Intervista a Karel Janeček, genio della finanza creativa, deciso a combattere la corruzione in Repubblica Ceca con un rivoluzionario sistema elettorale. “D21 può essere inteso come un passaggio dal “Dos a Windows”. Una volta implementato, porterà a una migliore democrazia, a migliori leader”
Alla Carrera Panamericana 2014, tre mila chilometri di rally su macchine d’epoca tra le strade polverose del Messico, sono seguiti i fiori d’arancio in elicottero dello scorso maggio: un “sì” ad alta quota nei cieli di Příbram, in Boemia centrale, a sancire il suo secondo matrimonio, questa volta con Mariem Mhadhbi, ingegnere di origini tunisine conosciuta a Parigi. In apparenza potrebbe essere l’incipit di una di quelle storie da flash e paparazzi ad inseguire l’arricchito di turno: ma Karel Janeček, giovane miliardario boemo, non va considerato un carattere da rotocalco. Al contrario, si tratta di un cittadino decisamente attivo nel panorama economico e sociale (in breve: politico) del paese. Classe ‘73, enfant prodige della matematica, stile rigorosamente “casual”, a cavallo tra vecchio e nuovo millennio entra abilmente a far parte della nuova classe di imprenditori “vincenti” della Repubblica Ceca.
Esempio principe di chi ha saputo approfittare della rivoluzione neo-liberal dell’economia globalizzata, adatta le sue competenze di ricercatore (PhD presso la prestigiosa Carnegie Mellon University di Pittsburg) al mercato finanziario: crea nel 1994 la Rsj Algorithmic Trading, nel giro di un decennio una delle principali aziende al mondo nel campo dei contratti futures e altri strumenti derivati. Giro d’affari oltre il miliardo di corone. Ma il nostro non s’è adagiato sugli allori: da buon matematico sa bene che le regole devono essere chiare e uguali per tutti. Un senso di giustizia che lo ha portato ad intervenire in prima persona per tentare di risolvere un particolare problema del paese natale. E raggiungere un livello di notorietà internazionale tale da essere recentemente inserito nella lista dei “28 nomi da 28 paesi che stanno formando, scuotendo e cambiando l’Europa” stilata dal magazine Politico.eu.
“Sono quello che rimescola il goulash nel calderone ceco”: così si presenta a questa intervista il Dr. Janeček. A rovinare il pasto nazionale, secondo lui, c’è un fattore unico: la corruzione. Difficile dargli torto, statistiche alla mano. Per la Ong internazionale Transparency International, la Repubblica Ceca lo scorso anno si è classificata 53esima su 175 stati studiati: nell’Unione Europea è nel gruppo dei paesi con la più alta corruzione percepita, con Italia, Grecia, Romania, Bulgaria, Slovacchia. Ed i miglioramenti rispetto agli anni passati sono scarsi o nulli, il fenomeno è duraturo e purtroppo ben radicato.
Nel 2009 Janeček lancia il Nadační fond proti korupci (Nfpk), fondazione anti-corruzione, presentandosi al pubblico come difensore della legalità: ad oggi si dice soddisfatto del lavoro svolto. Nelle varie attività, un premio per chi si distingue nella lotta a tale malcostume. Tra gli ultimi insigniti con il “Premio al coraggio” de fondo, l’ex vice-ministro delle finanze Lukáš Wagenknecht, per la sua integrità morale nel denunciare frodi sull’uso dei fondi europei: integrità a cui è seguito un controverso allontanamento dal governo. “Per me il maggior successo dell’Nfpk è stato quello di portare alla luce nel discorso pubblico i danni della corruzione, e conseguentemente l’aver creato una domanda popolare per maggior trasparenza e correttezza”, sostiene. Momentum particolare per la Repubblica, in cui la lotta per la giustizia, quantomeno finanziaria, viene dai miliardari. Già ad inizio 2013 raccontavamo degli sceriffi dell’anticorruzione: al tempo Karel Janeček era accompagnato da Radim Jančura e Andrej Babiš. I tre hanno trovato terreno fertile per investire in un altro tipo di capitale: quello politico. Se Jančura ha tuttavia continuato nel suo ruolo di imprenditore (magnate dei trasporti), Babiš ha messo in moto la notorietà da faccia “pulita”, non senza l’aiuto imponente dei suoi mezzi di comunicazione da Citizen K., per una carriera che lo vede oggi al Ministero delle Finanze, leader del partito in testa nei sondaggi, Ano.
Janeček ha avuto un’idea diversa. “Dopo circa un anno dalla nascita del Nfpk ho capito che la corruzione, come problema maggiore della Repubblica Ceca, più che la conseguenza di un cattivo sistema politico, è la sua causa principale. Alla radice si trova dunque una cattiva selezione della classe dirigente. Ad inizio 2013 ho cominciato a lavorare – ed ho proposto nel maggio dello stesso anno – un sistema elettorale migliore di quello esistente, che includesse voti positivi e negativi. L’ho chiamato Democracy 2.1”. La chiave di volta è lì, è lo strumento a definire i risultati. L’Italia ha una lunga tradizione corruttiva da (non) fare invidia alla Nuova Europa – gli facciamo notare – e i dati di Transparency International piazzano il Belpaese in un ranking anche peggiore (69esimo). Nonostante si sia cambiata la legge elettorale diverse volte negli ultimi vent’anni, il fenomeno resiste. Non sarà forse una questione di cultura politica?
Janeček non ci sta e ribatte con la semplicità del venditore sicuro della propria merce: “Quando avete cambiato i vostri sistemi elettorali non avevate a disposizione Democracy 2.1”! È dunque il tempo di spiegare bene di cosa si tratti: una nuova legge che aumenta le possibilità di voto dei cittadini. La vecchia regola di “una voce, un voto” è sostituita da scelte multiple in cui è possibile assegnare quattro voti “positivi” e uno “negativo”, voti nominali in liste non bloccate dai partiti: in modo tale da screditare politici in odor di malaffare anche quando questi riescano a mantenere roccaforti clientelari.
Janeček ci propone un’analogia da rivoluzione informatica: “D21 può essere inteso come un passaggio dal “Dos a Windows”. Una volta implementato, porterà ad una migliore selezione dei leader, ad una migliore democrazia”.
Un approccio a scelte multiple tenderebbe a massimizzare i risultati degli approcci moderati (più condivisibili dalla maggioranza) e sminuirebbe i partiti alternativi: da un punto di vista, come la promozione di D21 enfatizza, riduce la portata dei partiti con posizioni estremiste e radicali; ma dall’altro rischia di sminuire le proposte alternative. Troviamo anche qui la contrarietà dell’intervistato, “il sistema conferisce un potere maggiore ai partiti “democratici” contro gli estremismi, ma il voto multiplo significa anche premiare i processi innovativi”. Con la (consueta, e forse giusta) faccia tosta dell’imprenditore sociale, Karel continua: “sono sicuro che il sistema abbia dimostrato il proprio valore e prevedo una sua attuazione in futuro non solo in Repubblica Ceca, ma in tutto il mondo, aiuterà a sviluppare una migliore democrazia in ogni paese”. Per superare i dubbi che il suo entusiasmo non riesce a dissipare, bisognerà aspettare in effetti una prova politica del sistema. Ad oggi ha funzionato, e suscitando accoglienze più che positive, in processi decisionali in diversi paesi, da scelte sulla programmazione scolastica in alcune regioni boeme sino a distretti della città di New York che usano D21 per condividere scelte di budget. Ma le scelte politiche – il primo paese candidato alla sperimentazione potrebbe presto essere la Tunisia – aggiungono una dimensione molto più complessa. Un esempio riportato come “vincente” sul sito di Democracy 2.1 riguarda una simulazione delle ultime elezioni politiche ceche secondo cui il partito dei Verdi sarebbe riuscito ad entrare in Parlamento (oggi ne è escluso) perché molte tematiche “green” suscitano interesse anche tra altri elettori; al contrario il partito comunista avrebbe la metà dei seggi. Eppure una vocazione maggioritaria che riduce la voce di un partito considerato “estremo” rischia di mancare l’analisi oggettiva: ci sarebbe da chiedersi perché oltre il 10% dei cechi continua a votare il partito, piuttosto che dare loro uno spazio ridotto “come se valessero meno”. La stigmatizzazione della diversità è un tema molto delicato, e la giusta lotta alla corruzione potrebbe portar con sé controindicazioni che non troviamo sul bugiardino pubblicitario di D21. Viene logico pensare al prossimo futuro in cui le forti ondate migratorie includeranno diversità difficili da digerire, evidenziate già ora dalle polemiche politiche sulla gestione della crisi. Janeček è come al solito senza peli sulla lingua: “Il Presidente Zeman è un populista ed una vergogna per il paese; certo il futuro è nell’integrazione dei migranti, ma l’ondata di xenofobia e sentimenti anti-islam è un problema comune in tutta l’Europa. Ad ogni modo, ogni futuro cittadino deve essere responsabile per le proprie azioni nel paese ospitante, di cui deve imparare e rispettare usi e costumi: il multiculturalismo “spontaneo” ha fallito”.
di Giuseppe Picheca