La vita tumultuosa di Martha Dodd, la spia affascinante che beffò Gestapo e Fbi
Figurerebbe benissimo in un libro di John Le Carrè, il maestro inglese delle spy stories, il cantore delle gesta del MI5, celeberrimo servizio di informazioni britannico. Un’ottima figura di insospettabile, una “dormiente”, come si chiamano gli informatori nel mondo delle spie.
Certo è che l’avvenente Martha Eccles Dodd sapeva come raccogliere le notizie che servivano, sapeva come affascinare e far parlare gli uomini, ma è altrettanto certo che, con gli agenti del “Circus”, come Le Carrè chiama affettuosamente i suoi, non ebbe mai niente da spartire.
Era Mosca, non Londra, non Washington, il suo mito, la sua bandiera, e per Mosca e per il comunismo internazionale si trovò a combattere. Lei – miliardaria nata nell’élite virginiana, il cuore degli Usa, studi a Chicago, poi a Washington e Parigi – incontrò i primi semi del comunismo a Berlino. Perché Martha non era un’americana qualsiasi con la passione dell’Europa: era la figlia di William Edward Dodd, ambasciatore Usa a Berlino dal 1933 al 1937. Martha era insomma la donna giusta al posto giusto nel “giardino delle bestie”, nei gironi danteschi della Germania nazista, negli anni di fuoco in cui Hitler prese il potere. Fu, possiamo affermarlo, una donna che diede del tu alla Storia.
Ma chi era veramente? Una semplice spia con il gusto innato dell’intrigo? Un’idealista appassionata del mito comunista? Una milionaria annoiata in cerca di emozioni forti? Addirittura, come scrissero i suoi detrattori sia russi che statunitensi, “una ninfomane degradata dal vizio e dal sesso estremo”.
Probabilmente, non sapremo mai completamente chi fosse la vulcanica signora nata a Ashland, in Virginia, l’8 ottobre del 1908, e morta a Praga (poteva essere diversamente?) in circostanze misteriose il 10 agosto del 1990, all’età di 81 anni. Forse, Martha Dodd Stern, come iniziò a farsi chiamare dopo il matrimonio del 1938 con il miliardario Alfred Stern, era tutte queste cose messe insieme, e tante altre ancora.
Di sicuro c’è il fatto che il suo faldone, scrupolosamente annotato dagli agenti del FBI, occupa circa 10mila pagine, mentre altri documenti si presume si trovino (ancora secretati) negli archivi moscoviti del Fsb e forse, da qualche altra parte ancora del mondo. Sicuramente, possiamo affermare, Martha Dodd fu una donna dalla vita al tempo stesso movimentata e interessante, che attraversò indenne uno dei periodi più tumultuosi d’Europa.
È nella Berlino degli anni Trenta che nasce la sua passione per la politica, spinta probabilmente dalla repulsione per il nazismo e per il fascismo. È sempre a Berlino che Martha incontra anche uno degli amori più importanti della sua vita, il “diplomatico” russo Boris Vinogradov, che la convince a collaborare prima con il NKVD, poi con il KGB. Fra di loro un amore romantico e tragico: Vinogradov è una delle tante vittime delle purghe staliniane, assassinato nel 1938 dagli sgherri sovietici.
Romantica, ma adorabile infedele: il letto di “Liza”, questo il nome in codice che i russi le hanno assegnato, è sempre affollato di nuovi visitatori. C’è persino tempo per il nipote dell’ultimo Kaiser, Luigi Ferdinando Hohenzollern, o magari per il regista Sidney Kaufman, fra le tante distrazioni della signora.
Spericolata, ma non avventata, si potrebbe dire: al ritorno a New York nel 1938, Martha decide che l’uomo giusto per lei ora è il miliardario Alfred Stern. Detto fatto: non solo lo sposa, ma lo converte alla causa sovietica, chiedendogli di finanziare il microscopico Partito Comunista americano. Stern è una pedina preziosa, una miniera di informazioni e di contatti in questi anni che preludono alla Seconda Guerra mondiale. Convinto dalla moglie, Alfred accetta di collaborare con i sovietici, inventando dal nulla anche una presunta casa editrice musicale. Una perfetta copertura per i traffici di denaro che vanno e vengono dall’ambasciata russa di Washington. Fra un party, un nuovo libro o un film da commentare, la coppia conduce una vita dorata, con relazioni ad altissimi livelli: non riesce però a non farsi notare, ogni tanto segnala persino ai sovietici potenziali agenti da reclutare, ma soprattutto passa informazioni preziose negli anni della guerra.
Oggi è difficile stabilire la portata del servizio reso al regime di Stalin. Karel Pacner nel suo libro Vyzvědačky pod rudou hvězdou (Le spie sotto la stella rossa) cita le parole di un alto funzionario del ministero della giustizia americano secondo cui gli Stern erano illustri figure dello spionaggio sovietico, forse addirittura più importanti dei coniugi Rosenberg, giustiziati nel 1953 per aver svelato il segreto della fabbricazione della bomba atomica.
L’FBI decide di metterli sotto sorveglianza sul finire degli anni ‘40, sino a quando il cerchio si stringe. Altro che benefattori e benemeriti, si tratta di vere e proprie spie, coinvolte a pieno titolo nella rete Soble, circuito spionistico in territorio Usa, che risponde agli agenti di Mosca. Contro di loro, c’è poi la testimonianza decisiva di Boris Morros, un doppiogiochista che rivela al FBI tutte le trame dei due. Il terreno scotta, c’è il rischio serio di processo e di quasi certa sedia elettrica.
Gli Stern in extremis fuggono in Messico, con falsi documenti del Paraguay volano ad Amsterdam dove li attendono i funzionari dei servizi di sicurezza della Cecoslovacchia comunista che riescono a farli riparare nell’Europa comunista.
Arrivano a Praga in una gelida giornata di gennaio del 1958. Sono passati quasi due mesi dalla morte di Antonín Zápotocký e dall’elezione a presidente di Antonín Novotný. Il più alto organo del partito unico cecoslovacco accoglie la loro richiesta di ospitalità e assegna loro una villa a tre piani, con dodici stanze, la servitù e un autista personale. I coniugi si procurano una Mercedes nera nuova di zecca. Si chiudono in questa bolla milionaria nel mezzo dello stagno comunista e vi restano praticamente fino alla fine della loro vita.
Vivono insabbiati e prigionieri del paradiso rosso che avevano sempre osannato. Girano i paesi dell’Est compiendo qualche tour di propaganda, dal ‘63 al ‘70 trascorrono sette anni a Cuba, prima di decidere di rifugiarsi nuovamente a Praga. Formalmente, negli anni Sessanta sono ormai due comunisti yankee che provano “nostalgia” per la vecchia America. Presentano persino una domanda di rimpatrio, che però la Corte di Giustizia Usa rifiuta di considerare.
Alfred lavora all’Istituto di ricerca di costruzione e architettura, Martha all’Unione degli scrittori. A tempi record esce la versione in ceco del suo romanzo Sowing the Wind. Entrambi guadagnano uno stipendio medio ma vivono soprattutto con i milioni di dollari che prima di fuggire sono riusciti a depositare in Svizzera.
La loro villa diventa una prigione. “Non possiamo dire con la coscienza pulita che ci piace stare qui a Praga” scrive Martha nella lettera a un amico. “È una vita piena di considerevoli limitazioni, intellettuali e creative (non sappiamo nemmeno la lingua locale, questo è un grande handicap) e qui ci sentiamo separati dal mondo e spesso proviamo una grande solitudine”.
Karel Pacner però afferma che con il tempo gli Stern fanno conoscenza con una serie di intellettuali comunisti: con il pittore e scrittore Adolf Hoffmeister, con i giornalisti Antonín J. Liehm e Stanislav Budín. Artisti occidentali di sinistra frequentavano la loro villa durante le loro visite a Praga. Così come gli scrittori sovietici Boris Polevoj e Il’ja Erenburg.
Fu nel periodo della normalizzazione comunista, dopo il 1968 e la invasione sovietica di Praga, che il loro ideale comunista comincia a vacillare, sino a quando giunsero a prodigarsi per aiutare i dissidenti perseguitati dal governo comunista in Cecoslovacchia. Molti loro amici di quel tempo firmano Charta 77.
Martha rimane vedova nel 1986 e continua a vivere a Praga, convivendo con un passato importante, e probabilmente qualche segreto troppo ingombrante. Troppo ingombrante e scomodo per essere scritto o solo almeno raccontato in tutta la sua portata.
Nell’agosto del ‘90, un anno dopo la caduta del Muro e il crollo dell’Urss, a 81 anni, la signora Dodd, la antica seduttrice di Berlino, la signora di tutte le spie, la amante più ricercata di New York, muore in circostanze misteriose nella sua villa praghese. Le scarne cronache del tempo, in una Praga ancora ubriaca d’entusiasmo per la caduta del Muro e la riconquistata libertà, liquidarono l’episodio come una rapina ad opera di ignoti. I ladri la picchiano ferocemente. La casa devastata, i mobili spostati, i letti sventrati. Qualcuno, forse a Washington, forse a Mosca – chissà – cercava i segreti inconfessabili della miliardaria comunista, della donna dai mille volti che seppe beffare per anni la Gestapo e l’Fbi.
di Ernesto Massimetti