1931. Nella provincia boema, l’incontro tra funzionalismo e arte decorativa: il tesoro dell’architetto Otakar Novotný
Il nome Barton House fa facilmente correre il pensiero di chiunque abbia qualche nozione di storia dell’architettura a Buffalo, New York, e alla casa che Frank Lloyd Wright costruì nel 1903 per la famiglia della sorella dell’imprenditore Darwin D. Martin. Ciononostante, quest’articolo non parlerà di uno dei migliori esempi wrightiani di Prairie School, né tantomeno del vasto complesso commissionato da Martin a colui che è ritenuto il più celebre architetto della storia a Stelle e Strisce.
Qui si racconta un’altra storia, quella di un’altra Bartoň House la cui differenza da quella wrightiana – si fa per dire – non sta solamente in un diacritico háček sulla enne finale del cognome del padrone di casa.
Al netto dei seimila e ottocento chilometri e delle tre decadi che separano le due case, resta tuttavia il racconto di una storia d’esordio della modernità in architettura. In fondo, certi presupposti paiono fondersi all’unisono pur separati non solo dall’Atlantico e da gran parte dell’Europa, ma anche da quasi un terzo del secolo che – sulla scorta di Eric Hobsbawm – siamo abituati a definire ‘breve’. Destini disgiunti, ma non fino in fondo, trascinati dalla vorticosa rincorsa alla modernità che lega – benché dilaniata da indicibili drammi – la prima metà XX secolo. Una fiducia che in architettura celebra con le dovute differenze, tanto nella Boemia nord-orientale quanto nell’American Northeast, il mito della funzione, inseguendo migliori spazi per la vita umana.
Questa fiducia, addolcita da un estremo afflato decorativo, anima la casa che Otakar Novotný costruisce a Náchod, cittadina nella Regione di Hradec Králové al confine con la Bassa Slesia polacca, per l’imprenditore tessile Cyril Bartoň z Dobenína.
Filantropo e imprenditore di successo come il padre Josef, Cyril Bartoň z Dobenína intraprende, su consiglio del fratello Josef, la costruzione di un nuovo edificio per sé nel centro di Náchod dopo essere rimasto solo a seguito del matrimonio dei figli. Per dar seguito a questa idea, nel febbraio 1927 acquista un appezzamento di terreno nel centro di Náchod, invitando tre differenti progettisti a redigere una proposta per edificarlo.
Tra gli invitati spicca il nome di Pavel Janák, allievo di Otto Wagner e teorico del cubismo ceco in architettura, oltre a quello di Otakar Novotný che lavorerà all’opera ultimandola nel 1931. Nonostante la proposta di quest’ultimo non convinca appieno ‘l’estetica conservatrice’ del committente, gli vale ugualmente l’incarico in virtù dell’ammirazione di Bartoň per gli edifici appena realizzati dallo stesso Novotný per due dei suoi tre generi: Palazzo Steinský-Sehnoutka a Hradec Králové e Villa Čerych a Česká Skalice. Benché il gusto del committente non fosse più congeniale alle sue affinità artistiche, attraverso questa ultima opera in “stile decorativo” Novotný – che già da qualche anno volgeva il proprio interesse verso il credo funzionalista – non tradisce le aspettative.
La casa che realizza per Cyril Bartoň è infatti una piccola e convincente sintesi tra i principi tradizionali della composizione e il nuovo credo dell’avanguardia ceca. Gli elementi decorativi e i delicati dettagli che sapientemente impreziosiscono l’insieme danno vita ad un armonico equilibrio lieve ed austero al contempo. E la facciata su via Kamenice con il suo alto ordine di pilastri ornati da severe sculture allegoriche e la sua cornice grave ed essenziale lo dichiara senza indugio, rivelando la natura artisticamente impegnata dell’edificio.
Ormai in declino dopo il successo all’Esposizione d’Arti Decorative di Parigi del 1925, il decorativismo ceco regala così uno degli ultimi esempi architettonici rilevanti grazie alla maestria di Novotný e alla sua passione per il dettaglio che lo porta a cercare la collaborazione di artisti di rilievo – sovente colleghi dell’Associazione Mánes. Sarà proprio la partecipazione di Franta Anýž, degli scultori Karel Dvořák e Otakar Španiel e del pittore František Kysela – padre del decorativismo ceco – a fare della casa al 105 di via Kamenice un ultimo elegante gioiello decorativo, seppur misurato con una nuova essenziale agilità che pervade l’intera opera ad ogni scala.
Qui emerge la padronanza di Novotný – regista dell’intera operazione – nel coordinare gli eccellenti collaboratori come nella messa a punto e nel controllo del più minuto particolare interno ed esterno. A rivelarlo non sono solamente le opere d’arte, di design e artigianato perfettamente integrate nella totalità dell’edificio, ma la cura che trapela da ogni singola scelta. Basta far scorrere lo sguardo sulla cassettonatura sottostante la veranda sul fronte principale per rileggervi il ritmo della facciata oppure cogliere come nell’androne il falso elemento portante sopra la parete di vetro e il basamento di transizione tra pavimento e rivestimento marmoreo ne armonizzino percettivamente le proporzioni. Parimenti, le tenui figure sui temi della vita e del lavoro incise sui vetri della veranda o i raffinati motivi alternati sui vetri del corpo scale, gli stucchi delicati, i preziosi tessuti come le ringhiere, gli arredi, i corrimani, le lampade di Anýž, le simmetrie di facciata intervallate dalle sculture di Dvořák e persino il curioso articolarsi delle coperture raccontano della qualità, dello zelo e della dedizione con i quali sono stati disegnati e realizzati.
Oltre alle sculture di facciata, la felice collaborazione fra il progettista e gli artisti manifesta la propria riuscita nella giustapposizione di opere che punteggiano l’intero edificio.
Sebbene la più alta concentrazione di opere si raggiunga nell’appartamento padronale al secondo piano, sopra la porta del corpo scale nell’androne si trova inaspettato un piccolo gioiello degno di nota. In quella inusitata posizione, ispirato dalla scultura bronzea dei portali romanici italiani, lo scultore e medaglista Španiel ritrae i fratelli Cyril e Josef Bartoň z Dobenína in un altorilievo commemorativo nel quale pare riesca a cogliere per un istante i moti dei loro animi.
Frutto di una meticolosa cooperazione tra Novotný e Kysela su arredi, cromìe, carte da parati e tessuti, l’appartamento padronale esibisce anche quattro soffitti dipinti.
Delicati colori pastello sopra il tavolo da pranzo tracciano le personificazioni dei quattro elementi – acqua, aria, fuoco e terra – mentre nello studio uno stemma araldico della famiglia Bartoň z Dobenína domina sontuoso nella migliore tradizione dell’art déco ceca. Infine, un graffito bianco su sfondo blu scuro traccia sul soffitto della camera da letto le personificazioni della ‘notte silenziosa’ e del ‘giorno luminoso’, richiamando la tradizione ceca dello sgraffito bicolore.
La casa di Cyril Bartoň z Dobenína al 105 di via Kamenice racconta così di un fluire verso la celebrazione del mito della funzione che, senza nostalgia, si amalgama con la tanto vituperata decorazione, diradandola con riguardo senza mai separarsene fino in fondo.
Un esordio di modernità assai diverso, insomma, da quello paventato da Wright in pieno periodo Prairie School per il quale – almeno a parole – il decoratore «tutto curve ed efflorescenze, se non tutto ‘epoca’» è una figura decisamente sgradita, addirittura da estromettere.
di Alessandro Canevari