L’antico comune, ai piedi dei Monti Metalliferi, sorge su un giacimento di carbone e rischia di essere sacrificato per esigenze energetiche
La fame di carbone delle vicine centrali termoelettriche potrebbe presto far sparire un comune della Boemia nord occidentale – Horní Jiřetín, poco più di duemila abitanti – che ha la sventura di trovarsi sopra un enorme giacimento di lignite ancora da sfruttare.
Il piccolo centro abitato si estende ai piedi dei Monti Metalliferi. Da una parte confina con i boschi, dall’altra con una sterminata miniera di superficie, di proprietà del colosso carbonifero Severní energetická. Il sito estrattivo ha un nome che ricorda il passato: Lom Československé armády, la Miniera dell’Armata Cecoslovacca.
Ci troviamo a due chilometri da Litvínov, la cittadina industriale, nota anche per aver dato i natali alla top model Eva Herzigová. Poco più a nord, sull’altro versante dei monti, inizia la Sassonia tedesca. Nel centro di Horní Jiřetín – che un tempo era zona di dominio della famiglia Lobkowicz – si trova la chiesa dell’Assunzione, in stile barocco, la cui costruzione risale alla fine del Settecento. Qualche chilometro più in là, ormai fuori dal centro abitato, si arriva allo Zámek Jezeří, un castello in condizioni di semi-abbandono.
L’antico maniero, in mezzo agli alberi e inerpicato sulle rocce, sembra quasi un avamposto di difesa del villaggio. In giro non c’è anima viva e l’atmosfera è inquietante. Non sorprende che proprio qui, durante gli anni ‘80, una troupe di cineasti americani sia venuta a girare alcune delle sequenze più agghiaccianti del film Howling (l’Ululato), una storia di licantropia.
Giù in basso, a poche centinaia di metri, in un immenso paesaggio lunare esteso, si stagliano giganteschi escavatori, che incombono. Sembrano non veder l’ora di sbancare il terreno e demolire tutto: le case di Horní Jiřetín, la chiesa, il castello. Il profondo silenzio è scosso di tanto in tanto dal rombo feroce delle pale meccaniche.
Negli ultimi 150 anni in questa zona della Boemia sono stati estratti circa cinque miliardi di tonnellate di lignite, ma a quanto pare ce ne sarebbe ancora tanta da sfruttare se non ci fosse Horní Jiřetín.
L’ultimo baluardo a difesa del villaggio continua a essere un decreto del 1991, quando il primo governo post comunista decise di porre un limite alla estrazione del carbone. Allora furono soprattutto esigenze di carattere ambientale a prevalere, per la volontà di porre un freno all’inquinamento, che da queste parti raggiunge vette da record europeo.
In questi anni però, nonostante le battaglie portate avanti dalle associazioni ecologiste, non si sono mai placate le voci di quanti sostengono la necessità di abbattere quei limiti. “Perché per il nostro paese non ha senso rinunciare a questa fondamentale fonte di energia, capace di dare ancora oggi tante possibilità di lavoro agli abitanti della zona” dicono i critici. Uno dei più accesi sostenitori della necessità di dar via libera alle pale meccaniche è il presidente Miloš Zeman, che più volte si è espresso a favore dell’abrogazione del decreto del 1991.
Si calcola che, in base a questi limiti, lo sfruttamento dei giacimenti potrà durare tutt’al più per altri dieci anni. Se invece i vincoli verranno abbattuti, ci sarebbero da estrarre ancora quasi 800 milioni di tonnellate, che chiaramente fanno gola. Nel dibattito non mancano quindi di far sentire la propria voce i cosiddetti “baroni del carbone”, i proprietari delle aziende estrattive, i quali sono capaci di mettere sul piatto della bilancia un pressante potere lobbistico.
Sempre più grande quindi la voglia di dare il via libera agli escavatori, tanto più che in Repubblica Ceca le fonti alternative di energia stanno manifestando parecchie debolezze, a iniziare dalle rinnovabili che – nonostante gli incentivi degli ultimi anni – continuano a costituire una quota troppo bassa del mix energetico nazionale. I sostegni pubblici hanno poi alimentato un sistema corrotto di sfruttamento della energia verde, soprattutto nel settore del fotovoltaico, che ne ha aumentato la impopolarità.
I ritardi dei piani di ampliamento della centrale nucleare di Temelín, così come l’esigenza di allentare la dipendenza energetica dalla Russia, non fanno che dare maggiore vigore agli argomenti di quanti preferirebbero sacrificare Horní Jiřetín.
Secondo un recente sondaggio condotto a livello nazionale, su iniziativa di Greenpeace, il 68% dei cechi è contrario alla eventualità di sacrificare centri abitati per esigenze legate allo sfruttamento di giacimenti carboniferi nella Boemia del nord. Due cittadini su tre vogliono che i limiti rimangano come li ha fissati il governo nel 1991, o comunque tali da rispettare la sopravvivenza dei comuni interessati.
Ma neppure un tasso così elevato di contrarietà sembra in grado di salvare Horní Jiřetín, anche perché gli abitanti della zona cominciano a manifestare molto scoraggiamento per il futuro di questa zona. “È chiaro che io vorrei restare nella mia casa, ma alla fine credo troveranno un modo per farci andare via. Ci daranno abitazioni sostitutive da altre parti, oppure ci concederanno dei risarcimenti. Fatto sta che prima o poi ci faranno sloggiare” dice sconsolato un abitante affacciandosi dal suo giardino. Della stessa opinione, ormai rassegnati, è il 70% dei suoi compaesani. Vallo a spiegarlo al cane, infuriato al di là della staccionata, un pastore tedesco che voglia di traslocare sembra averne molto meno del suo padrone.
Ad angosciare la gente è il clima di insicurezza, la prospettiva che anche dal punto di vista economico questa zona, una delle più afflitte dalla piaga della disoccupazione, non abbia alternative allo sfruttamento del carbone. Alcuni abitanti cominciano così a vendere le proprie abitazioni o comunque non rifiutano le trattative con gli emissari delle aziende estrattive. Un clima di rassegnazione che fa apparire quasi segnato il destino di Horní Jiřetín.
di Giovanni Usai