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I vent’anni di Alfons Mucha nella ville lumière: il padre dell’Art Nouveau tra dive dell’opera, boutique di gioielli e sedute spiritiche nella Parigi dell’esposizione universale

«Non avevo abiti. Così mi arrangiai con un frac preso a nolo per dieci franchi. Visto che nessuno dei pantaloni m’andava bene, mi sono deciso a metterne uno dei miei, accettabili se non li si guardava da vicino. Così vestito, e abbandonata l’idea dell’anatra arrosto, mi sono seduto in un angolo della sala con un quaderno per bozze e un pugno di matite». È il giorno di Santo Stefano del 1894, o piuttosto la sera, sui gradini dell’opera, è allora che il destino artistico d’Alfred Mucha cambia per sempre. Al teatro de la Renaissance è in cartellone Gismonda, con protagonista Sarah Bernhardt, la Divina dell’opera parigina, lei che Victor Hugo amava chiamare «la voce d’oro». Lo stampatore Brunhoff, sollecitato dall’attrice a creare un nuovo manifesto per lo spettacolo prima della fine dell’anno non ha illustratori a disposizione. L’unico disponibile durante le feste è il giovane artista d’Ivančice, che fino ad allora non ha mai realizzato niente del genere. Già dopo la rappresentazione Mucha si mette al lavoro, notte e giorno. Così, in un baleno, prima della fine dell’anno, qualcosa di rivoluzionario è già pronto a tappezzare Parigi. È un’immagine della Bernhardt vestita d’una tunica cesellata d’oro, con una ghirlanda di fiori posata su una cascata di capelli rossi, e un ramo di lauro portato con delicatezza. È uno stile nuovo, qualcosa di mai visto: ori, spirali, cesellature, colori pastello, tutti dettagli che diventeranno presto il marchio di fabbrica dell’artista e che i contemporanei battezzeranno “le style Mucha”. L’immagine conquista la Bernhardt che, innamorata del manifesto, lo mette sotto contratto per sei anni, perché diventi il suo creatore personale: da quel giorno in avanti Mucha avrebbe disegnato i suoi costumi, i suoi gioielli e diversi decori dei suoi spettacoli.

Così all’artista semi squattrinato, che viveva in un piccolo studio sopra un ristorante dove era solito andare a credito, si spalancano le porte della bella società parigina. Si trasferisce in un appartamento lussuoso di rue Vavin, riceve artisti e personalità del gran mondo. Affascinato dallo spiritismo, organizza con i suoi ospiti serate semiserie dove si prova a comunicare con l’aldilà: il suo interesse per i culti antichi e misteriosi si mescola ad una pratica tipicamente mondana in voga in quegli anni. Mucha, già dagli esordi nella capitale, aveva sempre amato circondarsi di espatriati cechi e amici pittori. Tra questi Paul Gauguin e il polacco Wladyslav Slewinski, assieme al quale aveva decorato la facciata del ristorante sotto il suo primo alloggio, punto di ritrovo degli artisti del quartiere. Dopo i primi anni da studente, si era impegnato nella creazione di manifesti pubblicitari, cataloghi e calendari, un’occupazione che non abbandonerà mai durante tutto il suo soggiorno francese. Le sue opere nascono dentro uno studio che con il passare degli anni si trasforma sempre di più in una stanza delle meraviglie. Gli oggetti stravaganti lo ispirano nella sua creazione. In più, è dentro queste stanze che prende numerosi ritratti fotografici delle sue modelle. Queste immagini costituiscono un importante archivio personale e un documento prezioso sulle donne della sua epoca. Mucha le utilizzerà durante tutta la sua carriera d’artista. Ma la sua vera musa resta Sarah Bernhardt. Dopo Gismonda, l’artista realizza per l’attrice una serie d’altri manifesti: Lorenzaccio, La dame aux camélias, Hamlet et Médée. Questi fanno del ceco una celebrità: si racconta che la gente amasse a tal punto i suoi affiche da ritagliarli dai muri con il rasoio e collezionarli.

Tutto questo succede in una città in grande fermento culturale, che si prepara ad ospitare l’esposizione universale del 1889. Parigi è l’epicentro di tutte le avanguardie artistiche e le rivoluzioni tecnologiche di fine secolo. È in questo momento che il suo stile s’afferma, per fare scuola: è la cosiddetta Art Nouveau, dalle forme vaporose, avviluppate, come nelle pieghe di una gonna, o nelle cascate di capelli. La donna e il fascino femminile sono l’emblema di queste composizioni. Il successo dell’artista è tale che il famoso gioielliere Fouquet chiede a Mucha di disegnare la sua nuova boutique in rue Royale. Il risultato è straordinario: dalle lampade ai pavimenti in mosaico, dagli specchi cesellati al bronzo di un pavone che fa la ruota, l’ambiente è un trionfo della sua arte.

Nel momento in cui è all’apice del successo, quando una relazione lo lega alla misteriosa Berthe de Lalande, che posa come modella per diversi suoi scatti e ritratti, l’artista incontra Maruška, una giovane ceca che sposerà qualche anno dopo in un villaggio vicino a Praga. È a partire da questa nuova relazione, che lo porta ad avvicinarsi ancor di più alle sue origini e alla sua patria, e dalla frustrazione crescente d’essere diventato un artista commerciale, che in Mucha va crescendo una nuova consapevolezza artistica e umana. Mentre le comande per illustrazioni pubblicitarie continuano ad affluire, il suo interesse è ormai orientato verso la pittura, i culti antichi, la storia slava. È così che nel 1906, su suggerimento della baronessa Rothschild, decide di imbarcarsi per gli Stati Uniti. Il suo sogno americano è fare tanti soldi in poco tempo per potersi infine dedicare ad un’arte più intima e storica, e fare ritorno in patria. Chiuso lo studio parigino, teatro delle sue più grandi creazioni, si imbarca per New York con Maruška. Allora Mucha è un artista di fama internazionale tanto che prima del suo arrivo il New York Daily News gli dedica un’edizione speciale. Ma questa è una storia dal nuovo mondo, lontana dalla bohème e dagli sfarzi, dalle prime all’opera e dagli atelier mal riscaldati della Parigi di fine secolo. Lontana dalla città che ha consacrato Mucha come il padre, visionario, di quella che oggi chiamiamo Art Nouveau.

di Edoardo Malvenuti