Memorie del sottosuolo e natura senza tempo, reportage da una regione di confine tra i patrimoni dell’umanità
Partiamo dal principio: se la storia ha battezzato i Monti Metalliferi con questo nome, la spiegazione sarà semplice. Sotto queste montagne dalle linee dolci, sotto i pendii di conifere e faggeti e i prati estivi colorati di verde, giallo e rosa, sotto i piccoli centri seicenteschi, sotto gli artigiani del legno e le piscine termali, le miniere hanno prodotto tesori per secoli.
Dal ferro all’argento, dallo stagno all’uranio, otto secoli di estrazioni hanno seguito e plasmato le necessità di epoche diverse, un racconto dell’uomo e della tecnica dal conio delle monete medievali alle tragedie dell’era nucleare. A luglio 2019 la regione è stata riconosciuta dall’Unesco come patrimonio dell’umanità.
È il limite naturale tra il nord-ovest ceco e la Sassonia. Nel versante sud i pendii sono ripidi, e lievi nella parte tedesca; di conseguenza l’area in questione si estende molto più in Germania che in Repubblica Ceca. Abbiamo deciso di tagliare in due la regione ed intraprendere un viaggio, due tappe la di qua e due al di là del confine.
Versante ceco
Jáchymov è una cittadina termale a forma di serpente, che si inerpica sulla stretta valle dedicata a San Gioacchino; tremila abitanti, su un dislivello di 150 metri di altitudine. Difficile trovare una strada in piano. Un misto di eleganza decaduta e forza popolare di chi spaccava la montagna, il centro richiama tinte cupe e misteriose di un film di David Lynch. Si sviluppò a partire dai primi anni del XVI secolo, quando fu scoperta la ricca vena d’argento della roccia. Di quei tempi rimane poco, dato che un incendiò la distrusse quasi completamente nel 1873, e dato che la fortuna dei tempi andati sembra aver lasciato poca ricchezza. Ad accogliere i viaggiatori dalla via di Karlovy Vary, il maestoso hotel Radium Palace, dal 1912 riferimento dei soggiorni curativi. Anche qui il nome suggerisce il giusto: stiamo parlando di terme radioattive (sic!).
La presenza di radon nelle acque è stata scoperta per la prima volta qui nel 1896; l’uso terapeutico si è poi diffuso in diverse terme in Europa. Quanto alla sua efficacia, la comunità scientifica pare essere oggi molto più scettica rispetto al passato – diciamo, da quando si è scoperto che il radon è cancerogeno. Tuttavia, in minime dosi viene ancora usato per curare artriti e reumatismi. I tempi d’oro (e folli) delle terme radioattive si possono ritrovare nell’esposizione permanente a due passi da saune e piscine – scopriamo così che si vendevano saponette radioattive per il bagno – o nel museo cittadino, dove fanno bella mostra, soprattutto al buio, i bicchieri ed i vasi al vetro d’uranio. Al buio, perché da un secolo brillano di luce propria (e continueranno a farlo).
Fino allo scoppio della Grande Guerra Jáchymov era l’unica fonte di uranio conosciuta al mondo. Dalle sue miniere Marie Curie-Skłodowska isolò il radio ed il polonio. Dalle sue miniere il regime comunista cecoslovacco forniva ai sovietici la materia prima per gli armamenti nucleari. Gli infami campi di lavoro forzato sono ricordati dalla “Torre rossa della morte”, un alto edificio a mattoni rossi parte del campo “Vykmanov II”, aperto nel 1951. Ospitava circa 300 prigionieri politici, in condizioni di lavoro estreme; molti perirono per la mancanza di protezioni e l’inalazione di polveri radioattive.
Verso nord il paese si addentra nei monti e nella storia delle antiche miniere. Curiosità di fama mondiale: il “thaler”, tallero d’argento coniato a Jáchymov (in tedesco Joachimsthal) nel XVI secolo è alla base del nome “dollaro” americano.
Risalendo la serie di tornanti raggiungiamo un altipiano, il panorama si allarga in prati fioriti incorniciati da boschi: al centro c’è Boží Dar, il comune più in alto della Repubblica Ceca (1.008 metri s.l.m.). L’atmosfera è decisamente piú gioviale, il piccolo villaggio attrae sportivi d’estate (trekking, mountain bike, passeggiate) ma soprattutto d’inverno, con le sue piste da sci alpino e di fondo; i residenti fissi sono meno di duecento, ma a quanto pare non sono mai da soli. Se Jáchymov porta con sé la memoria dura delle Krušné Hory, Boží Dar addolcisce la lista Unesco con i panorami ed i percorsi nel verde verso le miniere. Inoltrandoci nel bosco in poche centinaia di metri raggiungiamo, a piedi, il confine con la Germania. Oggi è segnato solo da tre pali in fila e una pietra miliare; da un lato la C, dall’altro la D.
Un panorama in comune
Il piacere di camminare su un confine invisibile ricorda l’unità voluta dalla candidatura Unesco. Il progetto comune tra i due paesi ha avuto una genesi piuttosto lunga.
Michal Urban, responsabile della parte ceca per la stesura del dossier, racconta che l’idea nacque in Sassonia più di vent’anni fa. “Da subito fu chiaro che sarebbe stato necessario coinvolgere la parte ceca della regione. La storia mineraria dei Monti Metalliferi è andata avanti per secoli senza l’idea di un confine”. Il primo contatto fu con il museo di Most, ma il progetto cominciò a prendere forma solo quando fu coinvolta la regione di Karlovy Vary, a partire dal 2010. “Da quel momento in poi sono nate una collaborazione e un amicizia che hanno portato alla domanda congiunta nel gennaio 2018 e, finalmente, al riconoscimento Unesco a luglio”.
Da parte tedesca Tina Kopetzky, il cui cognome slavo sembra un dettaglio appropriato, chiarisce l’impronta del passato: “l’influenza delle miniere è tangibile ancora oggi negli aspetti della vita quotidiana, è radicato nel carattere montano dell’artigianato, degli usi e delle tradizioni”. Tina elenca le prossime iniziative, la targa comune da apporre a oltre 400 luoghi di interesse, e poi la World Heritage Brochure, la World Heritage Guide, la World Heritage App… Si dice contenta del lavoro con il ministero ceco, così come Michal aveva fortemente elogiato i colleghi tedeschi. Quanto alla cooperazione con gli enti locali (sette nella parte ceca e 25 in quella tedesca), esclama “good conflict management!”; tutto bene, ma indoviniamo non sia sempre stata semplice.
Versante tedesco
Nei dintorni di Annaberg-Buchholz i Monti Metalliferi diventano colline rotonde e boscose. La stessa cittadina è fatta di saliscendi, con la grande chiesa in cima. Ma dal punto di vista ecclesiastico ci interessa piú un altro edificio a due passi dalla piazza del centro: l’elogio della miniera trova la benedizione di una chiesetta dedicata a Santa Maria della Montagna. Costruita nel XVI secolo, dal 1863 è diventata la chiesa dei minatori, dopo che questi pagarono di tasca propria la restaurazione; a Natale, nel presepio, ci sono anche loro, in piccole statue di legno.
Annaberg è un piccolo centro ma si nota un benessere maggiore rispetto al versante ceco. Il museo cittadino sulla comunità dei minatori è moderno e interattivo, le miniature e le storie dei minatori diventano protagonisti. I ristoranti offrono piatti tipici degli Erzgebirge, il nome tedesco dei monti: il più celebre è il “Buttermilchgetzen”, un pancake di latticello e patate che si serve sia dolce, con confettura di mele, sia salato, con la pancetta. Qui l’attrazione turistica per gli appassionati del metallo è il Fronhauser Hammer, un museo fuori dal centro dove un fabbro fa ancora appiattire il ferro sull’incudine come duecento anni fa.
La ricchezza mineraria trova la sua celebrazione finale a Freiberg, città a sud-ovest di Dresda; i monti sono ormai lontani, ma la città è a pieno titolo tra i centri sulla lista del World Heritage poiché era qui che veniva lavorato l’argento. L’onore riservato al minatore è ancora vivo nel Novecento; una statua realsocialista del 1959 in un angolo del centro porta ancora una volta il lavoratore in primo piano. Al sacrificio di questi uomini forti e induriti, fiaccati e sfruttati, la regione deve tutto. La città sassone mantiene ancora oggi la facoltà di ingegneria che era nata proprio per studiare, razionalizzare e perfezionare il mondo della miniera.
Un’unione da ritrovare
I giocattoli di legno, gli schiaccianoci, gli abiti tradizionali esibiti nel Fronhauer Hammer; i racconti del passato che vengono dalla parte tedesca ci inducono ad una riflessione. Il versante ceco si trova spoglio di storia popolare perché le genti che dovevano narrarla non ci sono più: è l’effetto del dramma del dopoguerra, la cicatrice della cacciata dei tedeschi dei Sudeti. Gli infausti Decreti Beneš, con cui il presidente cecoslovacco nel 1945 poneva la firma per la barbara rivincita sui tedeschi e sulle simpatie naziste – che, senz’altro, abbondavano su questi monti. Abbiamo provato a chiedere a Michal se la questione fosse mai venuta a galla durante l’impegno diplomatico congiunto, ma la risposta è stata secca, “Non ce n’era motivo. Le relazioni tra cechi e tedeschi sono al momento migliore della storia, ci sono diversi progetti transfrontalieri e l’inclusione della regione mineraria Erzgebirge/Krušnohoří nel patrimonio Unesco non potrà che migliorare la futura cooperazione”.
Prendiamo per buone le sue parole, nella speranza che il futuro riallacci il passato, e liberi i fantasmi dai boschi cechi. Non basterà una lista Unesco: ma ci sembra un buon inizio.
di Giuseppe Picheca