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150 anni fa il conflitto tra Austria e Prussia, combattuto non lontano da Praga, che sancì la nascita della Germania moderna (e aiutò l’Italia). Hradec Králové fu testimone della battaglia più importante della guerra, del battesimo del mito di Otto von Bismarck e della nascita della potenza tedesca così come la conosciamo

La cittadina ceca di Hradec Králové si raggiunge da Praga in un’ora e mezza di treno, viaggiando verso est e cambiando convoglio a Pardubice. Appena usciti dalla stazione ferroviaria si è accolti da un enorme hotel d’architettura socialista, il cui recente restauro poco toglie al senso di disagio di quel ruvido pannello grigio piazzato in bella vista. Due passi e poi voltandosi, si scopre che anche la stazione è un geometrico pezzo di modernariato socialista, per quanto più ricercato, quasi interessante. Il centro cittadino è invece adagiato su un colle, circondato dal verde, e affascinante come molte cittadine ceche di origine medievale; se la lunga piazza principale non fosse adibita a parcheggio, si pensa, la vista sarebbe ancora più piacevole. Sulla piazza c’è un museo cittadino a tre piani, custodito da anziane signore dagli occhi malinconici. Sotto la collina si incontrano i fiumi Elba ed Orlice. Qui sono nati e si producono i celebri pianoforti Petrof, qui nei mesi estivi le strade si riempiono di attori e artisti per un noto festival teatrale, e di giovani al seguito di un festival rock. Ma lo scorso luglio, nella piazza di Hradec Králové, al posto delle auto parcheggiate, hanno sfilato i soldati prussiani; al brusìo del traffico si è sostituito il tamburo dei fanti sassoni; nel silenzio meridiano è detonata roboante l’artiglieria asburgica. Le anziane signore del museo hanno spiato di soppiatto i riflessi delle sciabole, i grandi baffi impomatati, gli stendardi nobiliari. Sono stati giorni in cui Hradec Králové ha abbandonato il proprio nome per recuperarne uno antico, dall’ambiguo gusto straniero: Königgrätz. Un viaggio nel tempo di 150 anni, una storia che intreccia luoghi lontani; e da lontano parte il racconto.

Al principio dell’anno 1866 l’unità d’Italia, potremmo dire, era sulla buona strada. Il neonato Regno aveva sotto di sé gran parte della penisola, rimaneva solo la spigolosa “questione romana” e il nord-est occupato dagli austriaci. Gli indigesti, ingombranti austriaci.

Tale “ingombrante” presenza era percepita anche molto più a nord, nella Prussia del vulcanico Otto von Bismarck, da poco divenuto cancelliere di Re Guglielmo I. L’Austria dominava politicamente sul mosaico degli stati tedeschi, stati che Bismarck si proponeva di unificare, proprio sull’esempio di quanto fatto da Torino. Già da qualche mese (per l’esattezza dal luglio 1865), Bismarck aveva chiesto all’ambasciatore a Firenze (all’epoca capitale del Regno d’Italia), di valutare la possibile reazione italiana ad un attacco prussiano all’Austria. La Marmora, a capo del governo, si dichiarò in un primo momento neutrale, salvo poi farsi più deciso quando ricevette il sostegno di Napoleone III. In breve, l’8 aprile 1866 veniva firmata l’alleanza italo-prussiana.

Il pretesto per muovere guerra all’Austria arrivò poco dopo, con la crisi politica dello Schleswig-Holstein, territorio alla base della penisola danese. Lo scontro sulla sua amministrazione fu talmente ben orchestrato da portare la Prussia ad invadere la Sassonia, puntando a sud verso i territori austriaci. In poche parole, la guerra era pronta, il 15 giugno 1866. Il 20 arrivò anche la dichiarazione di guerra all’Austria da parte dell’Italia – ma di questo conflitto sul fronte meridionale parleremo un’altra volta. Basti dire che l’Italia dal punto di vista militare lo perse, lo perse tanto via mare (a Lissa, l’attuale isola croata di Vis) quanto via terra (a Custoza), con il solo (ed il solito) Giuseppe Garibaldi a riportare modeste vittorie sulla via di Trento. Al contrario è il fronte settentrionale che diventa protagonista di questa storia, quei territori slavi stretti tra le popolazioni di lingua tedesca e che non poterono far altro che ospitare lo scontro. I prussiani seguirono l’Elba e dopo aver sbaragliato il piccolo esercito della Sassonia entrarono nelle terre boeme, riportando le prime vittorie militari ed arrivando a Jičín a fine giugno, spingendo gli austriaci verso sud. Il 2 luglio, venne riportato al comando prussiano di Helmuth von Moltke, la presenza dell’armata nemica a Sadowa (oggi in ceco Sadová), un villaggio una dozzina di chilometri a nord di Königgrätz (oggi Hradec Králové). Von Moltke decise di fiondarsi sui nemici il giorno successivo, prima che questi potessero attraversare l’Elba. Fu una scelta decisiva, e vincente. Il comandante austriaco Ludwig von Benedek sapeva di essere in trappola, ma l’imperatore Francesco Giuseppe rifiutò la sua proposta di ritirata strategica. Tra i meriti prussiani, anche un’astuzia tecnica: la scommessa di utilizzare i nuovi fucili detti “a retrocarica”, che i soldati usavano chinati o sul terreno, contro gli antichi fucili austriaci “ad avancarica”, che richiedevano al soldato di star in piedi per preparare il nuovo colpo. Nonostante gli enormi numeri in campo, con 220 mila prussiani contro 185 mila austriaci, il conto delle vittime fu abbastanza contenuto: 5.800 morti da parte austriaca contro 1.900 tedeschi; questi, e 22mila prigionieri strappati alla casata asburgica, sancirono la decisiva vittoria di von Moltke e di Bismarck. La guerra austro-prussiana, la guerra germanica, la guerra delle sette settimane o infine, Bruderkrieg, la guerra dei fratelli – i tanti nomi di questo conflitto – coprì di sangue le terre boeme e qui trovò la propria fine.

Così lo spazio tra il villaggio di Sadová e Hradec Králové fu testimone della battaglia più importante della guerra, del battesimo del mito di Otto von Bismarck e della nascita della potenza tedesca così come la conosciamo. Il “miracolo di Königgrätz” riecheggiò sulla stampa tedesca, tanto che gli storici successivi, come Benedetto Croce, segnarono l’evento come il momento in cui i liberali persero, in Germania, a favore della volontà di potenza. Per commentatori più catastrofisti, il successo di Königgrätz sarebbe alla base delle grandi disfatte tedesche delle grandi guerre a venire. Certo è che la Königgrätzer Marsch, marcia composta da Johann Gottfried Piefke all’indomani della vittoria, divenne uno degli inni militari più celebri della Germania – si dice, la preferita di Adolf Hitler. Tanto che Steven Spielberg la scelse come sottofondo alla celebre scena del rogo dei libri sotto gli occhi del Führer, nel cult “Indiana Jones e l’ultima crociata”.

Torniamo all’estate 1866, all’euforia del popolo tedesco e alla vergogna dell’Impero sconfitto. La placida campagna ceca, scossa dall’improvviso conflitto, non poté che fare da sfondo, oltre che alla guerra, anche alla pace. Così Otto von Bismarck ed i plenipotenziari inviati dagli Asburgo Adolph von Brenner Felsach ed Alois Károlyi, si incontrarono nel castello di Mikulov, tra i vigneti moravi, per decidere le condizioni della tregua: l’armistizio di Nikolsburg (Mikulov in tedesco) fu firmato il 26 luglio. L’Austria riconosceva l’influenza prussiana sugli stati tedeschi settentrionali e concedeva il Veneto all’Italia, in quanto alleata della Prussia. Il governo italiano tentò di strappare anche Trento e Bolzano agli accordi, ma Bismarck oppose un netto rifiuto: non esageriamo. A Garibaldi non restò altro che il celebre, laconico commento all’ordine di ritirata: “obbedisco”. Il 23 agosto, nella più regale cornice praghese, veniva firmata definitivamente la pace, mentre le truppe prussiane lasciavano la Boemia e tornavano a nord da vincitori. Curiosamente, se Bismarck avesse acconsentito alle volontà del suo sovrano, Guglielmo I, che dopo il successo di Königgrätz sognava di marciare su Vienna, le stesse terre ceche sarebbero potute passare sotto il dominio prussiano. Ma Bismarck non volle umiliare l’Impero; era un fine stratega, la storia lo conferma. Avrà avuto i suoi buoni motivi.

I 150 anni dalla Bruderkrieg sono stati accolti da celebrazioni, mostre ed eventi vari. Momento principe, la grande reinterpretazione della battaglia di Sadowa, il 3 luglio. Diverse esibizioni sull’anniversario, nel museo della Boemia Orientale di Hradec Králové, rimarranno aperte sino alla fine del 2016, mentre più a sud anche Mikulov ricorda la sua partecipazione – con una esibizione nella piccola sala del suo castello, lì dove i potenti di turno firmarono l’armistizio. Tre sedie disposte intorno al tavolo che riporta, come fossero invitati a cena, i nomi di Bismarck, von Brenner Felsach e Károlyi su cartoncini ripiegati. Ricordi cechi, da testimoni oculari più che protagonisti, di una storia che ha cambiato l’Europa, e a cui l’Italia guarda con affetto.

di Giuseppe Picheca