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La miniserie televisiva diretta da Agnieszka Holland sul dramma del gennaio 1969 è senza dubbio il migliore film ceco dell’anno. Ma essendo nato per la tv, resta escluso dalla corsa agli Oscar

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(Foto: HBO, Dušan Martinček)

“Volevo raccontare la storia dietro la storia. Tutti i cechi sanno chi era Jan Palach, ma conoscono solo il simbolo”. Ecco, secondo lo sceneggiatore Štěpán Hulík, la motivazione dietro Hořící keř, una delle produzioni cinematografiche ceche più importanti ed ambiziose degli ultimi anni.

Diretto da una regista di grande spessore e dedicato alla storia vera che ha segnato profondamente la coscienza civile dell’Europa degli anni 60, il film è nato come una fiction per la Tv che racconta gli eventi seguiti al sacrificio del giovane studente della facoltà di Filosofia di Praga, immolatosi per protesta contro l’occupazione russa.

L’opera della regista polacca Agnieszka Holland, descritta come la maggiore produzione della storia della rete HBO Europe, ha praticamente dominato l’attenzione della stampa cinematografica della Repubblica Ceca nel 2013. Inizialmente, per le lodi della critica nei festival di Karlovy Vary e Toronto, poi, nelle ultime settimane, per le polemiche sulla sua mancata scelta per rappresentare la Repubblica Ceca agli Oscar, nella categoria di miglior film straniero, in favore del nuovo film di Jiří Menzel, Donšajni.

Ma merita veramente l’acclamazione? Abbiamo provato ad analizzare questo grande evento cinematografico e televisivo ceco dell’anno, e cercato di capire com’è nato l’intero progetto.

Ad idearlo è stato proprio Hulík, sceneggiatore e storico cinematografico classe ‘84, il quale sentì parlare di Palach la prima volta da bambino, nel 1990, quando le spoglie dello studente furono restituite a Praga. Stupito del fatto che nessuno avesse mai dedicato un film o una miniserie al patriota cecoslovacco, Hulík decise che era l’ora di omaggiare il ragazzo che si sacrificò per “svegliare” il suo popolo dandosi fuoco nel gennaio del 1969 in piazza San Venceslao. Visto che molti aspetti della vita del giovane studente universitario rimangono ancora oggi un mistero, il primo ostacolo da superare era decidere come affrontare il progetto. Così, focalizzandosi sul periodo successivo, quando i postumi dell’invasione e il sacrificio di Palach erano ben visibili, ha deciso di raccontare come il regime avesse cercato di sminuire l’importanza del gesto, descrivendolo come un errore o come un’azione inconsulta di una mente insana. Al centro dell’attenzione non c’è Palach, ma la storia della giovane avvocato Dagmar Burešová, contattata dalla madre di Jan per difendere l’onore del figlio deceduto, che finì per diventare il primo Ministro di Giustizia dopo la Rivoluzione di Velluto.

Oltre alla brava, bellissima attrice slovacca Tatiana Pauhofová, che veste i panni dell’eroina Burešová, la produzione può anche vantare la partecipazione di Jaroslava Pokorná che interpreta magistralmente la madre di Palach, Libuše Palachová. A seguire altri nomi noti come Jan Budař, Ivan Trojan e Martin Huba nel ruolo di Vilém Nový, il politico accusato di diffamazione da parte della Burešová. Il famoso discorso di Nový su Palach in cui cerca di infangare la sua memoria, costituisce una parte importante della trama.

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(Foto: HBO, Dušan Martinček)

Nonostante un cast eccellente, l’elemento fondamentale della troupe e dell’intera produzione, il vero asso nella manica è stata la scelta dietro la cinepresa. Oltre ad essere una regista rispettata a livello internazionale, Agnieszka Holland conosce bene gli eventi raccontati nella trama, essendo stata una studentessa della Famu (l’accademia praghese del cinema) durante la Primavera di Praga, passando addirittura sei settimane in carcere per il suo sostegno alle riforme del governo e per aver distribuito materiali illeciti. Curiosamente, pur essendo polacca, la Holland ha sempre sostenuto di esser stata influenzata dal cinema ceco, in particolare da Miloš Forman, Ivan Passer, e Věra Chytilová. Avendo poi un marito slovacco, è molto stretto il suo legame con la ex Cecoslovacchia. La sua opera cinematografica più famosa resta “Europa Europa” (1991), pellicola ambientata nella Germania nazista, che vinse il Golden Globe per miglior film straniero. Oltre alla sua storia personale in Repubblica Ceca, e la sua lunga filmografia, è stato anche il suo lavoro televisivo “The Wire”, frequentemente votato la migliore serie televisiva americana di sempre, a convincere i produttori di Hořící keř che era la persona giusta per comandare e catturare l’atmosfera della Cecoslovacchia del periodo. “È stato un Paese molto triste, non c’era nemmeno la speranza che sarebbero potuti arrivare dei cambiamenti” dice la regista in riferimento a quegli anni, ricostruiti minuziosamente grazie anche alla splendida fotografia.

Dalle prime proiezioni a Praga già a gennaio fino a quelle in vari festival di alto livello, come Karlovy Vary, Toronto e Roma Fiction Fest, l’opera è stata un successo travolgente, con un premio per Ivan Trojan al Festival della Televisione di Monte Carlo, dove ha vinto come miglior attore. Pur essendo sostanzialmente una produzione televisiva, era ben evidente che nessun altro film ceco avrebbe potuto competere con l’opera della Holland, e quindi non stupisce il fatto che Hořící keř fosse stato scelto inizialmente dalla Accademia cinematografica nazionale per rappresentare la Repubblica Ceca agli Oscar. Sembrava quasi una certezza fino alla prima settimana di ottobre quando l’Academy americana ha squalificato il film sulla base del fatto che era stato trasmesso sui canali europei di HBO prima di arrivare al cinema. La delusione tra i critici del Paese presto è diventata aperta ostilità, visto che per sostituirlo, l’accademia ceca ha scelto Donšajni, la nuova pellicola di Jiří Menzel, nonostante le recensioni negative. “Vergogna” e “ridicolo” sono state fra le parole più utilizzate dai giornali in riferimento alla decisione. Si è scritto che un numero significativo dei membri dell’accademia non ha nemmeno visto il film di Menzel, scelto solo perché ritenevano fosse impossibile che il regista praghese dirigesse un film brutto. Altri giornalisti, invece di lamentarsi della scelta, hanno sottolineato che se il miglior film ceco dell’anno è un’opera televisiva, questo riflette il povero stato del cinema ceco di oggi.

Comunque, chi crede che una produzione realizzata per la televisione debba essere di qualità inferiore si sbaglia. Holland e Hulík hanno scelto il formato solo per dedicare il tempo necessario agli episodi, raccontandone meglio il contesto, senza tralasciare i piccoli dettagli che contribuiscono a ricreare l’ambiente sociale dell’epoca. È proprio questo che rende Hořící keř una produzione di alto livello, in cui la regista usa tutta la sua esperienza personale per creare un’opera profonda ed importante, con momenti anche di grande intensità emotiva, riuscendo al tempo stesso a non banalizzare la storia. Invece di realizzare l’ennesimo film storico che raffigura l’atto di un eroe nazionale, la Holland preferisce concentrarsi sul riflesso dei cittadini dell’epoca, sulle loro reazioni. Palach è presente solo nella prima scena della miniserie, ed il suo volto non appare mai per intero. Scopriamo chi è solo attraverso gli altri personaggi, anche tramite i suoi detrattori, come un genitore di un ragazzo della stessa età di Jan che dice “E se mio figlio s’ispirasse a lui e seguisse il suo esempio?”. La regista polacca ci fa vedere come l’atto provocò emozioni fortissime nella società ceca, non solo positive e di ammirazione ma anche dubbi e angoscia sul futuro. “Dobbiamo credere che quel gesto sia stato significativo”, dice la madre di Palach all’avvocato Burešová. Con le ultime scene della commemorazione nel gennaio 1989, al ventesimo anniversario, e l’inizio di importanti manifestazioni che portarono al crollo del regime, la regista sottolinea che quel sacrificio non fu vano. Il film è anche dedicato a Jan Zajíc, Evžen Plocek e al polacco Ryszard Siwiec, che si immolarono per la stessa causa.

di Lawrence Formisano