Storia del genio che non divenne famoso. Eroe (ed anti-eroe) ceco tra mito e realtà
Vestito di bianco, al centro di un piccolo gazebo di legno nel mezzo di un bosco, un elegante e baffuto signore si concentra su un manoscritto. Fuori campo, una voce chiede: “a cosa lavorate, signor Čechov?”. “Scrivo “Le due sorelle””, risponde orgogliosamente lo scrittore. L’uomo, ora in pieno schermo, rimanda al volo: “Non sono un po’ poche, Anton Pavlović?”.
Scrivere su Jára Cimrman, il misterioso talento che tra mille trovate riuscì anche in tal modo a suggerire a Čechov il titolo del suo capolavoro (“Le tre sorelle”), non è semplice. Ci avviciniamo al personaggio con cautela, in punta di piedi, spiando di soppiatto un fenomeno esclusivamente ceco che diviene sfuggente, a tratti incomprensibile, per uno straniero. Insieme eroe e anti-eroe, è un patriottico leader dell’anti-nazionalismo, il mistero buffo della Mitteleuropa.
Il punto: la vecchia Cecoslovacchia, prima ancora di divenire Cecoslovacchia, poté contare su un cittadino straordinario. Il più grande uomo della piccola nazione possedeva in sé le doti di filosofo, inventore, architetto, musicista, esploratore, pittore, il tutto coordinato da un’indomita ribellione al potere: quello asburgico, ufficialmente (quello comunista, ufficiosamente). Il suo nome era Jára Cimrman, ed è esistito per metà.
I più scettici insisteranno col dire che fu una mera invenzione artistica, un personaggio teatrale; sottolineeranno come non esistano notizie della sua vita sino al 1966, ovvero quasi cinquant’anni dopo la sua (presunta) morte. Eppure per molti la figura è più che parte integrante della tradizione del paese, altrimenti come si spiegherebbe la netta vittoria di Cimrman ad un celebre show televisivo nel 2005, “Il più grande ceco della storia”? Più grande di Carlo IV, più grande di Jan Hus? Vox populi, vox dei! – vale anche per un televoto.
Andiamo per ordine. Nel 1966 gli ascoltatori del programma radio “All’enoteca analcolica “Al ragno”“ incontrarono per la prima volta Cimrman, caricatura del cecoslovacco medio con buona dose di non-sense (come un’enoteca analcolica richiede). Gli autori, Zdeněk Svěrák e Jiří Šebánek, lo indicarono come un dimenticato genio del passato, vissuto tra la seconda metà dell’Ottocento e la Prima Guerra Mondiale, ultime decadi dell’Impero. I due, insieme ai drammaturghi Ladislav Smoljak e Miloň Čepelka, fondarono l’anno successivo una compagnia teatrale, la cui prima pièce, Akt (Il nudo), era ovviamente firmata Jára Cimrman.
Prima di una lunga serie di opere (16), Akt presenta lo schema riproposto in ogni lavoro: una metà dedicata al teatro (un pittore incontra i figli che egli aveva abbandonato “per non perdere la vena creativa”), ed una metà ad una lezione sugli insegnamenti di Cimrman, tenuta dagli stessi attori in veste di “cimrmanologi”. Giochi di parole, riferimenti agli atteggiamenti tipici quanto al regime, comicità pura legata a frecciate satiriche, il teatro di Cimrman divenne cult già negli anni Settanta. Nel tempo ha guidato il suo pubblico in disparate avventure, dall’Africa al Polo Nord (che i cechi quasi raggiunsero prima di tutti gli altri: lo mancarono di soli sette metri, si racconta). Nel 1983 Ladislav Smoljak diresse il film, “Jára Cimrman ležící, spící” (Jára Cimrman di lato, dormiente) con Zdeněk Svěrák come protagonista – film da cui viene l’episodio con cui abbiamo aperto questo articolo. La storia burlesca del personaggio è raccontata ad episodi, dalla sua infanzia praghese alle grandi invenzioni sfuggite, passando per il periodo in cui era precettore dei figli dell’imperatore Francesco Giuseppe (e a cui insegnava canzoni indipendentiste boeme). La pellicola, di successo in patria, circolò anche con sottotitoli in inglese ed è rimasta per molto tempo uno dei pochi scorci su Cimrman disponibili per chi non parlasse il ceco.
La sua fama ha stentato a prendere piede oltreconfine, ma piccoli e duraturi tentativi esistono da diverso tempo. Il boemista americano Craig Cravens organizza e dirige spettacoli di Cimrman con i suoi studenti di lingua ceca all’Università di Austin, Texas; il professor Cravens, autodefinitosi a piena regola American cimrmanologist, vola a Brno ogni estate per allestire il teatro anche durante la scuola estiva di ceco dell’Università Masaryk.
Ad oggi il Žižkovské Divadlo Járy Cimrmana (dal 1992 il teatro si è stabilizzato nel quartiere praghese di Žižkov) continua a lavorare a pieno regime, anche dopo la triste perdita di Ladislav Smoljak nel 2010. Di recente sono state organizzate performance in lingua inglese, cercando (a quanto pare dalle sale piene, con efficacia) di arginare le difficoltà dei mille giochi di parole. Dal 2002 è anche possibile visitare un piccolo museo dedicato a Cimrman sotto la torre di Petřín, a due passi dal Castello di Praga. La targa dell’esibizione recita: “Mostra su Jára Cimrman, genio che non divenne famoso”.
La storia del personaggio in sé è tuttavia relativa, per conoscere il fenomeno abbiamo bisogno di un’altra prospettiva: quella del pubblico. La cornice è quella di una hospoda, tradizionale osteria ceca in cui fiumi di birra irrigano da sempre la nazione. Scegliamo due ospiti per un’introduzione alla materia ormai nota come Cimrmanologia: una coppia, lei è Blažena, bionda e morava, lui è Enrique, spagnolo di Guadalajara, studioso di lingua e letteratura ceca. L’attacco di Enrique va dritto al punto: “Cimrman è lo specchio nel quale si ammira tutto ciò che si sente ceco (a tal punto che, quando voglio valutare se qualcosa sia puramente ceca, la cerco nelle opere di Cimrman)”, il giusto tocco d’ironia, prima di farsi più serio: “È il prodotto di una nazione che per sentirsi viva ha bisogno di relazionarsi continuamente ai propri vicini, al cui confronto si sente piccola e infelice. Eppure in questa ricerca di una propria narrazione epica, trova le sue carte speciali: Švejk, la birra, la natura, il suo black humour. Tutto viene relativizzato, non c’è più il bianco o il nero, non ci sono eroi: nemmeno Cimrman lo è”. Immaginiamo così una nazione che in cerca di gloria decide, per gioco, di mettere un suo uomo sul tetto del mondo: e da lì accorgersi che tutta questa scalata è nient’altro che buffa. E i cechi, la piccola grande nazione, continuano ad affollare lo Žižkovské Divadlo per poterne ridere. Così Blažena può concludere che “Cimrman è la personificazione di tutto ciò che sarebbe potuto essere e non è stato (inventore, poeta, filosofo) e al tempo stesso la prova che poteva andare peggio, così che non resta nulla di meglio da fare che prendere la vita con calma e andare a bersi una birra”. La coppia conferma ridente, la birra è parte della “cosmovisione” ceca. Così come ne è parte questa storia strampalata nata dal genio di Smoljak e Svěrak (ormai Cimrman è un’autorità talmente ingombrante, che è bene puntualizzare qua e là i suoi creatori), storia amata e richiamata dalla maggior parte dei cechi. Chi scrive ricorda di una serata diplomatica a Bruxelles presso la rappresentanza ceca all’Unione Europea; all’ingresso dell’edificio, i visitatori erano accolti da una targa dedicata a Jára Cimrman, il quale lasciò traccia di sé anche all’Expo Universale di Bruxelles del 1910 (l’impronta di un piede, per essere precisi). “Solo i cechi potevano dedicare una sede diplomatica ad un personaggio inventato!” fu il commento in falso disappunto di un ufficiale ceco delle Nazioni Unite.
“Non che piaccia proprio a tutti, come ogni personaggio legato a visioni politiche e satiriche” puntualizza il nostro nuovo ospite dell’hospoda, Ondřej, trentenne ricercatore in biochimica presso l’Accademia delle Scienze della Repubblica Ceca. “Il mio rapporto è cambiato col tempo: da piccolo mi faceva ridere e basta. Ma crescendo, conoscendo meglio le opere e soprattutto la storia e la cultura ceca, mi sono reso conto della profondità e dell’eleganza con le quali sono riusciti a far ridere per generazioni. Era una forma di resistenza, una fine presa in giro del potere, e penso che per la gente andare ai suoi spettacoli era sentirsi parte di una “piccola ribellione”. Dopo la Rivoluzione sono riusciti a cambiare bersaglio, non più lo Stato ma la personalità dell’eterna periferia, la “maloměšťáctvi” del tipico ceco”. Rimane sempre una storia straordinaria e alla gente “piace sognare”, ricorda Ondřej, anche quando sa che si tratta di una stupidaggine. Un legame benevolo che rimane persino nell’uomo di scienza, il quale infine ci confida: “A volte mi trovo a pensare: forse è esistito davvero”!
di Giuseppe Picheca