La compagnia energetica ceca al centro di una disputa milionaria con il governo albanese e rischia anche in Bulgaria. Ancora rinviata la decisione sul più grande progetto degli ultimi anni: per una decisione sull’ampliamento di Temelín si dovrà attendere il 2014
Il “pasticciaccio” dei Balcani. Una melassa densa, troppo densa, in cui Čez, la compagnia energetica ceca, è rimasta invischiata con tutte le scarpe. Quella che era la società top per capitalizzazione in Europa centrorientale ha perso lo scettro e più di tutto rischia di essere in acque ancora peggiori per la crisi del mercato dell’elettricità, per l’arbitraggio internazionale contro l’Albania, per il taglio dei prezzi dell’energia in Bulgaria e infine per le incertezze legate al progetto di ampliamento della centrale nucleare di Temelín. In questo quadro così fosco anche le previsioni di bilancio non sono rosee, con stime di guadagni ancora in calo per il 2013.
Le gatte da pelare per Čez sono molte, ma andiamo con ordine. A preoccupare i vertici a Praga è sicuramente la disputa albanese, un buco nero in cui la compagnia potrebbe rimanere bloccata e perdere molti soldi. Il governo di Tirana, infatti, a gennaio ha ritirato la licenza alla compagnia per aver violato il contratto con il quale nel 2009 si era aggiudicata il monopolio della distribuzione di energia elettrica e acqua nel Paese. Il governo albanese ha accusato la società ceca di essere responsabile dei black out avvenuti nel Paese, dei mancati investimenti e dell’omissione della presentazione dei bilanci finanziari. Ma la società ceca ha risposto alle accuse avviando una procedura di arbitraggio internazionale in cui ha chiesto a Tirana un risarcimento pari a 200 milioni di euro. Per Čez, infatti, “lo Stato albanese non ha tutelato l’investimento compiuto per comprare il 76% della locale società di distribuzione (per 102 milioni di euro, ndr). Questo il motivo per il quale chiediamo un risarcimento dei danni che noi abbiamo ricevuto da questa situazione, secondo le regole del diritto internazionale”, ha dichiarato Barbora Půlpánová, portavoce del colosso energetico ceco. Secondo Čez oltre alla mancata tutela dell’investimento il governo albanese avrebbe impedito anche di aumentare le tariffe dell’energia, a fronte di un incremento dei prezzi d’acquisto dell’elettricità, e di riscuotere i crediti pendenti: per la società ceca la metà degli utenti albanesi non paga le bollette con perdite accumulate per 190 milioni di euro all’inizio del 2012. Come ultima provocazione Čez ha anche annunciato di voler rivendere il suo 76% in Shpërndarje. Una via d’uscita dal rompicapo albanese all’apparenza semplice ma che non ha tempi certi e che potrebbe causare una perdita netta nell’operazione di acquisto e vendita della società di distribuzione. Oltre all’investimento andato male, Čez potrebbe dover pagare una multa da 108 milioni di euro per aver interrotto preventivamente il contratto con la Dia, l’ente per il recupero dei crediti in Albania, con la quale ha firmato un accordo nel 2010 per i crediti sui consumatori albanesi. “Niente di quello che sta accadendo in Albania, incluse le cause e l’arbitraggio, avrà ripercussioni su Čez e non riguardano più la stessa compagnia dal momento in cui a gennaio lo Stato albanese ha revocato la licenza ed è quindi responsabile direttamente per la società e per i suoi oneri”, ha dichiarato Půlpánová.
Certezza granitica che è stata sfoderata anche sull’altro campo del difficile risiko balcanico, quello bulgaro. Dal primo agosto, infatti, i prezzi dell’elettricità saranno ridotti circa del 5% per tutti i consumatori bulgari, scelta che avrà “un impatto contenuto” su Čez, a detta della stessa compagnia che spera così di poter mantenere la licenza di distribuzione su cui pendeva la minaccia di revoca di Sofia. Čez, infatti, è stata al centro delle polemiche che hanno poi portato alla caduta del governo bulgaro a causa dell’aumento delle bollette dell’elettricità. L’utility ceca si era trovata nell’occhio del ciclone e, in uno slancio elettoral-populista, l’ex premer bulgaro Bojko Borisov aveva promesso un taglio delle bollette elettriche dell’8% e annunciato la revoca della licenza per la distribuzione di energia alla Čez, nel tentativo di arginare le proteste contro i rincari della luce che avevano portato decine di migliaia di persone in piazza in tutta la Bulgaria. Praga aveva ribattuto di aver rispettato i suoi obblighi e aveva accusato il governo di voler politicizzare la vicenda in vista del voto.
A preoccupare i piani alti della compagnia, però, sono anche i problemi in patria. A pesare, oltre alle perdite in borsa, dove fino a poche settimane fa era l’utility più facoltosa in termini di capitalizzazione di tutto l’Est Europa (è stata superata dalla polacca Pko), è l’incertezza sul destino del progetto di ampliamento della centrale nucleare di Temelín, un piano che vale 8-12 miliardi di euro. Il governo di centro-destra, caduto dopo gli scandali legati all’ex premier Petr Nečas, aveva tergiversato rinviando all’autunno la decisione sul consorzio da scegliere, tra la statunitense Westinghouse e il consorzio Mir-1200, composto dalle russe Atomstroiexport e Gidropress e la ceca Škoda JS. L’esecutivo tecnico ha pilatescamente passato la palla al prossimo sostenendo che si tratta di una decisione “politicamente troppo rilevante” da prendere. E, se gli attuali sondaggi elettorali avranno ragione, sarà un governo di centrosinistra a dover discutere del piano. Comunque non prima del 2014.
di Daniela Mogavero