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I valorosi che contribuirono alla sconfitta dell’aquila bicipite combattendo con coraggio sul fronte italiano

L’Italia, soprattutto la valle del Piave, conserva vivo il ricordo dei legionari cecoslovacchi che, a fianco dell’esercito italiano, combatterono contro l’esercito austro – ungarico per la difesa della propria Patria e dell’Europa. A Conegliano (Treviso), per esempio, una via è dedicata ai Martiri Cecoslovacchi oppure a Dosso Alto di Nago, dove il comune ha donato alla Rep. Ceca l’area dove vennero impiccati quattro legionari cecoslovacchi.
Ma chi erano questi martiri?
L’umiliante sconfitta subita dagli italiani a Caporetto nell’ottobre del 1917 apriva all’esercito austro-ungarico la via verso l’Europa. Il rischio era chiaro a tutti. Soprattutto agli italiani che cominciavano a pensare ad una pace separata, visto che neanche il fronte sul Piave sembrava in grado di reggere l’urto.
Fin dal 1916 a Roma si discuteva dell’opportunità di appoggiare la formazione di uno stato cecoslovacco indipendente, anche per indebolire l’esercito austriaco composto da cechi, slovacchi, serbi, croati, sloveni e ungheresi.
Particolare impegno venne assunto dalla “Dante Alighieri” che «si impegnò nella azione formativa […] per l’impulso di Enrico Scodnik, consigliere centrale della Società. Nel gennaio 1917 esso creò a Roma un “Comitato italiano per l’indipendenza cecoslovacca”. Nel manifesto si auspicava, a scanso di equivoci, che «l’Italia, rivendicati i suoi diritti sull’Adriatico, possa chiamare a valersi del suo dominio su quel mare anche i cecoslovacchi che, per i traffici, troveranno a Trieste e Fiume, italiane e redente, i porti indubbiamente amici»1
In quest’ottica il presidente del consiglio Orlando si incontrò a Londra alla fine del 1917 con Ante Trumbić, il politico croato fondamentale per la successiva fondazione del Regno di Jugoslavia, per discutere dell’eventualità di un raduno a Roma di tutte le nazionalità sotto il giogo austriaco.
Il problema principale fu vincere la diffidenza non solo dei soldati, ma anche di uomini politici, preoccupati quest’ultimi di non permettere alla Russia di estendere la propria influenza fino all’Adriatico. In realtà la questione era ben altra. In cambio del proprio intervento a fianco delle potenze dell’Intesa l’Italia aveva chiesto che le venissero riconosciute le città irredente di Trento e Trieste, Valona con l’Istria e la Dalmazia; si temeva quindi che le nazioni slave presenti in questi territori si unissero con i cechi a svantaggio dell’Italia.
Per la truppa la questione era ovviamente diversa. Non comprendevano che l’esercito imperiale era composto da soldati provenienti da diverse nazioni, costretti a combattere non per la propria patria, ma solo a salvaguardia di altrui interesse e spesso sotto la minaccia di ritorsioni contro le proprie famiglie. Non erano quindi isolati i casi di diserzione.
59 Un legionario ceco sul fronte italiano
Coloro che disertavano non lo facevano per vigliaccheria, ma animati da ben altre intenzioni e correndo rischi ben maggiori. Ben consapevoli dei pericoli a cui andavano incontro, mettendo anche a repentaglio le proprie famiglie. Sicuramente non incoscienti o dissennati, ma piuttosto dei valorosi.
Fin dalle prime diserzioni, gli austriaci, con una massiccia campagna propagandistica, cercarono però di far passare i fuggiaschi come traditori della loro patria e della loro gente.
Coloro che si arrendevano alle nostre truppe italiane venivano visti con diffidenza. Erano relegati in appositi campi di concentramento e discriminati rispetto ai prigionieri normali, nel rispetto di un codice d’onore che non contemplava “tradimenti”.
In Francia e in America le cose andavano diversamente.
Sin dall’inizio della Guerra gruppi di volontari si erano organizzati in unità per aiutare gli eserciti dell’Intesa. Con l’evolversi del conflitto molti prigionieri cechi e slovacchi chiesero di farne parte. Le Legioni Cecoslovacche erano sostenute e nate per iniziativa di uomini quali Milan Rastislav Štefánik e Tomáš Garrigue Masaryk che diventerà il primo presidente cecoslovacco. Nel 1915 queste truppe si distinsero in Russia e dal 1917 in Francia venne creato un autonomo esercito cecoslovacco.
Perché anche l’Italia si avvalga dell’ausilio determinante di queste truppe bisogna aspettare il 1918. All’origine di questo ritardo vi erano motivi politici, ma anche umani. I militari cecoslovacchi erano dei disertori e per loro quindi non poteva essere applicata la convenzione sui prigionieri di guerra.
Fu lo stesso Orlando a esprimere questa preoccupazione al generale Štefánik: «Quando gli altri soldati hanno nobilmente compiuto il loro dovere e cadono nelle mani del nemico, essi hanno diritto al rispetto dovuto ai prigionieri; ma ne andrebbe diversamente dei vostri uomini: la forca li attenderebbe». Il generale rispose semplicemente di permettere ai propri uomini di morire per il proprio ideale. Era il 21 aprile 1918 e in pochi febbrili mesi le truppe delle legioni cecoslovacche sarebbero state pronte a ricevere il battesimo del fuoco anche sul fronte italiano. Proprio in quell’occasione Orlando e Štefánik firmarono la “Convenzione fra il Governo italiano e il Consiglio Nazionale dei paesi Cecoslovacchi” per precisare quale dovesse essere il ruolo operativo delle truppe cecoslovacche. Era la prima volta che lo stato cecoslovacco, che doveva ancora nascere, veniva ufficialmente riconosciuto.
Furono numerosi i legionari cecoslovacchi che si sacrificarono sul Piave.
Molti furono anche i prigionieri, e nessuno chiese uno sconto. Fino in fondo adempirono al proprio dovere, dimostrando di meritarsi l’onore che gli verrà riconosciuto. Una volta catturati, nessuno di loro si sottrasse al destino che lo attendeva. Preferirono essere giustiziati come traditori e non deludere chi aveva dato loro la possibilità di riscattarsi dal giogo dell’aquila bicipite.
Alcuni si trovarono ad essere giudicati dai propri connazionali che cercarono di risparmiare ai condannati l’amaro calice. Così fece il capitano Machalek, della 46ª divisione dell’esercito Austro-Ungarico, che chiese all’imputato se per caso non fosse un ceco residente in America o in Russia proprio per trovare una via di fuga. Fuga che il legionario Bedřich Havlena, come anche altri prima di lui, rifiuta con orgoglio: « No, sono un ceco cittadino austriaco arruolato nel 98° reggimento di fanteria e so cosa mi attende. Fate il vostro dovere e fatelo presto».
Moltissime furono le esecuzioni di legionari cecoslovacchi che sacrificando la propria vita suggellarono una volta di più i legami tra le due Nazioni.

Di Marco Moles