Il panorama politico continua a essere ravvivato dalle ricorrenti polemiche fra il presidente václav Klaus e il ministro degli Esteri Karel Schwarzenberg
Le abituali scaramucce fra il capo dello stato Vaclav Klaus (69 anni) e il ministro degli Esteri Karel Schwarzenberg (73 anni) sono una prova evidente di quanto sia ancora distante dal venir meno in Repubblica ceca, a più di venti anni dalla fine del regime comunista, la radicata diffidenza, la frequente incompatibilità, fra i cittadini che il periodo del regime lo hanno vissuto in patria e coloro che invece sono potuti tornare solo dopo la Rivoluzione di velluto.
I primi sempre pronti a rinfacciare agli altri di aver abbandonato la madrepatria, di essere diventati praticamente degli stranieri, senza le carte in regola per poter giudicare ciò che è stato negli anni del regime.
Gli ex espatriati, invece, più propensi ovviamente ad accusare gli altri di essersi piegati alla dittatura, di non aver avuto abbastanza coraggio per cambiare le cose e persino di essersi compromessi con il regime.
Gli interminabili attriti fra Klaus e Schwarzenberg da questo punto di vista sono assolutamente emblematici.
Uno degli ultimi scontri fra i due risale a quando, appena pochi mesi fa, l’euroscettico Klaus, parlando delle trasferte a Bruxelles del ministro degli Esteri, ha dichiarato di non fidarsi di Schwarzenberg. Il Presidente, senza peli sulla lingua, ha detto di considerarlo, per quanto riguarda le questioni europee, “uno dall’altra parte della barricata” e non ha mancato di rimproverare al responsabile della diplomazia ceca, il quale ha trascorso buona parte della sua vita in Austria e in Germania, quei suoi “decenni di vita passati a girovagare in Europa”.
Inevitabile la replica del principe Schwarzenberg, il quale è discendente di una delle casate nobili di più antica tradizione d’Europa, il quale nel 1948, con l’avvento del regime dovette lasciare l’allora Cecoslovacchia al seguito della sua famiglia per farvi ritorno solo dopo il 1989. “Klaus ha le sue idee e che a questa età è difficile fargliele cambiare” una premessa in apparenza prudente, alla quale alla quale l’anziano aristocratico ha fatto seguire una vera e propria stoccata da schermidore d’altri tempi: “Il presidente è forse condizionato dagli insegnamenti ricevuti a scuola, degli anni ’50, quando nella Cecoslovacchia comunista di quel periodo lo abituarono a considerare negativamente tutto ciò che ha a che fare con l’aristocrazia”.
Una battuta davanti alla quale il presidente è parso obiettivamente accusare il colpo.
Klaus è infatti il classico esempio di cittadino ceco che – come tanti altri in quel periodo, non si iscrisse mai al partito comunista, ma che neanche si schierò mai apertamente contro il regime. Preferì adeguarsi a quelle condizione e ciò gli permise di frequentare l’università, di poter perfezionare i suoi studi in due stage all’estero negli anni ’60 – il primo in Italia, presso l’Università di Napoli (beneficiario di una borsa di studio dell’Iri) e il secondo negli Stati Uniti, presso la Cornell University di New York – e di poter persino continuare, dopo la Primavera di Praga e in piena normalizzazione comunista, la sua carriera di economista, all’interno della Banca nazionale cecoslovacca e successivamente nell’Accademia delle scienze.
Alcune settimane fa, da un vecchio archivio, è persino emerso che Klaus, da giovane, nei primi anni ’60, fu per un certo periodo notato per un possibile arruolamento dai servizi segreti militari. A quanto pare, ciò che gli costò una possibile carriera nell’intelligence comunista, non furono le sue idee politiche, ma piuttosto, come si legge in un vecchio dossier delle unità di sicurezza, “la sua accentuata passione per lo sport e per le belle ragazze”.