Vivo ricordo del comunismo, i tipici palazzoni prefabbricati continuano a essere in voga, ma per molti cechi restano una scelta dettata dalla necessità
Accessibili sul piano economico e ben collegati dai mezzi di trasporto, i paneláky continuano ad essere uno degli alloggi più gettonati dalla classe media
Simbolo dell’epoca socialista, i paneláky sono i tipici palazzoni grigi costruiti con pannelli prefabbricati di cemento. Realizzati quasi sempre in quartieri periferici, non si sono mai scrollati l’immagine di passato opprimente riflesso sul paesaggio. Qualcosa di cui sbarazzarsi? Tutt’altro. Negli ultimi anni si assiste a una rivincita dei paneláky, case in cui i cechi tutto sommato vivono volentieri e la cui domanda non è mai tramontata. Le opinioni restano però discordi: c’è chi li apprezza davvero ma anche chi fa buon viso a cattivo gioco, non potendosi permettere un’abitazione più costosa. Non si può comunque negare che con il tempo e le modifiche strutturali sia cambiato anche il modo di concepire questi condomini in stile sovietico.
I primi pannelli prefabbricati furono usati negli anni ‘40 ma è soprattutto nella Cecoslovacchia socialista dei due decenni successivi all’invasione sovietica del ‘68 che questi caseggiati spuntarono come funghi nel quadro della campagna di edilizia popolare lanciata dal regime. All’epoca rappresentavano la casa tanto agognata per la gente inserita in lunghe liste d’attesa per ottenere un appartamento. Soluzione veloce ed economica alla crisi degli alloggi degli anni postbellici, gli enormi palazzi standardizzati a dodici o più piani formavano interi quartieri e cambiarono notevolmente i tratti delle città. La loro mancanza di individualismo rifletteva le basi ideologiche del regime, pianificati come abitazioni di una società senza classi ed emblema di un governo che s’intrometteva costantemente nella grigia quotidianità dei singoli.
Il primo panelák apparve nel 1955 a Praga Ďáblice mentre risale agli anni settanta Jižní Město, la zona sud della capitale. È il complesso più grande e popolato, include i quartieri di Chodov e Háje e ospita la parte più cospicua dei quasi 80.000 abitanti di Praga 11. All’inizio c’erano solo montagne di fango, gli stivali di gomma erano d’obbligo, mancavano i servizi basilari, bisognava affrontare un lungo tragitto solo per far la spesa. Proprio qui la regista Věra Chytilová girò Panelstory, film che denuncia le condizioni di questa periferia. Un paesaggio analogo è descritto nei versi del cantautore Slávek Janoušek: “baracche di lamiera cumuli d’argilla tubi bardane ed erbaccia, li vedo senza occhiali. Una rete di pannelli spezzati botti lamiere fili travi cavi”. La comparsa di scuole e negozi e l’arrivo della Metro C ad Háje nel 1980 migliorarono la vita degli inquilini. “Appena viene meno la necessità di spostarsi per lo sport, la spesa o la cultura, la gente percepisce lo spazio in modo diverso” afferma Jiří Bartoň, cronista che ha trascorso tutta la vita a Jižní Město.
Caduto il regime si è più volte pensato al da farsi riguardo ai casermoni. Progettati per una durata di circa 40 anni, abbatterli e costruire edifici più belli è un’utopia, sia per la carenza di mezzi finanziari, sia perché in Repubblica Ceca gli appartamenti prefabbricati sono 1,2 milioni e ci vivono oltre tre milioni di persone. La sola Praga conta 54 quartieri popolari, 200.000 appartamenti che occupano il 6% della sua superficie e ospitano mezzo milione di persone. Nel 2011 ne è stato demolito uno a Havlíčkův Brod, fatto unico non solo in Vysočina ma in tutto il Paese. L’edificio è stato abbattuto per motivi estetici, da trent’anni ostruiva la vista del centro città. Se anche i cittadini si mostrassero favorevoli alle demolizioni, le istituzioni reputano necessario tutelare i paneláky, tanto che per salvare gli edifici del quartiere Lesná a Brno, hanno dichiarato l’area monumento culturale.
Di recente si è invece scelto di personalizzare l’esterno dei paneláky e modernizzarli. Il mattone sostituisce la formica, le finestre di plastica quelle di legno, le facciate sono sottoposte a coibentazione e tinteggiate con colori più vivaci. “Se integro, il cemento armato resiste decine e decine di anni” dice il presidente del Centro per il risanamento delle case prefabbricate Tomáš Fendrych, “ma servono regolari lavori”. Oltre agli esterni ci si dedica al rinnovo dell’impianto di riscaldamento, ad ascensori, ingressi e singoli appartamenti. Risanati e sgravati del peso storico, i conglomerati di palazzoni creano un’atmosfera del tutto nuova.
Da uno studio del 2013 che esamina l’atteggiamento dei cechi verso gli alloggi emerge che il 53% è soddisfatto della propria abitazione, cifra che nel 2001 non superava il 36%. Il 40% reputa ottimale risiedere in un quartiere popolare mentre nel 2001 era solo il 16%. Le agenzie immobiliari confermano la notevole ripresa del mercato, dove la richiesta principale riguarda proprio i paneláky e si deve ai prezzi interessanti, abbassatisi in media del 30% dal 2008.
La crisi ha certo il suo peso ma in realtà molti cechi non hanno mai smesso di apprezzare i lati positivi di questi quartieri e non vogliono abbandonarli poiché nei dintorni non manca nulla: il verde pubblico, i servizi di prima necessità come scuole, asili, negozi e strutture sanitarie, i trasporti che in mezz’ora collegano le zone periferiche al centro. Per queste ragioni i paneláky sono normalmente abitati dalla classe media: medici, insegnanti, liberi professionisti ma anche manager e imprenditori che potrebbero tranquillamente comprarsi una casa in centro o di nuova costruzione. Lungi dall’essere considerati dei ghetti in cui emarginare la classe sociale più bassa, capita persino che questo tipo di dimora sia scelto da personaggi di vertice della politica. L’ex premier Jan Fischer rifiutò di stabilirsi nella villa di rappresentanza che definì un bell’hotel e restò nel suo appartamento a Barrandov. “Voglio vivere a casa mia, nel mio quartiere, dove non mi manca nulla e vado d’accordo con la gente. Dal mio panelák all’ultimo piano ho una bella vista su Praga. Non lo cambierei”. L’attuale presidente Miloš Zeman, prima di trasferirsi nella sede presidenziale ha continuato a vivere per qualche tempo con la famiglia in un panelák di Stodůlky, periferia occidentale di Praga. Anche il suo predecessore Václav Klaus, sebbene trasferitosi al castello di Lány, ha sempre lodato il suo appartamento a Prosek: “Qui sono nati i nostri figli e avevano un posto in cui giocare, a differenza di Piazza Tyl, dove vivevo io” dichiarò nel 2003. “Per questo non demonizzo i quartieri popolari. Che tutto sia stato infelicemente concepito secondo il socialismo, che gli appartamenti siano piccoli, che i paneláky siano inaccettabili sul piano estetico, è un’altra cosa”.
Sono passati decenni da quando l’ex presidente Václav Havel, visitando Jižní Město nel 1989, definì i paneláky delle conigliere. Eppure l’opinione generale resta critica, i commenti dei praghesi escludono si possa parlare di vero amore per questo tipo di edifici. “Il panelák è la soluzione più economica. Ma una casa è una casa” afferma Radim Sládek. Gli fa eco Petr Urbánek: “Dubito che la gente ami i paneláky, forse il ceco medio non ha i soldi per un’abitazione migliore”. Dello stesso parere Milan Šimiak: “Non è vero che alla gente piace stare in un panelák, si ritorna ai paneláky per necessità. È un’abitazione a buon mercato. Non ci sono abbastanza soldi per una casa in città. E una casa in campagna non serve a nulla se si deve andare avanti e indietro, perché in alcuni paesi non ci sono nemmeno un supermercato né il dottore o la posta!” Una questione di convenienza. C’è tuttavia chi vi riscontra dei lati positivi come Daniel Tomek: “Una casa mai più: l’impossibilità di passeggiare (e nel caso, lungo la strada), gli alberi solo al di là di un recinto, tutto il giorno fracasso (seghe, tosaerba, quad, cani che abbaiano senza sosta), il bosco è molto più distante dal quartiere popolare… Il panelák è pessimo sul piano della posizione sociale ma è eccellente se si vuole aver tempo per la famiglia, una cosa diversa dal continuo ciabattare in casa e dal pendolarismo”. Molti si lamentano dei rumori. Così descriveva il panelák il cantautore Janoušek nel 1988: “La nostra casa è piena di rumori, da sinistra e da destra, dall’alto e dal basso, che crepitio e che risate, canti, urla e imprecazioni”. A pochi passi l’uno dall’altro, i palazzoni non favorivano certo la privacy. Che i pettegolezzi tra vicini siano il pane quotidiano e i muri abbiano orecchie di carta emerge anche dalla serie slovacca Panelák, ambientata in un palazzo di tre piani dove tutti si conoscono e sanno tutto degli altri perché “stai lì a guardare quasi tutto il giorno, tutto l’anno, l’antistante blocco, come un allocco”.
di Sabrina Salomoni