La prima volta che incontrai Václav Havel parlai con lui del gruppo Charta 77 costituito in Cecoslovacchia da intellettuali che cercavano una nuovo percorso socio-politico, oltre i limiti ideologici dell’era precedente. Elaborando nuovi pensieri rigettavano i dogmi del marxismo con i quali erano cresciuti. Movimenti come questo condussero a quel memorabile 1989, considerato da molti “l’anno dei miracoli”, insomma… l’anno de crollo del Muro di Berlino. Un anno in cui la rete di opposizione a governi comunisti andava dall’Estonia alla Jugoslavia.
9 Novembre 1989: a Berlino cadeva un “Muro simbolo” un muro dipinto e colorato, ad Ovest, con graffiti di artisti contemporanei, alcuni noti, come Keith Haring. Ma, focalizzando l’interesse verso quel Muro, non ci si può dimenticare il fermento di novità che si agitava in altri Stati vicini alla Germania, come, ad esempio, in Polonia dove il 4 giugno 1989 i cittadini votarono in massa per i candidati di Solidarność e in Cecoslovacchia, dove trionfò la “rivoluzione di velluto” di Praga. Havel mi raccontò di quel 17 novembre, di come la polizia caricò una dimostrazione pacifica di studenti e di come poi lui ed il suo gruppo contrastarono i comunisti al potere. E così il 10 dicembre il Presidente cecoslovacco Gustáv Husák rassegnò le dimissioni. Havel divenne Presidente e fissò libere elezioni per la primavera del 1990.
Rileggere la storia permette di capire la contemporaneità e, spesso, gli artisti hanno anche questa funzione, in quanto producono opere che sono la sintesi di tecniche ed emozioni. Tramite elaborazioni di immagini vengono riassunti pensieri e messaggi. L’arte, nelle sue più svariate forme, è comunque un mezzo di comunicazione, di messa in relazione tra epoche diverse, tra differenti tradizioni e costumi. Come è stato recentemente osservato da un esponente della cultura milanese in occasione di una cerimonia commemorativa della caduta del Muro, “Credo che l’arte sia la premessa e insieme l’obiettivo di una libertà che significa dire no al passatismo di una certa cultura che pensa al sapere come strumento di potere, la cultura è mettere in discussione le proprie convinzioni e accogliere il diverso da noi”.
Novembre 2009: in tutto il mondo, in occasione dello storico ventennale, si sono realizzate moltissime iniziative artistiche e culturali. Prima tra tutte la caduta a domino di un muro-installazione creato da giovani artisti per l’occasione a Berlino. Tra le altre, in Italia risulta di particolare interesse quella, a Roma, dell’artista Davide Orlandi Dormino, Untitled, costituita da un muro ovattato, una sorta di barriera che crea difficoltoso l’ascolto ma, contemporaneamente, morbido e confortevole l’appoggio per la testa, che il fruitore dell’opera può accostare per ascoltare “parole”.
In questo clima, risulta altrettanto importante “osservare” anche le produzioni artistiche di coloro che erano al di là del Muro, che hanno preso parte ad un’altra storia e che hanno vissuto la loro vita in quei regimi contrastati. Ed ecco perché risulta provocatoriamente complementare la mostra “Realismo Socialista Cecoslovacchia 1948-1989” (organizzata dalla Fondazione ceca Eleutheria) che inaugurerà a Praga il 2 dicembre presso gli spazi espositivi del Manes.
Tra le opere: Výstavba Nové scény ND v Praze, della fine degli anni ’70, quasi un “grande muro”, questa volta in costruzione, per edificare il Teatro Nazionale di Praga. Un lavoro in cui l’artista Zdenko Crha, crea un alternarsi di pieni e vuoti che, con immaginazione, potrebbero essere riempiti da suoni. Anche le persone raffigurate in quest’opera stavano scrivendo una storia, lavorando per il futuro, sperando, forse, di aver fatto la scelta giusta. Ancora costruzioni nell’olio di Otto Holas Průmyslový podnik: uno stabilimento industriale del 1977, stratificazioni di muri, gru che “controllano”, come macchine-robot, la zona, apparente confusione studiata nella composizione, vuoto e, ci sembra di “ascoltare”, silenzio. Nessuna figura umana. Da questo punto di vista, il lavoro si allinea ad una tendenza diffusa in molte riviste d’architettura contemporanea, in cui, per valorizzare i progetti, si creano mondi virtualmente “puri”, privi di forme di vita, puntigliosamente talmente precisi e reali da non sembrar veri.
Ed ecco che viene alla mente chi (nel 1950) fa “urlare”, silenziosamente, al suo soggetto-protagonista “Uomini, siate svegli!” e dipinge una figura triste ma fiera, appoggiata ad un muro. E’ l’artista Kostěrev con il dipinto Lidé, bděte! La psicologia dell’arte mi trascina nell’immaginare che quei mattoni non sono solo zoomata di una parete di prigione ma lo stesso Muro dell’installazione di Dormino, dalla parte opposta del visitatore che origlia.
Di Genny Di Bert