Prima che sia troppo tardi: la Repubblica Ceca finalmente investe in una maxi ricerca sugli effetti dell’inquinamento atmosferico
Camminando per il centro di Ostrava, capita di arrivare in una piazza intitolata ad Edvard Beneš. La piazza è tagliata in due: da una parte una pavimentazione chiara; dall’altra, un giardino con degli alberi sparsi e un monumento al centro. Il monumento porta su di sé le statue di tre lavoratori, vecchio esercizio di realismo socialista. Due volti puntano dritto davanti, ma un operaio, invece, si volta, e pare che guardi il cielo. Uno sguardo preoccupato.
Il professor Radim Šrám, ecotossicologo dell’Istituto di medicina sperimentale (parte dell’Accademia delle Scienze ceca), è a capo della più grande ricerca sugli effetti dell’inquinamento atmosferico nel paese. La regione target è la Moravia-Slesia – la zona di Ostrava. La salute di circa otto mila persone tra le più “vulnerabili” – come chi lavora all’aperto (ad esempio, la polizia municipale) o i nuovi nati e le donne in gravidanza – sarà monitorata minuziosamente per cinque anni, e comparata con simili campioni della popolazione a Praga, Brno e České Budějovice. Il budget stanziato per il progetto, cofinanziato dall’Unione europea, è decisamente importante: 250 milioni di corone. Studi del passato hanno già dimostrato l’incidenza dell’inquinamento su malattie respiratorie e cardiovascolari, ma nessun lavoro è mai stato così ampio e dettagliato, dal numero di elementi inquinanti sotto analisi fino a possibili mutazioni nel Dna. “Questo progetto è davvero qualcosa di nuovo”, ha annunciato Šrám. Dopo decenni di polvere sotto il tappeto, a quanto pare la Repubblica Ceca ha deciso di analizzare a fondo la questione.
“Il cuore d’acciaio della Cecoslovacchia” è il soprannome che si guadagnò la città nel periodo comunista. Quando Klement Gottwald inaugurò la grande industria siderurgica di Nová Hut’ (“i nuovi stabilimenti”) il 31 dicembre 1951, questa si aggiunse alle miniere e alle fabbriche metallurgiche che già circondavano l’abitato da metà Ottocento. Oggi la fabbrica è ancora in piena attività, in mano al colosso Arcelor Mittal – una macchina su cinque, nel mondo, è prodotta con l’acciaio del gruppo. Lo stabilimento è il più grande della zona, ma la città vanta ancora due acciaierie, tre centrali energetiche e altri 25 stabilimenti minori. Lavoro e inquinamento, un rapporto strettissimo, morboso, che affligge la città come poche altre in Europa. Basta camminare tra i suoi quartieri popolari per rendersi conto, con un dito sulle pareti, della polvere scura che si ammassa tra i mattoni. Polveri di metalli pesanti, veri e propri veleni che galleggiano nell’aria. Nelle giornate invernali chiamate “d’inversione”, quando le nuvole basse e l’assenza di vento creano una trappola mortale, i fumi delle fabbriche restano lì, come nebbia sulla città. Se l’inquinamento non è una novità, anche la resistenza “verde” è in piedi da tempo; in primo luogo, dati alla mano. La dottoressa Eva Schallerová, pediatra, per oltre vent’anni ha curato i bambini dei quartieri di Radvanice e Bartovice, i più vicini agli stabilimenti industriali. Tra il 2010 ed il 2013, insieme al professor Šrám, ha pubblicato numerose ricerche sulle conseguenze dell’esposizione dei bambini alle emissioni inquinanti: proprio il lavoro di Schallerová e Šrám ha portato per la prima volta il problema sotto lo scrutinio dei media, non solo nazionali.
“Pezza a colore”
Un modo di dire molto comune in nei dialetti della famiglia napoletana, la “pezza a colore” è la soluzione improvvisata per ricucire una situazione compromessa, per porre rimedio a una brutta figura o a un errore, per renderli meglio digeribili. Il collegamento linguistico è immediato se si pensa al grande successo del Colours di Ostrava, un festival internazionale di musica che attira decine di migliaia di spettatori ogni anno. Il festival è ospitato nella vecchia fabbrica Dolní Oblast di Vítkovice, uno stabilimento metallurgico praticamente in città – nato nel 1828 su impulso dell’arcivescovo di Olomouc, Rudolf Jan (Rodolfo Giovanni d’Asburgo-Lorena). Chiusa alla fine degli anni Novanta, la vecchia fabbrica è ora la punta di diamante della transizione post-industriale della città. Ogni luglio i concerti del Colours prendono vita nella straniante atmosfera dominata da una fornace alta 65 metri. Grazie alla riconversione disegnata dall’architetto ceco Josef Pleskot, la nuova funzione civica e culturale della fabbrica dal 2012 a oggi si ramifica in sedi universitarie, alloggi studenteschi, ristoranti e caffè e, ciliegina sulla torta, un enorme gasometro (una struttura per immagazzinare il gas) è stato trasformato in un moderno auditorium, con una sala concerti da 1.500 posti e una galleria d’arte contemporanea. Gli amministratori locali, così come nazionali, puntano molto sul marketing politico del progetto Vítkovice – ed i risultati sono più che positivi sul piano d’immagine per la città. Ma ininfluenti sul piano ambientale.
Le buone pratiche e le misure portate avanti dalle autorità locali negli ultimi anni hanno un’efficacia molto limitata. Nel 2010 è stato lanciato il Fondo per i bambini a rischio inquinamento atmosferico, che organizza passeggiate in campagna per i bimbi dei quartieri più colpiti o borse di studio per migliorarne le condizioni economiche. L’amministrazione è anche orgogliosa delle misure per la sostituzione di stufe e boiler a carbone, gli investimenti nelle aree verdi e sul trasporto urbano. Le politiche “verdi” e la maggiore attenzione sono da elogiare, ma come ha chiarito una ricerca dell’Università di Ostrava, “Air Pollution and Potential Health Risk in Ostrava Region”, pubblicata nel 2016 su una rivista scientifica del settore (Central European Public Health Journal), la riduzione dell’inquinamento negli ultimi anni non è stata abbastanza per migliorare la qualità dell’aria. Da una parte il territorio ha “accumulato” inquinanti per lungo tempo, dall’altra le emissioni industriali (particelle Pm10 e Pm2,5) continuano a essere presenti in dosi massicce, tanto che l’aspettativa di vita in città è di due anni inferiore al resto del Paese. Anche il sito del Comune, elogiando i propri risultati, mette le mani avanti spiegando che “l’inquinamento proveniente dalla Polonia non può essere ridotto”. Tuttavia, c’è un proverbiale elefante nella stanza di cui non si vuole parlare: l’inquinamento industriale della regione. È chiaro che il problema è statale.
La battaglia per l’ambiente si sposta in tribunale
Convincere lo Stato a combattere le lobby industriali e imporre una legislazione ambientale ferrea non è cosa da poco, soprattutto contando di battersi con colossi quali Arcelor Mittal. Se fino ad oggi l’impegno di Ong e scienziati poco ha potuto per smuovere i legislatori, la battaglia si è recentemente spostata in tribunale.
Nel 2016 l’associazione Čisté nebe (Cielo pulito), con l’aiuto del pool legale di Frank Bold (associazione di Brno specializzata nel supporto legale su temi ambientali), ha fatto causa al Ministero dell’Ambiente ceco sostenendo che i programmi per contrastare l’inquinamento atmosferico a Ostrava non prevedessero alcun impegno od obiettivo reale; in poche parole, che fossero inutili per ricondurlo entro limiti ragionevoli. Le politiche volte ai centri di Ostrava, Karviná e Frýdek-Místek puntavano proprio nella direzione di migliorare trasporti e riscaldamento, ma tralasciando di considerare le emissioni industriali – che, però, contano per quasi il 70% dei fattori inquinanti. Tra 2017 e 2018 sono arrivate diverse vittorie in tribunale per le cause, pressoché identiche, presentate da varie associazioni in diverse città: Ostrava prima di tutte, e poi Brno, Ústí nad Labem e Praga. La corte ha sempre constatato l’inadeguatezza delle politiche ministeriali.
Kristína Šabová, della Frank Bold, non può che essere soddisfatta del successo; “Il Ministero deve ora preparare gli aggiornamenti per tutte le aree della Repubblica Ceca. Il processo di aggiornamento dovrebbe essere già avviato”, ci spiega. “Noi lo seguiremo da vicino con l’obiettivo di promuovere misure efficaci per limitare l’inquinamento atmosferico il prima possibile”. L’associazione è ora impegnata nel nuovo caso sui titoli dei giornali, da quando a novembre 2018 una abitante di Ostrava, che ha vissuto sempre nella zona di Radvanice-Bartovice, ha fatto causa al Ministero dell’Ambiente a seguito della morte del marito, malato di cancro ai polmoni. “Il Ministero dell’Ambiente ha l’obbligo di fare tutto il possibile per ridurre al più presto l’inquinamento”, spiegano dall’associazione. “Il Ministero non ha adempiuto a questo obbligo. Lo scopo dell’azione legale è di avere il ministero responsabile delle conseguenze di questo fallimento”.
Lo Stato è, dunque, sotto inchiesta. E nel caso di porte chiuse, le associazioni sono pronte a ricorrere a sedi europee di giustizia. La situazione rischia dunque di essere una spina del fianco per gli amministratori di un Paese notoriamente poco incline a prestare orecchio a spinte ambientaliste – un Paese, per dire, ancora fortemente dipendente dal carbone.
Non è dato sapere se la spinta “legale” dell’ambientalismo ceco abbia influito sulla decisione di nuovi investimenti per la ricerca, ma il mastodontico progetto quinquennale del professor Radim Šrám non può che essere una buona notizia per vederci chiaro e, forse, fornire un’arma in più proprio allo Stato per confrontarsi con le grandi lobby industriali (certo, nell’utopia di una politica che abbia a cuore il destino del paese). L’impressione tuttavia è che la provincia morava resterà ancora il campo di battaglia di una guerra, tra uomo e ambiente, molto più importante e dai confini ben più vasti della piccola nazione mitteleuropea.
di Giuseppe Picheca