La vita di un giornalista italo-ceco, che durante la guerra si prodigò per salvare dall’Olocausto gli ebrei internati in Italia. L’Istituto Italiano di Cultura di Praga, in collaborazione con Gariwo, ha appena presentato la traduzione in ceco del libro dello storico Alberto Tronchin
Una storia straordinaria, simile a quella di Giorgio Perlasca, Oskar Schindler o Nicholas Winton, e come la loro rimasta quasi sconosciuta per più di mezzo secolo. Parliamo di Karel Weirich, un “giornalista resistente” che, grazie al suo ruolo di vaticanista per l’agenzia di stampa ceca ČTK e ai suoi contatti all’interno della Santa Sede, riuscì durante la seconda guerra mondiale ad aiutare e salvare tantissimi cittadini ebrei cecoslovacchi internati in Italia.
“Un giusto ritrovato”, come lo descrive lo storico Alberto Tronchin nel suo libro che ne ripercorre la vita intensa, movimentata, divisa tra la macchina da scrivere e l’impegno civile. È stato proprio Tronchin, con la sua ricerca, a evitare che la figura di Weirich cadesse nell’oblio. “Fondamentale – racconta – è stato l’aver conosciuto la nipote, la signora Helena Weirichová. Appena cominciò a mostrarmi i documenti conservati da suo zio, quasi impallidii. Capii subito che si trattava di una vicenda importante, da raccontare”.
Uscito in Italia nel 2007 il volume è stato appena presentato a Praga nella sua edizione in lingua ceca (Spravedlivý riskuje, Edizioni Carmelitane) grazie all’iniziativa dell’associazione Gariwo (Gardens of the Righteous Worldwide). Guidato a Praga dal giornalista italiano Andreas Pieralli, Gariwo si propone – come già avvenuto in altre città del mondo – di fondare nella capitale ceca un “Giardino dei Giusti”, vale a dire un luogo dedicato a quegli eroi oppostisi con responsabilità individuale ai crimini contro l’umanità e ai totalitarismi.
Ma torniamo alla storia di Karel Weirich. Italo-ceco a tutti gli effetti, nasce a Roma il 2 luglio 1906, figlio di un artista cecoslovacco, Ignaz, arrivato nella capitale italiana grazie a una borsa di studio. A diciannove anni Karel – dopo avere ottenuto un diploma di computisteria e stenografia – viene assunto come segretario presso la Direzione nazionale della Pontificia Opera di San Paolo Apostolo.
Collaboratore del Messaggero, è trasferito qualche anno più tardi alla Direzione nazionale delle Pontificie Opere Missionarie e inizia a scrivere articoli sulla Cecoslovacchia per L’Osservatore Romano. Furono proprio questa attività nelle opere missionarie cattoliche, e il suo far parte della redazione del giornale della Santa Sede che gli permisero di avvicinarsi a diversi personaggi importanti all’interno del Vaticano, in particolare con la Segreteria di Stato e l’allora sostituto monsignor Giovanni Battista Montini – il futuro Papa Paolo VI.
È del 1935 l’inizio della sua collaborazione con la Čtk, l’agenzia stampa nazionale cecoslovacca, che gli propose un posto di collaboratore fisso presso la Santa Sede. Weirich accetta senza smettere di lavorare al giornale vaticano: un modo di continuare a coltivare i suoi contatti nelle sue “due Patrie”.
Dopo l’uscita del libro che ripercorre la sua storia è lo stesso Osservatore Romano, il suo vecchio giornale, ad averlo ricordato così: “cercò di aiutarli inviando denaro, abiti, medicine e persino documenti falsi. Ma non tutti, purtroppo, riuscirono a salvarsi. Tuttavia per un buon numero di loro l’essersi imbattuti in quel connazionale generoso e coraggioso significò la vita”. Sulla sua lista compaiono i nomi di migliaia di ebrei cecoslovacchi che Weirich si impegnò ad aiutare durante il conflitto, pagando personalmente questo impegno con l’arresto e la deportazione in Germania.
La “Lista di Weirich” – come l’ha chiamata qualcuno parafrasando la Schindler’s List – è oggi un documento storico preziosissimo per ricostruirne l’intera vicenda. A metterla in salvo fu lui stesso, nascondendola all’interno dei gradini della scala di casa prima del suo arresto da parte della Gestapo nel 1944.
Ma riavvolgiamo un attimo il nastro. È il 1941 e la Cecoslovacchia era invasa dai nazisti e “trasformata” nel Protettorato di Boemia e Moravia. Weirich, che lavorava da Roma per l’agenzia di stampa nazionale cecoslovacca, non accetta di giurare fedeltà al Führer tedesco e per questo viene licenziato.
La perdita del lavoro non gli impedisce di continuare a restare in contatto con gli ambienti antinazisti cecoslovacchi, di ricavarne dispacci da comunicare direttamente con Papa Pio XII. La posizione di quest’ultimo durante il secondo conflitto mondiale resta ambigua, pesa la sua non presa di posizione chiara nei confronti del nazismo e della persecuzione ebraica. Tuttavia, come spiega Alberto Tronchin, pare che “la Santa Sede fosse sicuramente a conoscenza dell’attività di Weirich, come è dimostrato dalla corrispondenza con membri influenti del Vaticano (Montini, in primis). L’impressione è che si sapesse addirittura in dettaglio quel che Weirich faceva”. Certo è che a livello locale l’aiuto interreligioso tra cristiani ed ebrei ci fu, spiega sempre Tronchin: “In vari testi si parla di un aiuto diffuso da parte di enti ecclesiastici o talvolta di singoli religiosi nei confronti delle persone di religione ebraica. Moltissimi ebrei vennero nascosti in conventi e monasteri, a Roma e dintorni”. Era con tutti questi istituti che Weirich manteneva una fitta rete di contatti, spesso facendo in modo che gli ebrei cecoslovacchi residenti in Italia potessero trovarvi rifugio. Il giornalista e attivista italo ceco, nel 1940, dopo l’ordine di arresto di tutti gli ebrei emesso dall’Italia fascista, aveva fondato insieme ad alcuni connazionali l’Opera San Venceslao, che prende il nome dal re e santo patrono ceco. Fu anche attraverso questa associazione che riuscì ad aiutare i molti già internati nei campi. Il lavoro nascosto di Weirich si concentrò in particolare sul campo di internamento di Ferramonti-Tarsia in provincia di Cosenza. Questa prolungata attività clandestina, così come il suo ruolo di riferimento per la resistenza cecoslovacca, scesa in campo dopo l’8 settembre al fianco dei partigiani, gli costò nel 1944 l’arresto e la condanna a morte di un tribunale militare nazista.
Fu solo l’intervento della Santa Sede ad evitare l’esecuzione: la condanna fu commutata in un periodo di detenzione presso la prigione Sadelheim di Monaco e diciotto mesi di lavori forzati da scontare nel campo di concertamento di Kolbermoor. Nel campo rimase fino al maggio 1945 quando venne liberato dalle truppe americane. Passata la guerra Weirich poté allora ritrovare il proprio posto di corrispondente della ČTK a Roma, almeno fino alla presa di potere dei comunisti in Cecoslovacchia quando fu di nuovo licenziato con l’accusa di essere una spia. Trovò rifugio allora, ancora, nella sua Roma, dove visse fino 1981, mantenendo un atteggiamento sempre di grande modestia per l’impresa che aveva compiuto.
Lo scorso 28 ottobre, nel Giorno della festa nazionale della Repubblica Ceca, Weirich è stato insignito in memoriam di una medaglia al merito. Quando era ancora in vita e qualcuno pensò di conferirgli una decorazione per l’impresa compiuta, replicò umilmente con queste parole: “allora bisognerebbe dare una medaglia non solo a me, ma anche a tutti quei frati e a tutte quelle monache che hanno nascosto le persone, salvando loro la vita”.
di Edoardo Malvenuti