane di campagna elettorale per le Europee c’è quello relativo alla doppia qualità dei prodotti alimentari. La Repubblica Ceca infatti – come altri paesi Ue dell’ex Patto di Varsavia – si sente discriminata in quanto, a parità di etichetta, vi si commercializzano talvolta alimentari di livello più basso per qualità, gusto e ingredienti di quelli venduti, talvolta anche a prezzi migliori, nell’Europa occidentale. Si tratta di un problema che aumenta la sensazione di molti cechi di essere cittadini europei di serie B.
Uno dei partiti che più si fanno interpreti dei sentimenti di frustrazione dell’elettorato ceco, in funzione anti Bruxelles, è quello comunista, il Ksčm. Questa forza politica – dopo quasi 30 anni ai margini – è tornata a essere decisiva per il governo del Paese, ed è grazie al suo sostegno esterno che l’attuale esecutivo di minoranza, composto da Ano e Čssd, può andare avanti.
Oltre ai socialdemocratici, le forze ceche più tradizionalmente filo Ue sono i liberali del Top 09 (che si presentano in alleanza col movimento civico dei Sindaci e indipendenti, Stan) e i cristiano democratici del Kdu-Čsl. In vista del voto europeo, rischiano entrambe di non superare la soglia minima del 5%.
In questo clima di diffuso euroscetticismo e in mancanza di forze politiche in grado di arrestarlo, si segnala una iniziativa che giunge dal mondo accademico ceco con l’intento di fronteggiare le fake news e le campagne di disinformazione anti Ue attese nelle prossime settimane di campagna elettorale. L’impulso è giunto dall’Università Palacký di Olomouc, il cui rettore ha invitato i colleghi degli altri atenei a dar luogo a una iniziativa comune, Euforka, il cui obiettivo è di far avere ai cittadini maggiori informazioni e soprattutto più precise sulla Ue. Docenti e studenti volontari – se la cosa andrà realmente in porto – si prenderanno la briga in queste settimane di andare in giro per le scuole, nei pensionati per anziani, ma anche nelle tipiche birrerie di provincia, a dare lezioni di Ue, a spiegarne il funzionamento e soprattutto a smentire i falsi miti che screditano il progetto europeo. Ad aderire sinora sono state una ventina di università, fra cui la Univerzita Karlova di Praga.
“Si tratta di una cura preventiva contro rischio Czexit” ha detto il rettore di Olomouc, lo storico Jaroslav Miller. “Oggi le forze politiche ceche e i cittadini che vogliono l’uscita dalla Ue sono la minoranza. Il problema è che lo Stato sta fatalmente perdendo la lotta nel contrastarle sul piano informativo. Potrebbe quindi essere solo questione di tempo che una minoranza strumentalizzata diventi maggioranza”.
In fondo, come qualche osservatore ha fatto notare, anche in Gran Bretagna nel 2016 sembrava impossibile quello che poi sta accadendo nella realtà.
di Giovanni Usai