La Villa Winternitz a prima vista appare poco differente dagli orrendi edifici che hanno deturpato le periferie delle nostre città. Eppure c’è, come in tutte le storie un poco più complesse, un “ma”.
Strano destino quello dell’architettura moderna dei primi del Novecento… Sono gli anni di Picasso, Kandinskij e Mucha nelle arti visive, di Joyce e Kafka nella letteratura; tutti nomi che più o meno conosciamo. Abbiamo letto probabilmente qualche loro scritto, abbiamo visto sicuramente qualche loro opera e quando andiamo in una nuova città, la piccola guida tascabile che ci portiamo dietro è pronta e solerte nel segnalarci che in quel tal museo c’è quel tal quadro di quel famoso artista che tanto ci piace. Mentre – capita al turista anche a Praga – se parliamo di Adolf Loos, probabilmente uno dei più importanti architetti del Novecento, anche la ricerca in Internet, dopo aver digitato il nome Adolf inciampa in un errore di omonimia piuttosto inquietante.
Quasi sicuramente il problema è da addebitare a quanto accaduto dopo la seconda guerra mondiale. Forse è il primo caso della storia dell’arte in cui le colpe dei figli sono inesorabilmente cadute sui padri. I figli, in questo caso, sono gli edifici realizzati dagli anni ‘50 in poi, un po’ in tutto il mondo, e i cui autori, in un modo o nell’altro, dichiaravano essere gli eredi di quanto era stato realizzato dagli architetti moderni all’inizio del secolo scorso. E con questa scusa morale, i loro artefici, hanno avuto il benestare per rovinare le nostre città con obbrobri che ancora adesso malediciamo.
Questo articolo doveva in realtà avere tutt’altro inizio e avrebbe dovuto parlare di un bellissimo edificio, Villa Winternitz, progettata da un grande maestro dell’architettura quale è Adolf Loos e magnificare circa la sua ineguagliabile bellezza. Ma allo stesso tempo avremmo corso il rischio di apparire come in quel film di Alberto Sordi, nell’episodio “Vacanze intelligenti”, quando un critico alla Biennale illustra delle opere d’arte incomprensibili.
La Villa Winternitz a prima vista appare poco differente dagli orrendi edifici che hanno deturpato le periferie delle nostre città. Stesse finestre quadrate, stesse ringhiere, stesso intonaco “grezzo” senza decoro alcuno, stesso colore biancastro, stesso tetto piano e poi stessi materiali, stesse geometrie. Questo è indubbiamente vero, eppure c’è, come in tutte le storie un poco più complesse, un “ma”. Innanzitutto l’epoca. La casa venne progettata e costruita tra il 1931 e il 1933. Quando fu finita le donne, anche a Praga, vestivano come Marlene Dietrich oppure sognavano di essere Greta Garbo e il loro mito maschile era ancora indissolubilmente legato all’immagine di Rodolfo Valentino e alla sua bellezza quasi femminea. Il mondo dell’auto non conosceva nomi come Ferrari o Lamborghini – arrivate molto e molto tempo dopo – e quei pochi che potevano solo anche sognare di avere un’auto non certo potevano permettersi il capolavoro dell’epoca: la Bugatti tipo 41 “Royale”. In Italia si ascoltava “Mille lire al mese” di Gilberto Mazzi.
In questo contesto, le case dell’alta borghesia erano ancora di tipo ottocentesco: all’esterno tutte decori e balaustre e all’interno, stucchi, trompe-l’œil, tende pesanti e stufe o camini per scaldare gli ambienti. Lo stesso avveniva nella Cecoslovacchia della Prima Repubblica.
Ma ad un certo punto arriva un architetto, nato qualche anno prima nella vicina città di Brno e che intanto era diventato famoso e acclamato a Vienna, la vecchia capitale dell’Impero. Si chiamava Adolf Loos ed esordì a Praga, nel 1930, con un autentico capolavoro: la Villa Müller nel quartiere di Praga 5.
Venne poi chiamato dall’avvocato Winternitz, desideroso di farsi fare una casa alla maniera della moderna architettura. Sicuramente il committente aveva visto Villa Müller e dovette rimanerne affascinato.
La storia di Villa Winternitz è poi purtroppo abbastanza semplice, in un’epoca in cui essere di famiglia ebraica a Praga dava poche garanzie. La proprietà venne confiscata dai nazisti e ceduta alla città di Praga. Dopo la fine della guerra venne trasformata in un asilo e rimase così fino al 1997 quando venne restituita ai legittimi eredi che dopo un lungo e meticoloso restauro, durato cinque anni, hanno potuto restituire a tutti noi questo incredibile capolavoro che esprime la sua grandezza soprattutto una volta entrati all’interno. Percorrendo i suoi ambienti si percepisce immediatamente la “mano” di Loos nel suo magistrale uso del Raumplan: un nuovo concetto di distribuzione degli spazi interni, che egli inventò partendo innanzitutto da un diverso modo di progettare. Fino ad allora la progettazione avveniva per gradi: prima gli esterni e le strutture e poi in un secondo momento la distribuzione interna dei vari piani. Loos mette in discussione tutto questo e inizia “la progettazione di spazi collocati a livelli differenti, senza il vincolo di piani tutti alla stessa altezza,(…) A seconda della loro funzione e della loro importanza gli spazi possono avere non solo grandezze, ma livelli e altezze differenti.” (H. Kulka, 1930). Il risultato è che nella Villa Winternitz il soggiorno è alto quanto due piani dell’edificio e ad esso sono collegati – per mezzo di pochi gradini in salita o in discesa – vari spazi (come la biblioteca o la sala da pranzo) via via fino agli ambienti privati. L’impressione che se ne ha è di un perenne fluire degli ambienti in un movimento che è innanzitutto visivo e percettivo. Questa ricchezza spaziale che Loos riesce a raggiungere è ancora più sorprendente se si pensa che le sue abitazioni, dal punto di vista della tecnica costruttiva, non rappresentavano nulla di nuovo rispetto alla tradizione ottocentesca. Infatti non bisogna cadere nell’errore di considerare Loos un “moderno” secondo i nostri canoni di valutazione. Era, comunque sia, un uomo nato nella cultura ottocentesca e le sue abitazioni riflettevano questa sua matrice culturale. Non hanno la struttura in cemento armato che già dieci anni prima concederà a Le Corbusier di postulare i principi di una nuova architettura, ma sostanzialmente egli proseguirà nel solco della tradizione rinnovandola profondamente.
Villa Winternitz
(Adolf Loos – Karel Lhota)
1931 -1933
Na Cihlářce 10, Praha 5
arch. Ottaviano Maria Razetto