Arte e politica del geniale movimento cinematografico degli anni Sessanta nell’allora Cecoslovacchia
In genere, se si usa il termine «nuova onda» in un contesto cinematografico, è probabile che la maggior parte della gente pensi alla Nouvelle vague, il movimento cinematografico francese che nacque alla fine degli anni cinquanta e rivoluzionò il mondo dell’arte mondiale. Tuttavia va ricordato e sottolineato che durante lo stesso periodo la Cecoslovacchia, un paese notevolmente più piccolo, ebbe una nuova onda parallela, e molti esperti ritengono che essa abbia avuto la stessa importanza ed influenza sulla forma d’arte. Nonostante sia un movimento che, a differenza del suo omologo francese, non ha potuto continuare a causa dell’invasione sovietica, i messaggi, i temi e le tecniche dei film non smettono di stupirci nemmeno oggigiorno. È giunta l’ora di rivedere i classici della Česká nová vlna, analizzare la loro importanza, e anche le fortune dei protagonisti, tra i quali c’erano Miloš Forman, Věra Chytilová, Ivan Passer, Jiří Menzel, Jan Němec, Jaromil Jireš e Juraj Herz.
Le origini della nová vlna non potevano essere più diverse da quelle della Nouvelle vague. La seconda nacque grazie all’iniziativa dei critici della rivista Les Cahiers du cinéma, mentre per la nová vlna il vivaio per i futuri talenti fu la leggendaria scuola cinematografica, la FAMU (Filmová a televizní fakulta Akademie múzických umění v Praze). La maggior parte degli studenti della facoltà di cinema e televisione di allora era formata da dissidenti rispetto al regime comunista che era al potere in Cecoslovacchia dal 1948. Se la FAMU preparava i futuri registi da un punto di vista tecnico e creativo, era il contesto politico dell’epoca a fornire i cineasti della giusta motivazione, quella di rendere il popolo ceco consapevole della propria partecipazione ad un sistema di oppressione e che brutalizzava tutti.
A confronto con la Nouvelle vague, la quale cercava di creare soprattutto un nuovo linguaggio cinematografico, la nová vlna si proponeva di trovare modi originali per raccontare delle storie e lo faceva da una prospettiva ancora più politica, dovuta all’ambiente politicizzato in cui i registi vivevano. Quello che condiveva invece con il movimento guidato da maestri come François Truffaut, Jean-Luc Godard e Jacques Rivette, era il modo in cui i protagonisti rigettavano completamente quello che ci si aspettava dal loro cinema nazionale. In questo caso, il genio di Miloš Forman, la «ribelle» Věra Chytilová, e «L’enfant terrible» Jan Němec approfittarono del nuovo, ma purtroppo breve periodo di libertà all’inizio degli anni sessanta, quando fu possibile trascurare i tratti del cinema del realismo socialista (spesso propaganda sovietica) del decennio precedente. Sorprendentemente anche i vecchi registi dell’epoca precedente come Karel Kachyňa e Ján Kadár rispettavano gli stessi valori di registi esordienti come Forman e Menzel. Kadár, con il suo capolavoro sull’arianizzazione della Repubblica Slovacca durante la seconda guerra mondiale, il Negozio al corso, è riuscito ad attirare l’attenzione del resto del mondo sul movimento quando vinse l’Oscar per miglior film straniero. Se questo non bastava, l’Oscar (sempre per miglior film straniero) a Treni strettamente sorvegliati (Ostře sledované vlaky, 1966) di Jiří Menzel, tratto dall’ononimo romanzo dello scrittore Bohumil Hrabal, cementò la reputazione del cinema cecoslovacco come uno dei migliori al mondo, almeno fino all’invasione sovietica.
Nonostante sia ancora tema di discussione, molti esperti credono che sia stato lo slovacco Štefan Uher a precedere la scuola praghese con la prima vera opera del movimento, ovvero Il sole nella rete (Slnko v sieti). Fu l’inizio di un rilassamento nel comunismo del paese, e Uher non perse l’occasione per esplorare temi sociali e politici e situazioni che fino a quel momento erano stati tabù, tra i quali la promiscuità fra gli adolescenti, genitori indifferenti ai figli, il libertinaggio di un marito e un tentativo di suicidio. Il regista di Bratislava si spingeva oltre ai limiti sfidando i tabù dell’epoca, soprattutto in una scena in cui i giovani stanno svolgendo il lavoro agricolo in biancheria intima. Uher mostrava astutamente i corpi mezzo nudi sudati, mentre facevano il lavoro volontario del comunismo per evitare tagli della censura. Oltre ad essere un successo critico e commerciale, Il sole nella rete era il film che sfondò le barriere imposte dal comunismo e l’accoglienza positiva permise a Miloš Forman di toccare lo stesso tema della gioventù traviata nei film L’asso di picche (Černý Petr, 1963) e nell’opera Gli amori di una bionda (Lásky jedné plavovlásky, 1965). Con la distribuzione del classico Le margheritine (Sedmikrásky, 1966), di Věra Chytilová, un film che raffigura un mondo piuttosto surreale in cui due giovani ragazze birichine si mettono a fare scherzi ovunque, la nová vlna era in pieno svolgimento. Le porte erano aperte per gli altri surrealisti del movimento, molti dei quali erano slovacchi come Juraj Jakisbisko «il Fellini slovacco» e soprattutto Juraj Herz, il regista del capolavoro L’uomo che bruciava i cadaveri (Spalovač mrtvol, 1969), il quale analizza il nazismo in un modo completamente originale, in un film impregnato di sottile umorismo.
I film della nová vlna progressivamente diventavano sempre più audaci, ma fu un film del cineasta praghese Jan Němec, il quale viene spesso visto come l’enfant terrible del movimento, che suscitò più polemiche all’epoca. La storia della sua opera, La festa degli ospiti (O slavnosti a hostech,1966), è incentrata su un gruppo di amici che dopo essere andati in un bosco per un picnic, vengono intimiditi e costretti a partecipare a una festa in villa con pranzo all’aperto. L’opera, un trasparente apologo sul regime totalitario che genera solo conformismo ed intolleranza, scatenò l’ira del presidente Antonín Novotný, il quale considerava perfino la possibilità di far arrestare il regista per il suo sovvertimento. C’è chi crede che la somiglianza del bullo del film a Lenin abbia contribuito ad accendere la rabbia delle autorità. Va anche menzionato che nel cast c’erano vari dissidenti e intellettuali cecoslovacchi del periodo come lo scrittore Josef Škvorecký ed Evald Schorm, un altro regista della nová vlna. Fu il veterano Karel Kachyňa comunque che riuscì a cogliere veramente il senso di paranoia del regime con L’orecchio (Ucho, 1970), il quale si concentra su una notte nella vita di una coppia sposata in crisi, dove i due sono però consapevoli del fatto che il loro telefono è probabilmente stato intercettato dalle autorità. Stupisce poco che il film sia stato proibito fino al 1989.
La nová vlna è stata un periodo di breve durata, ma di un impatto straordinario nel mondo delle arti che sfidarono i poteri della Cecoslovacchia degli anni ‘60, e dimostrarono l’importanza della libertà individuale, un tema ricorrente non solo nel cinema di Forman, ma in quello di tutti i registi del movimento. Se ci sono poche tracce della nová vlna nel cinema ceco attuale, non mancano i paragoni con il cinema nazionale di altri Paesi dove ci sono regimi autoritari. Forse potremmo confrontarlo con il cinema iraniano attuale in cui Abbas Kiarostami, Mohsen Makhmalbaf, e Jafar Panahi criticano il regime della loro patria malgrado le restrizioni, proprio come Chytilová, Forman e Němec durante la Primavera di Praga. Curiosamente Pannahi, essendo agli arresti domiliari, ha dovuto fare uscire il suo film dal suo paese clandestinamente, mettendolo in una memoria flash nascosta in una torta di Natale, mentre Jan Němec ha dovuto fare uscire il suo cortometraggio Oratorio per Praga in un modo molto simile (il regista rifiuta di svelare i particolari) per mostrare il suo filmato dell’occupazione russa al resto del mondo. Chissà se il regista persiano ha avuto un lampo di genio dopo aver letto di Němec…
di Lawrence Formisano