Dopo anni di tentativi andati a vuoto, la Repubblica Ceca cerca di inasprire la legislazione anti-tabacco. Per compiere davvero un salto verso l’Europa
Se ne è ritornato a parlare a luglio. Di nuovo. Questa volta però sembrano esserci tutte le premesse affinché la proposta vada in porto. Entro la fine dell’anno, il ministro della Salute, il socialdemocratico Svatopluk Němeček, presenterà un progetto di legge che introdurrà, a partire dal 1° gennaio 2016, il divieto di fumo nei ristoranti e in tutti i locali pubblici della Repubblica Ceca. Almeno così sembra.
Nonostante l’appoggio ricevuto dai deputati di Ano, una delle forze politiche sostenitrici dell’attuale governo, non è detto che la proposta veda la luce. In passato, infatti, numerosi tentativi di introdurre divieti del genere si sono risolti nel nulla. “Spero proprio venga approvata” confessa Giulia, italiana di 26 anni, non fumatrice, da poco trasferitasi a Praga. “Sono appena uscita da quel pub – dice indicando il Bukowski, noto locale del quartiere Žižkov – non si poteva respirare, non c’era una sala fumatori, e tutti avevano una sigaretta tra le dita”.
Solo poco più di un anno fa, era il febbraio 2013, Martin Plíšek, allora viceministro della Sanità in carica al partito conservatore di Top 09, dichiarava che il divieto di fumo nei ristoranti sarebbe entrato in vigore il primo gennaio del 2014, cioè quest’anno. Ancor prima, nel 2012, il suo collega di partito, il ministro della Sanità Leoš Heger, si dimostrava favorevole a introdurre un tale divieto. Salvo poi scontrarsi con diverse resistenze, tra cui le vive proteste della Ahr, l’associazione dei ristoratori e degli albergatori cechi, che hanno fatto naufragare qualsiasi progetto riformatore. Con il risultato di mantenere in vigore la norma approvata nel 2009. E creare anche qualche malumore. “Il problema si verifica soprattutto in inverno – mi racconta il cameriere di un noto ristorante di Praga 6 – quando non possiamo disporre dei tavoli esterni. Fumatori e non sono costretti a stare nella stessa stanza. È capitato spesso che i clienti si lamentassero del fumo”.
Considerata troppo blanda, e per questo oggetto di critiche già al momento dell’approvazione, la cosiddetta “legge anti-fumo” prescrive un solo obbligo in capo ai ristoratori: indicare con un apposito adesivo all’ingresso se nel locale si può fumare. Ben altri standard rispetto a quelli a cui sono abituati i cittadini italiani e quelli irlandesi, tanto per fare due esempi, e in generale la maggioranza degli abitanti dell’Unione Europea.
Il gap è certificato dallo Smoke free partnership, organismo indipendente dall’obiettivo preciso. Vale a dire, “l’effettiva implementazione della convenzione quadro per la lotta al tabagismo”. Approvata dall’Organizzazione mondiale della sanità, questa convenzione, tra le altre cose, incoraggia gli Stati a introdurre misure che limitano il fumo nei luoghi pubblici. Nonostante la Repubblica Ceca avesse preso parte all’assemblea licenziatrice del testo nel 2003, la ratifica – con la conseguente entrata in vigore – è arrivata solo nel 2012, ultima fra tutti i Paesi della UE.
“Sono favorevole a eliminare il fumo dai ristoranti” esclama sicuro David, 24 anni, originario di Brno, che però aggiunge repentino: “Ma non dai pub. Quando esco con gli amici, mi piace bere una birra accompagnata da una bella sigaretta. Anche qualcuna in più”. David però sembra essere in minoranza all’interno del Paese. Un sondaggio condotto nel 2013 dall’agenzia di notizie ceca ha rivelato che i tre quarti dei cechi con più di 18 anni gradirebbero che il fumo fosse vietato dai pub.
Lo Smoke free partnership giudica la legislazione ceca anti-fumo tra le più permissive dell’Europa a 27 (l’ultimo aggiornamento risale a prima dell’ingresso della Croazia), definendola senza tanti giri di parole “debole” e “inapplicata” (“weak” e “unenforced” si legge nel testo originale). Praga si aggiudica la maglia nera insieme con Vienna e Bucarest. Ma alcuni paesi come la Grecia, che ha introdotto un divieto di fumo totale – nei luoghi di lavoro, sui mezzi di trasporto e nei bar e ristoranti – spesso hanno il problema di non vedere applicato quanto previsto dalle leggi nazionali.
Nella vicina Slovacchia, invece, la legge stabilisce che un ristorante, pub o struttura simile può permettere di fumare all’interno dei propri locali solo se ha una stanza separata per i fumatori, divisa dal resto della struttura da un solido muro. Tuttavia, come spiega la giornalista di The Slovak Spectator Michaela Terenzani, “per evitare complicazioni e ricostruzioni, molti proprietari hanno optato interamente per il divieto di fumo”. Inoltre fumare, aggiunge la giornalista, “è completamente vietato negli uffici pubblici, teatri, cinema, negozi, musei e strutture sanitarie”. E la Smoke free partnership la pone in una posizione di classifica migliore rispetto al vicino ceco.
Sulle mancate riforme di Praga in questo segmento legislativo, secondo l’ingegnere Markéta Lőrinczy del dipartimento di management dell’Università di Mendel a Brno, molto pesa la “forte parola” avuta dalle compagnie transnazionali del tabacco. Dopo aver definito “debole” (anch’ella) la legislazione ceca, attribuendo la colpa di ciò a “lobby potenti”, afferma che tra gli obiettivi delle compagnie entrate nel mercato ceco all’indomani della caduta del regime comunista vi era “ritardare l’introduzione delle direttive europee” perché ciò “li avrebbe aiutati a generare profitti più alti”.
Secondo uno studio condotto da scienziati britannici, piccoli Paesi come la Repubblica Ceca sono particolarmente esposti all’influenza della lobby del tabacco. “Negli Stati Uniti – spiega Helen Ross, direttore esecutivo dell’American Cancer Society e uno degli autori dello studio – abbiamo scoperto una strategia ben congegnata che l’industria del tabacco ha dispiegato per molti anni proprio per puntare a quegli Stati più piccoli. Ottenere influenza qui è più facile e, quando arriva il momento di una votazione in ambito europeo, hanno lo stesso peso dei grandi Stati”, in virtù del potere di veto conferito loro dalle regole comunitarie. E in riferimento ai politici cechi, o comunque a una parte più o meno consistente di essi, la scienziata aggiunge: “Parlano esattamente nel modo che si dimostra esser conveniente ai produttori di tabacco”.
(Il presidente Miloš Zeman – Foto: Pavel Ševela / Wikimedia Commons)
Il presidente della Repubblica Miloš Zeman potrebbe rientrare in questo gruppo. Lo scorso anno, durante una visita allo stabilimento della Philip Morris a Kutná Hora, una sessantina di chilometri a est di Praga, sollevò obiezioni alla campagna anti-fumo dell’UE. Regolare il consumo di tabacco – il suo pensiero – avrebbe l’unico effetto di incrementare i traffici alle frontiere. Fumatore incallito, Zeman avrebbe poi detto agli operai dello stabilimento, il più grande della Repubblica Ceca con circa 1200 persone impiegate: “Ho iniziato a fumare quando avevo 27 anni, quando il mio corpo si era pienamente sviluppato e il fumo non poteva più danneggiarlo. Per cui, permettetemi di raccomandare ai vostri figli di fare lo stesso: aspettate fino ai 27 e poi fumate senza alcun rischio”. Quasi uno spot pro fumo, in uno dei principali stabilimenti della Philip Morris in Europa, recentemente ingrandito in virtù di un investimento di 300 milioni di corone e che a marzo ha fatto registrare entrate per 2.798 milioni di corone (in aumento dello 0,4% rispetto al 2013).
Senza dimenticare le affermazioni che Zeman rilasciò una decina di anni prima, quando era primo ministro: “Fumando contribuisco alla stabilità finanziaria del Paese. Comprando sigarette incremento le entrate statali, e morirò di cancro ai polmoni così lo Stato non dovrà pagarmi la pensione”.
In realtà, recenti statistiche hanno evidenziato come la Repubblica Ceca spenda ogni anno circa 80 miliardi di corone per curare malattie generate dal fumo, incassandone solo 50 tra accise e Iva applicata ai prodotti del tabacco. I fumatori sono 2,3 milioni di persone, un quarto circa della popolazione. Molti i minorenni. Nove cittadini su dieci inizia a fumare prima di aver compiuto la maggiore età; 10-12 anni è l’età media in cui si accende la prima sigaretta. In Italia, invece, il numero dei fumatori, sebbene diminuisca dello 0,2% anno dopo anno, resta comunque superiore ai 10 milioni, oltre un quinto della popolazione sopra i 15 anni. In media si inizia intorno ai 17 anni.
di Christian Gargiulo