Il leader socialista all’inizio del 1989 promosse una petizione internazionale a favore della scarcerazione di colui che, pochi mesi dopo, sarebbe diventato l’eroe della Rivoluzione di velluto
Dopo la repressione della Primavera di Praga molti furono epurati dalle strutture del potere comunista cecoslovacco: non solo Alexander Dubček, ma anche Jiří Pelikán, ex direttore della tv di Stato, contestatore dell’interventismo sovietico. Già, il più giovane deputato all’Assemblea Nazionale (1964-1969), stalinista convinto e comunista per tutta la vita, fu costretto all’espatrio in Italia, visto che Leonid Brežnev, regista della repressione praghese, considerava la tv cecoslovacca un centro della controrivoluzione. Dissidente tormentato, dopo l’invasione sovietica arrivò a Roma, inizialmente come addetto culturale dell’Ambasciata cecoslovacca. Successivamente, all’inizio della cosiddetta normalizzazione in Cecoslovacchia, essendosi rifiutato di tornare in patria, rimase in Italia da esule, senza dimora, documenti, cittadinanza, braccato dalla Stb. Non passò mesi facili, come ricordò in seguito sua moglie, l’attrice Jitka Frantová.
Sostenuto dal gruppo che diede vita al manifesto nonché da Livio Labor e Carlo Ripa di Meana, Pelikán entrò in contatto con Bettino Craxi. Con quest’ultimo Pelikán in realtà si conosceva già dal tempo di un soggiorno a Praga di Craxi negli anni Cinquanta.
Il leader socialista mostrò interesse nei confronti dei dissidenti d’oltrecortina anche all’apice della notorietà internazionale in veste di Presidente del Consiglio. Craxi si contraddistinse per portare avanti l’interesse e l’attenzione nei confronti del Secondo e Terzo Mondo, promuovendo il dialogo con alcuni paesi dell’universo para-sovietico, rafforzando i rapporti con stati quali Brasile, Perù e Cile.
Il rapporto con Pelikán contribuì a solidificare l’interesse nei confronti dell’internazionalismo socialista e dei moti di dissidenza da parte di Craxi; il tutto alla luce dell’intenzione del suo Psi di smarcarsi dal Pci e instradare il partito del garofano rosso verso una chiara autonomia programmatica. Fu così che Craxi candidò Pelikán in Europarlamento (1979 e 1984) e fu grazie a lui – come ricordato Miloš Zeman in un convegno organizzato dall’Istituto Italiano di Cultura a Praga nel 2015 – che il dissidente divenne la voce della Cecoslovacchia libera nell’istituzione europea. Secondo Stefania Craxi (Critica Sociale, dicembre 2008) il rapporto tra il padre e Pelikán fu importante nella scelta del Psi verso una politica più inclusiva dei paesi dell’Europa Centrale.
Il rapporto tra Craxi e il mondo della dissidenza mitteleuropea fu ancora più significativo quando Václav Havel – che a differenza di Pelikán e Dubček non era mai stato comunista – venne condannato a nove mesi di carcere per aver partecipato ad una manifestazione in memoria di Jan Palach nel gennaio 1989. Per l’occasione, in una conferenza stampa in marzo, Craxi stupì tutti proponendo la creazione di un comitato internazionale per la liberazione del drammaturgo; l’intuizione di promuovere una petizione a favore del futuro presidente federale fu l’occasione per gettare ulteriore discredito nei confronti del Socialismo reale.
La proposta del forum di Craxi era un’operazione inedita nella politica italiana, che nel complesso si mostrò sempre indifferente rispetto al microcosmo dei dissidenti dell’Europa centrorientale. D’altra parte, François Mitterrand si era recato a Praga nel 1988 a dare una sorta di benedizione al movimento dei dissidenti, cosa che stimolò ulteriormente Craxi a ritagliarsi maggiore spazio politico in tal senso. E in questo fu puntuale, dal momento Havel venne liberato nell’autunno 1989, giusto in tempo per gustarsi da uomo libero lo sbriciolamento del regime comunista che dagli anni Cinquanta aveva perseguitato, represso e spiato lui e la sua famiglia.
“Lui ha rotto il rapporto di sempre tra potere e cultura. Tra chi può e non sa, e tra chi sa e non può, lui sa e fa”, disse – secondo quanto riferito da Ripa di Meana – lo stesso Havel a proposito di Craxi, quando il Commissario europeo per l’ambiente andò a trovarlo ai domiciliari a Praga. Accompagnato dalla moglie Marina Ripa di Meana, tramite diverse traversie il futuro Ministro all’Ambiente aveva raggiunto Havel, che durante l’incontro gli chiese a proposito di quel Bettino oltrecortina, quasi come voler instaurare una cooperazione politica transeuropea.
Con il crollo del Muro di Berlino nel 1989, Craxi s’intestò i frutti della sua relativa lungimiranza riformista: il distacco da Mosca, la stima per Dubček e l’ospitalità riservata a Pelikán in Italia ne erano una chiara dimostrazione. Stremata dalla Dottrina Reagan e dalle sue contraddizioni interne, nel primo terzo del novembre 1989 l’Urss era in coma: e sebbene Gustáv Husák fosse appiattito sul culto di Mosca, il dissenso nei paesi del Patto di Varsavia aveva alzato la voce, nonché la traiettoria delle richieste di più libertà.
Dopo la Rivoluzione di Velluto del 17 novembre, un mese dopo, Craxi stesso volò a Praga e incontrò Dubček, appena rientrato in Boemia dalla Slovacchia. L’ex leader della Primavera aveva avuto in precedenza diversi rapporti con l’Italia: il più recente lo aveva visto ritirare una laurea honoris causa all’Università di Bologna nel 1988.
Nel viaggio praghese, Craxi – seguito da Paolo Franchi del Corriere della Sera e Beppe Severgnini de il Giornale – era accompagnato proprio da Pelikán che, come Dubček volentieri, tornò sotto i riflettori della vita pubblica attiva in Cecoslovacchia. Le fotografie dell’epoca ritraggono Craxi e Pelikán avvolti in grossi cappottoni sul Ponte Carlo e nei tram cittadini. Alla base della statua di San Venceslao, nell’omonima Piazza, come riportato da Massimo Pini (Craxi. Una vita, un’era politica) su un manifesto Craxi scrisse: “I socialisti italiani esultano per la rinascita della libertà anche a Praga”.
Dopo l’incontro con Dubček, l’agenda del capo Psi prevedeva, finalmente, l’incontro con il numero uno del Forum Civico (OF) all’InterContinental sulla Moldava, poi con entrambi nel corso di un ricevimento all’Ambasciata d’Italia. Per l’occasione, Havel espresse gratitudine per l’impegno internazionale di Craxi, assunto nove mesi prima.
Pelikan seguì tutti gli incontri del leader socialista, tra cui quello con l’anziano cardinale František Tomášek; chissà quest’ultimo cosa avrà pensato vedendosi arrivare, al palazzo arcivescovile, l’ex stalinista Pelikán insieme a Craxi. Nella sua Ostpolitik, negli intenti d’instaurare i legami oltrecortina, Craxi si sforzò di interpretare il dissenso dell’Est: con Havel non c’erano i legami che c’erano con Pelikán, ma – come testimonia la successiva visita di Havel a Milano nello studio di Piazza Duomo –, la stima era reciproca. L’eroe della Rivoluzione di Velluto ipotizzava la creazione di un modello alternativo al Socialismo, mentre Craxi intendeva rivedere il Socialismo in ottica riformista. Curioso che i due s’incontrarono quando le rispettive parabole politiche marciavano in direzione opposta.
Alla fine degli anni Ottanta, Craxi si trovava confinato nella palude della politica nazionale dopo gli anni dei grandi incontri, da Ronald Reagan a Yasser Arafat, ma nei primi anni Novanta, altro che “Grande Riforma”. Il capo socialista era impelagato nelle piccole rivalità nel suo partito e nelle sterili trattative di un Caf (Craxi-Andreotti-Forlani) crepuscolare. Già afflitto da problemi di salute sembra che Craxi non capì come, caduto il Muro, si esauriva gran parte della missione storica della diga anticomunista; l’inchiesta di Mani Pulite avrebbe poi certificato il capolinea di un’intera classe politica.
Quanto a Havel, questi nel dicembre 1989 invece era in piena ascesa politica: mai e poi mai si sarebbe aspettato di diventare nel giro di un paio di settimane Presidente della Repubblica. Da anni aveva rispolverato il concetto di “rivoluzione dei cuori e delle menti” di Tomáš Masaryk; il suo OF venne costituito dagli studenti e dai dissidenti che dai teatri sotterranei di Praga emersero in Národní Třída nel novembre 1989: l’entusiasmo nelle strade praghesi all’indomani della bancarotta del Comunismo fu decisivo nell’incoronarlo come unico candidato al Castello.
Craxi, Dubček e Havel erano tre riformatori: in tre momenti storici diversi – Dubček negli anni Sessanta, Craxi negli anni Ottanta, Havel negli anni Novanta – rivoluzionarono (alcuni a parole, altri nei fatti) i rispettivi assetti politici. Attirati dal relativo modernismo e dalla socialdemocrazia, i tre personaggi erano acuti sperimentatori politici che in maniera diversa hanno pure sconvolto la sinistra dei rispettivi paesi.
La simpatia di Craxi per i dissidenti era molto sviluppata. L’internazionalismo socialista era sempre stato il pallino del leader italiano: e le buone relazioni con Pelikán, Dubček e Havel crearono un inedito ponte culturale tra Praga e Roma. Craxi aveva sincero interesse per i dissidenti cecoslovacchi; il che rappresentava sì un modo per distinguersi dal Pci, ma contemporaneamente era una missione politica per il controverso politico italiano, animato dal riformismo, sempre intento a conciliare quanto storicamente a più riprese si è rivelato inconciliabile: il socialismo e la libertà.
di Amedeo Gasparini