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Realizzato alla fine dell’Ottocento, come una delle case di detenzione più all’avanguardia d’Europa, è ancora oggi un’importante istituzione nell’universo penale della Repubblica Ceca

Il carcere di Pankrác, dal nome della zona che lo ospita, nel distretto di Praga 4, è stato costruito fra il 1885 e il 1889. All’epoca, l’esigenza primaria era quella di rimpiazzare l’ormai superata e fatiscente prigione di San Venceslao, che si trovava invece fra Karlovo náměstí e la Moldava. Il nuovo centro di detenzione, in quella che allora era una zona di aperta campagna (oggi invece ha le sembianze del financial district praghese, tra banche, uffici e centri commerciali), s’inseriva all’interno di un vasto progetto austroungarico di espansione della città e doveva rappresentare la messa a punto di nuovi sistemi tecnologici ed infrastrutturali nel settore della espiazione della pena, fino ad allora inediti nell’Impero, tanto è vero che, ancora oggi, il carcere rimane un’istituzione significativa nell’universo penale della Repubblica Ceca.

Il carcere – all’avanguardia alla fine dell’Ottocento – era stato progettato per ospitare circa ottocento prigionieri, mentre oggi la sua capacità è di circa 1.200 posti. Nel periodo asburgico rappresentava in effetti il massimo della modernità in termini di edilizia penitenziaria. Il sistema di riscaldamento centralizzato di acqua ed aria, nonché la presenza di celle singole, erano una vera rarità nell’Europa del tempo.

Era anche ben organizzato per quello che riguardava i programmi didattici dei detenuti, dal momento che, cosa insolita, vi erano istituiti dei corsi dove i prigionieri erano tenuti a istruirsi, così come spazi di preghiera a rito cattolico, evangelico ed ebraico, in piena osservanza della multi-religiosità asburgica (sebbene l’Impero di Franz Joseph prediligesse la prima). La sezione riservata al culto, che funziona ancora oggi, venne sospesa durante gli anni Cinquanta del secolo scorso, in ossequio alla politica del regime comunista, che imponeva la sua ideologia come una religione di Stato.

Conclusi i lavori di costruzione in tempo record, nel 1889, il complesso assunse il nome di “Carcere maschile del Re Imperatore a Praga”: difatti, non vi era previsto l’internamento femminile, che è stato attivato a Pankrác solo nel 2008.

Terminata la Prima Guerra Mondiale, smantellato l’Impero austroungarico e instaurata la Prima Repubblica, diventò il principale carcere della neonata Cecoslovacchia. Dopo qualche anno dalla conquista della indipendenza nazionale, vi fu costruito accanto un grande tribunale, ancora oggi in funzione come sede della Corte superiore di Praga, collegato alla prigione da un corridoio sotterraneo.

Con l’invasione del 1939, la Gestapo e le SS s’impossessarono del complesso carcerario, nel quale vennero internati migliaia di membri della Resistenza cecoslovacca. Molti di loro finirono poi in altre prigioni della Germania e nei campi di concentramento, oppure nel poligono praghese di Kobylisy per l’esecuzione capitale. Fu a partire dal 1943 che le condanne a morte cominciarono a essere eseguite dai nazisti all’interno del carcere stesso e in maniera del tutto sommaria. Si sa, perché ne è stata rinvenuta la documentazione dei boia, che tra il 5 aprile 1943 e il 26 aprile 1945 un totale di 1.079 persone (tra cui 175 donne) furono decapitate con la ghigliottina a Pankrác, mentre non si conosce esattamente il numero delle persone giustiziate per impiccagione in quello stesso periodo. La ghigliottina era stata ripristinata dai tedeschi per sveltire le operazioni, dal momento che i russi procedevano inesorabilmente da Est.

Terminata la Seconda Guerra Mondiale, nei pochi anni intercorsi fra un totalitarismo e l’altro, finirono a Pankrác una serie di persone che a diverso titolo si erano compromesse con gli invasori tedeschi, fra cui l’ex Presidente Emil Hácha, che morì nell’ospedale del carcere in circostanze misteriose il 27 giugno 1945, e il paracadutista traditore Karel Čurda, impiccato il 29 aprile 1947.

Dopo il colpo di Stato comunista del 1948, Pankrác divenne il luogo prediletto per l’incarcerazione di iconici avversari politici, come Milada Horáková, qui impiccata il 27 giugno 1950, sino – trent’anni dopo – a Václav Havel, qui internato nel 1979.

A Pankrác finirono però non solo vittime del regime comunista, ma anche suoi artefici, vale a dire esponenti del KSČ che uscirono sconfitti in regolamenti di conti interni, come capitò a Rudolf Slánský, numero due di Klement Gottwald, giustiziato anche lui per impiccagione il 3 dicembre 1952.

Il periodo del terrore nazista e successivamente comunista è testimoniato ancora oggi da una esposizione museale che si trova all’interno del carcere e che, attraverso una non semplice procedura di accreditamento, è possibile visitare. Davanti a una inquietante parete piastrellata con mattonelle bianche, vi è esposta ancora oggi la ghigliottina utilizzata dagli occupanti tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale.

Sino al crollo del Comunismo il carcere praghese è stato il luogo deputato alle esecuzioni delle condanne a morte nell’allora Cecoslovacchia, ad eccezione di alcune che vennero effettuate a Bratislava. Dal 1950 al 1989 si trattò di centinaia di persone, quasi tutte per impiccagione. L’ultima donna, fu Olga Hepnarová, nel 1975, una ventiduenne, psicopatica, colpevole di aver investito con un camion dei passanti alla fermata del tram di Strossmayerovo náměstí di Praga, uccidendone otto e ferendone dodici.

L’ultima condanna a morte in assoluto fu invece eseguita a Pankrác il 2 febbraio 1989, quando finì sulla forca Vladimír Lulek, un trentacinquenne pregiudicato e pluriassassino.

Va detto che negli anni Sessanta la Cecoslovacchia divenne l’unico Paese dell’ex Patto di Varsavia ad accettare regole minime per il trattamento dei detenuti delle Nazioni Unite, vale a dire gli standard universalmente riconosciuti. Non sappiano sino a che punto il rispetto delle regole fosse effettivo, ma certamente il vero cambio di registro si ebbe successivamente, dopo il crollo del regime nel 1989, quando il tema dei diritti umani divenne cosa comune nelle agende dei governi dell’Europa Centrale e certamente anche di quello dell’allora Cecoslovacchia. Maggiori spazi a favore degli internati vennero studiati e messi a punto anche a Pankrác, così come in tutti i siti carcerari del Paese.

Un processo di miglioramento proseguito nei primi anni Duemila, quando era ormai forte in Repubblica Ceca la pressione in tema di diritti umani, vista la prospettiva d’ingresso nell’Unione Europea, avvenuta nel 2004.

Attualmente il carcere di Pankrác ospita sia detenuti in attesa di giudizio, sia coloro che stanno scontando una condanna definitiva. In ossequio alla “tradizione innovatrice” da cui era nata, la prigione è dotata da ospedali e servizi sociali di ogni tipo, fino al reparto di psicologia.

Nel complesso, il carcere s’inserisce all’interno di un generale processo di miglioramento dell’amministrazione penitenziaria in Repubblica Ceca. Le sfide odierne sono d’altronde di entità comune tra le istituzioni carcerarie di quasi tutta l’Europa: il sovraffollamento, la riduzione del tasso di recidiva e il reinserimento sociale dei detenuti.

Sulla cinta muraria del carcere, protetta da filo spinato e placche di cemento in stile sovietico color cachi e grigio-topo, si nota che sono appese diverse corone di fiori, bandierine tricolori e targhe, in ricordo dei tanti che vi sono morti.

Nel quartiere di Pankrác, la presenza del carcere fa sì che al clima di vitalità della zona si mischi anche una vaga sensazione di angoscia. Il monumento a Milada Horáková, nella vicina Náměstí Hrdinů (la Piazza degli eroi), sembrerebbe messo lì quasi per sorvegliare questo luogo ed evitare che si ripetano gli orrori del suo passato.

di Amedeo Gasparini