FacebookTwitterLinkedIn

Gli splendori del Barocco ceco, stile imposto con la forza alle domate Terre boeme ma presto assorbito e ormai inscindibile dall’immaginario nazionale

Un invito a vivere il Barocco con tutti i sensi. Quello della Repubblica Ceca, per un 2017 alla riscoperta della straordinaria stagione culturale tra XVII e XVIII secolo, non è stato certo un invito consueto né routinario. Non a torto quindi l’Ente Nazionale Ceco per il Turismo ha ideato non «un semplice slogan, ma un invito irresistibile».

E così è stato, immaginifico e intrigante, almeno per gli amanti della cultura e delle arti, sempre pronti a fare la valigia per rinnovare l’emozione di vivere un’esperienza estetica.

Facciata dell’ala occidentale del Klementinum di Praga, disegnata dall’architetto Carlo Lugano tra gli anni ‘50 e ‘60 del XVII secolo / Facade of the western wing of Prague’s Klementinum, designed by architect Carlo Lugano between the fifties and sixties of the seventeenth centuryIl Barocco boemo, poi, con le sue cattedrali dagli estatici verticalismi, «esche di una ‘rêverie’ inesauribile», ed i robusti atlanti complici di una immobile «fuga continuata di superbi palagi» evoca – già nelle parole di Ripellino – un irresistibile sogno, capace di coinvolgere tutti i sensi a trecentosessanta gradi. In fondo, quale altra stagione delle arti lusingò i sensi più di quella capricciosa ed ostinata della Chiesa trionfante a valle del Concilio tridentino?

Una stagione travagliata per le terre ceche. Una stagione di sconfitta e stridenti contrasti in cui il profumo dei tripudi floreali dei maestosi giardini lungo la Vltava e gli eserciti di cherubini, diavoli, evangelisti e «santi legislatori» che vestivano le nuove imponenti facciate erano del tutto estranei alla vita del popolo boemo. E in qualità d’arte di propaganda imposta dal vincitore non poteva essere certo vista di buon occhio.

Un nuovo inizio faticoso per la cultura ceca, sopraffatta e travolta prepotentemente dalla Controriforma alla chiusura della fase boemo-palatina della Guerra dei Trent’Anni – primo atto di un pernicioso conflitto pronto a imperversare per decenni per l’Europa centro-settentrionale, dilaniandola. L’esito nefasto per le truppe della Confederazione boema della rapida ma cruciale battaglia della Montagna Bianca – combattuta l’8 novembre 1620 a Bílá Hora (oggi nel distretto di Praga 6) contro la Liga Catholica e le forze dell’Imperatore Ferdinando II – segna per secoli il destino della Boemia. L’annessione ai domini ereditari degli Asburgo delle terre ceche in forza di quella sconfitta si traduce infatti in una dura repressione dell’orgoglio di un popolo e nella sua immediata perdita della libertà di culto, soffocando per tempo immemore la sua lotta per l’indipendenza.

Un forte attrito iniziale accompagna così l’affacciarsi del Barocco in Boemia. È infatti in quest’atmosfera di controllo e oppressione seguita alla sconfitta che tra esili, confische e demolizioni i vinti vedono sorgere ed imporsi nelle loro città le nuove magnificenti architetture. Chiese, collegi, santuari e palazzi dalle sembianze turbinanti ed aliene, si moltiplicano arroganti quasi a voler schernire i vinti con i loro fasti. I racconti dei vinti delle schiaccianti sostituzioni urbane non mancano di enumerare con una vena rancorosa quanto distrutto per fare posto alle fabbriche impettite dei vincitori, severe nell’imporsi e sfacciate nella teatralità dei loro effetti. Interi quartieri con case, chiese, orti ed officine sono spazzati via su entrambe le rive della Vltava per far posto – in quello che oggi è il cuore di Praga – a edifici tanto costumati e devoti quanto imponenti e propagandistici. Ma il Barocco è così, nel vorticare retorico dei suoi apparati decorativi convoglia impetuoso trionfo e ammonimento, tormento e gloria. Sovente, nelle mani dell’artista il pio soggetto religioso si tramuta in un pretesto per esercitare virtuosismo di persuasione nei linguaggi e nelle forme.

Nonostante il greve esordio connotato da asfissianti accadimenti dei quali si è macchiato, lo spettacolo del Barocco entra gradualmente nella cultura ceca. Liberatosi dal volto avverso ed alieno, vi si «amàlgama» a tal punto da restituire alla Boemia «il suo estro, come nei giorni del Gotico» con il quale intratterrà un rapporto unico, costellando l’intera regione di mirabili esempi e regalando a Praga un degno interlocutore per le sue antiche costruzioni.

Sebbene l’anno celebrativo sia volto al suo termine, quello dell’Ente Nazionale Ceco per il Turismo si rivela un invito sempre valido che mette in mostra scuola e orgoglio italiani nel Barocco boemo e conferma la Repubblica Ceca quale destinazione imperdibile per un turismo storico e culturale. Non solo Praga, quindi. E non solo architettura, pittura e scultura, ovviamente, ma anche musica, teatro, paesaggio, arti ‘minori’ ed artigianato d’eccellenza, per poter entusiasmare anche i sensi meno prepotenti della vista. L’offerta è molto vasta. Il Baroque Arts Festival che dal 2008 si tiene ogni settembre sul palco del teatro barocco del castello di Český Krumlov, solo per citare il più rinomato, regala una nuova première ad un’opera teatrale barocca perduta e ritrovata ad ogni edizione, riportandola in scena.

L’architettura con l’aiuto della scultura sembra però farla da padrona in questo frangente, animando e colorando le proprie popolose decorazioni di facciata con il variare delle ombre e il passare delle stagioni. Basti pensare ai gruppi scultorei del Ponte Carlo – molti dei quali settecentesche opere di Ferdinand Brokoff o di Matthias Braun – prender vita emergendo dalla bruma mattutina o spolverate di neve osservare pazienti il sorriso dei turisti attraverso le loro severe espressioni.

Se si esclude la Porta di Mattia – prima opera barocca a Praga – costruita da Giovanni Maria Filippi sulla facciata del Castello nel 1614, ovvero prima dei fatti poc’anzi narrati, la lista degli architetti barocchi che lavorarono in Boemia con l’ingresso della Controriforma è davvero nutrita.

Tra i più noti figurano certamente Lurago, autore della facciata del complesso gesuitico del Klementinum e dell’annessa chiesa del Salvatore, ma anche Kaňka, Pieroni, Lucchese e persino il grande Fischer von Erlach. Sono opera sua sia il disegno per la grandiosa residenza Clam-Gallas nel cuore della città vecchia – poi realizzata da Domenico Canevale – i cui balconi sono retti dai possenti atlanti di Braun, che l’ampliamento dell’antico e affascinante castello di Vranov nad Dyjí nella Moravia meridionale, al confine con l’Austria. Più tardo sarà invece il lavoro di Nicolò Pacassi che interviene in forme barocche sulla facciata del Castello di Praga e sull’adiacente Palazzo dell’Arcivescovado già in epoca Rococò.

Tuttavia, i veri protagonisti di questa rinascita del genio boemo nell’interpretazione del Barocco sono gli architetti Kilián Ignác Dientzenhofer e Jan Blažej Santini-Aichel, entrambi nati a Praga e con lo sguardo rivolto ai Maestri italiani del barocco, ma di chiare origini tedesche il primo ed italiane il secondo.

Dientzenhofer guarda all’opera di Guarini nell’inseguire con misurata eleganza il moto della massa plastica delle sue architetture religiose. Questo emerge non solo dalle imponenti e celeberrime chiese di Praga dedicate a Svatý Mikuláš (San Nicola, una a Malá Strana e l’altra a Staré Město), ma soprattutto da chiese come quella dedicata a Svatý Jan Nepomucký (San Giovanni Nepomuceno) a Skalka – sempre a Praga, vicino a Karlovo náměstí – o quella dedicata alla Svatá Máří Magdaléna (Santa Maria Maddalena) a Karlovy Vary. Tra chiese dinamiche, immensi palazzi e conventi non mancano piccole perle come la cappella della Panna Maria Sněžná (la Madonna della Neve): un minuscolo edificio di culto isolato su di una dorsale rocciosa detta Broumovské stěny, il cui accesso è affidato ad un ponticello in pietra e la cui pianta è esternamente a forma di stella e circolare internamente.

Santini-Aichel guarda invece direttamente a Borromini, come si evince immediatamente dalla complessità dei suoi impianti planimetrici dallo stratificato simbolismo. Tuttavia, ciò che rende davvero unica la produzione di Santini-Aichel è la straordinaria fusione del Barocco borrominiano con il Gotico, dando vita al fenomeno tutto boemo del Barocco-Gotico nel quale i due stili si fondono come un «Oggi che cerchi con ansia il suo Ieri». Ecco allora gli stratagemmi à la Borromini farsi tutt’uno con arditi verticalismi, pinnacoli e nervature incurvarsi, diventando guizzanti «trappole per la luce».

Il suo complesso cistercense dedicato al patrono ceco San Giovanni Nepomuceno a Zelená hora circondata dal cimitero a Žďár nad Sázavou – sito Unesco dal 1994 – ne è l’esempio certamente più celebre, sebbene la chiesa del Nanebevzetí Panny Marie presso il Kladrubský klášter sia in qualche misura forse un esempio ancor più riuscito con l’imponente guglia sormontata da una corona.

Certamente, a valle dei duri eventi che hanno segnato l’ingresso del Barocco in Boemia, il suo trionfo nella regione e soprattutto la sua commistione con un altro stile così centrale per la storia di questa terra – crocevia di idee e tradizioni – assume il valore di risarcimento e riaccende la scintilla creativa del popolo ceco, regalandoci rari gioielli architettonici che non smettono di destare meraviglia.

di Alessandro Canevari